Elaborazione grafica di Guido Nestola

24.6.07

Com'è vuota Milano d'estate

Andare a vedere un film alle tre del pomeriggio è molto istruttivo. Ascolti gli anziani russare o, di fronte a una pellicola che nei primi 10 minuti non ha dialoghi, commentare acidi: "Questi sono i film che piacciono a me!" Li senti agitarsi nell'oscurità, avvelenati con l'amica che ha consigliato questa cosa che proprio non capiscono. E, finita la proiezione, li senti commentare con la bocca impastata che non gli è piaciuto. Una signora non meno che ottantenne, per esempio, uscendo da Come l'ombra ha detto a un'altra, con un tono di disprezzo: "Mah, io non so perché vogliono fare tanto gli intellettuali".

Aveva ragione, ma per me quella frase ha un significato opposto. Come l'ombra è un bel film da intellettuali, nel senso che è stato pensato costruito e girato con la testa per gente che ha voglia di vedere con la testa. E' un documentario in forma di fiction su quel che c'è, invisibile, dietro l'esteriorità luccicante di Milano: la solitudine dei singoli, la ripetitività che li spersonalizza, il vuoto dei sentimenti, l'attesa di un contatto umano.

una foto di Basilico, tratta da GatesE' un film architettonico: il deserto delle strade milanesi d'estate, che la regista Marina Spada inquadra animando le fotografie di Gabriele Basilico aggiungendo il sordo rumore di fondo di una strada trafficata, rappresenta il deserto della socialità, così come l'appartamento al pianterreno con vista sul tram e sfondo d'Esselunga in cui abita la protagonista, una trentenne single che lavora in un'agenzia di viaggi e ha lasciato la famiglia nell'hinterland settentrionale di Affori con tanto di antico passaggio a livello.
E' un piccolo saggio di cinematografia minimalista: poche inquadrature; molti piani sequenza altrettanto "architettonici", con finestre porte e architravi che diventano quasi più significativi dei personaggi reali, i quali a loro volta entrano ed escono senza troppe rigidità; e poche misurate citazioni (Wenders, un po' di provincia chimica tedesca, ecc.).
E' un reportage di cronaca sul mercato degli ucraini a Milano e sul sottobosco di quei cittadini di serie D che sono gli immigrati irregolari.
Ma è anche una storia sui rapporti umani: le debolezze, le furbizie, il passato da nascondere e il presente che non si sa, la necessità di avere in qualunque modo qualcuno accanto a cui voler bene, l'amore che non arriva.

Per fortuna, ogni tanto qualcuno vuol fare l'intellettuale. E ci riesce.


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23.6.07

Vorrei... ma non posso / 1

Tra poche ore partirò per una breve vacanza (meritata!) sull'ultima isola italiana che non conosco. Da giorni cerco di programmare i libri da mettere in valigia, dividendoli tra:
  • libri da leggere
  • titoli-coperte di Linus
  • libri di scorta, se i primi non fossero all'altezza delle aspettative

La selezione tiene conto di: stato d'animo, luogo nel quale andrò a riposarmi, spazi e occasioni di lettura che prevedo di trovare, variabile "incontri", probabili escursioni. Spiegato in questo modo, sembra il pensiero di un paranoico, invece applico solo su di me il metodo che avrei sempre desiderato seguire con altri, conoscenti e sconosciuti. Per anni, ho pensato di aprire una libreria, in realtà credo che la mia vera aspirazione sia quella di fare il sommelier di libri. Come gli assaggiatori di vini, vorrei sentire sapore, gusto e profumo di certi titoli e associarli ai lettori e ai loro momenti di vita.


Negli ultimi tempi, per esempio, ho consigliato e regalato spesso Mal di pietre di Milena Agus, del quale mi sono innamorato (ho chiesto alla casa editrice Nottetempo un contatto con l'autrice, approfittando del fatto che sia un'insegnante delle superiori, per due battute sugli esami di maturità, purtroppo senza successo: è troppo intervistata, specie dopo la selezione nelle cinquine dei premi Strega e Campiello; meglio più avanti. Peccato). La trama, la scrittura e il personaggio della protagonista sono l'ideale per chi - non solo donne - non sappia quanta creatività comporti l'amore, non riesca ad andare oltre le schermaglie iniziali e rinunci a scoprire che cosa c'è dopo, a fare appunto uno sforzo di fantasia, oltre che di responsabilità; oppure a chi crede di avere troppa fantasia nel sentimento amoroso e se ne senta frustrato, specie quando venga respinto dall'altra persona. Un libro perfetto per chi ha appena deciso di tirarsi indietro o per chi continua a sperare d'essere amato, anche a distanza, in un'attesa piena di sogni e di auspici che rischiano di diventare fantasmi.


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14.6.07

L'Italia fuorirotta è come una fiaba


C’è un’Italia laterale, lontana dalle autostrade, dalle rotte dei viaggi organizzati e dai gas di scarico. E proprio per questo splendida, piena di luoghi nascosti e di gente ospitale e genuina. Un’Italia che concilia il viaggiare lento su due ruote di uno dei primi maestri della nostra letteratura di transito. Emilio Rigatti fu compagno di Rumiz e Altan nella rotta verso Istanbul che anni fa creò il genere della narrazione a pedali: ora ricostruisce il percorso da Ruda a Gambarie, dal Friuli alla Calabria, lungo sentieri, strade di orti clandestini, fiumi che finiscono sepolti sotto grandi città. Incrocia fantasmi di briganti davanti a piatti di pasta al pomodoro, lupi aggressivi che mordono il figlio dodicenne al debutto in bici, viandanti e turisti sulle stesse strade polverose che nei secoli passati accolsero migliaia di viaggiatori da “Grand Tour”. Dovunque trova un bicchiere, spesso offerto per simpatia, e storie e racconti. “Agli altri i viaggi favolosi delle agenzie – scrive -. A noi la fiaba”. Bellissima.


Emilio Rigatti, Italia fuorirotta
Viaggio a Pedali attraverso la Penisola del tesoro
Ediciclo. Pagine 320. Euro 16.50


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11.6.07

Pellegrini contemporanei: penitenza o moda?

Cambiare scenario; abbandonare Londra l'Inghilterra e mettersi in viaggio attraverso l'Europa come un vagabondo o uno studioso errante!... D'un tratto non era più soltanto ovvio, ma era l'unica cosa da fare. Avrei viaggiato a piedi, dormito sui covoni d'estate, mi sarei riparato nei fienili quando pioveva e nevicava e avrei familiarizzato soltanto con i contadini e i viandanti. Se fossi riuscito a vivere di pane e formaggio e mele con cinquanta sterline l'anno come Lord Durham con qualche zero di meno, avrei conservato anche qualche spicciolo per carta e matite e un boccale di birra ogni tanto. Una nuova vita! Libertà! Qualcosa di cui scrivere!
Patrick Leigh Fermor

Il low cost? Superato. La nuova vacanza è a costo zero, se non quello delle proprie energie muscolari. Sempre di più si mettono in viaggio a piedi o in bici; dormono in abbazie, ostelli o stanze spartane; e coprono chilometri lungo antiche vie sacre, riscoperte con un vago senso di penitenza e anche un po’ per moda. Pellegrini contemporanei, attorno ai quali sta fiorendo un'industria dell'abbigliamento tecnico e una letteratura di viaggio di grande qualità. Da Patrick Leigh Fermor, che a 92 anni sta scrivendo a Kardamyli, nel Peloponneso, nella casa accanto alla quale volle farsi seppellire Bruce Chatwin, il terzo capitolo della sua vita da studioso errante (dopo A time of gifts, che Adelphi pubblicherà il prossimo anno, e Between the woods and the water), a Paolo Rumiz, i loro libri si riconoscono dalle mappe inserite nelle prime pagine: edizioni storiche da rigattieri oppure altimetrie scientifiche di straordinaria precisione con migliaia di appunti scritti in grafia minuscola accanto a ogni tappa: diari di viaggio, in cui la descrizione dei luoghi s’intreccia a quella delle persone. Ma proprio questi spazi e questi incontri hanno il potere di restituire valore e vigore alla parola scritta, al racconto.

Lungo le mille miglia da Canterbury a Roma – sulla via Francigena che Sigerico percorse nel X secolo per visitare Giovanni XV - Enrico Brizzi, ora 32enne, autore a vent’anni forse del primo romanzo generale (Jack Frusciante è uscito dal gruppo), ha trovato lo spunto per una fiction on the road, che diventa appassionante con lo sviluppo della storia dopo un avvio lento e malgrado la scelta di rivolgersi con il tu all'alter ego protagonista principale che rende un po' ostica la narrazione, parallela al resoconto del cammino, pubblicato un anno fa su L’Espresso in pieno Mondiale di calcio. Tra il Lago Lemano e il confine italiano, con tre compagni s’imbatte in un pellegrino tedesco controverso e inquietante, pieno di tatuaggi (le braccia d’inchiostro del titolo) e sentimenti contradditori, da cui cerca di fuggire con esiti spesso comici. Tra le nevi delle Alpi, i quattro partecipano loro malgrado a un fatto di sangue, che, come il viaggio, sconvolgerà le loro certezze e mostrerà una realtà diversa da quella a cui si crede per abitudine, se si resta fermi.



Enrico Brizzi, Il pellegrino dalle braccia d'inchiostro
Mondadori-Strade Blu
Pagine 316. Euro 15.50

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La cultura dei libri e della legalità

Gherardo Colombo, uno dei pm di Mani pulite, è stato da poco nominato vicepresidente della Garzanti. Spiega a Simonetta Fiori, su La Repubblica di sabato:
Vado a svolgere un lavoro in continuità con quel che ho fatto finora. Sono convinto che la giustizia sia prima una questione culturale, e che soltanto poi intervenga la sua amministrazione. Lo sostengo da tempo: ci vuole ben altro, rispetto alle sentenze dei giudici, perché dal sistema e dalla cultura dell'insofferenza alle regole si passi al sistema e alla cultura della legalità. Le sentenze possono aiutare, ma da sole non bastano. (...)

In fondo mi muove la stessa esigenza che mi trascina tra i ragazzi: il desiderio di dare un'informazione corretta e documentata sul mondo che mi è più vicino ossia quello delle regole. Intorno ad alcune nozioni fondamentali - giustizia, istituzioni, Stato, solidarierà, arbitrio, libertà - impera una superficialità assurda. Mi piacerebbe stimolare una riflessione profonda, non conforme al pensiero dominante.

Qual è il pensiero dominante?

E' il conformismo prodotto dalla semplificazione del pensiero. In questo Paese si pensa poco, si dimenticano pezzi del ragionamento. Tutta l'analisi dello sviluppo economico si gioca intorno ai numeri, che fanno dimenticare la precarietà del lavoro, gli omicidi bianchi, il disagio giovanile.

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5.6.07

Il judo di Klein, disciplina dell'arte e della vita

“Ho sempre pensato che fosse molto meglio sfondare le porte piuttosto che perdere tempo a cercarne le chiavi e non riuscire, per mancanza di calma e sangue freddo, a trovare il buco della serratura”. Yves Klein, l’autore di questa frase, nella sua breve vita tra il 1928 e il 1962, ha sfondato molte porte nel mondo dell’arte, di cui è una figura mitica. Ha divelto quello della grande Avanguardia, a metà del Novecento, ha sperimentato ogni messo espressivo, compresi i corpi femminili, nudi e imbrattati, usati come pennelli su grandi tele, diventando infine celebre per il Salto nel vuoto (la celebre foto del pittore dello spazio che si lancia nello spazio), i quadri dipinti con un solo colore, e per un particolare blu, l’International Klein Blue, che brevettò. E’ stato così fino a quando, in un lungo soggiorno in Giappone, ha scoperto l’essenza della sua arte, e cioè della sua vita, attraverso il judo.

Klein era cintura nera 4° dan. Ma in Giappone è entrato in contatto con i fondamenti del Kodokan, i sei kata, le chiavi di quelle porte, definiti come “il colore dei pini, né antichi né moderni”, il cui spirito era poco compreso o alterato in Europa, a vantaggio del randori, la composizione o l’esercizio libero. Tornato in Francia, nel 1954 ha pubblicato un vero e proprio manuale, con un’infinità di immagini e di spiegazioni talmente minuziose da sembrare quasi maniacali. Quel libro è stato riscoperto da poco in Francia e pubblicato da Isbn come una rarità, non solo per appassionati di arti marziali.

Per Klein, il judo è disciplina mentale e spirituale, è rigore assoluto dei movimenti, da far ripetere migliaia di volte ai suoi allievi dei corsi al Centro americano di Parigi. Quel rigore e quella disciplina sono alla base della sua pratica di artista. Il movimento ripetuto dei kata è la chiave per accedere all’arte assoluta della vita.


Yves Klein, I fondamenti del judo
Traduzione di Stefano Valenti
Isbn. Pagine 225. Euro 17


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4.6.07

La letteratura è morta. E le riviste letterarie?

Domanda di Silvia Grilli a Vendela Vida, moglie di Dave Eggers e condirettrice di The Believer: Non è anacronistico pubblicare una rivista lenta come la vostra, nell'epoca delle comunicazioni veloci e delle comunità online?
- Io stessa ottengo molte informazioni da Internet, ma mi piace tenere qualcosa di fisico tra le mani. The Believer è in un certo senso quello che era per me, quando ero piccola, il National Geographic che trovavo sugli scaffali dei miei genitori: qualcosa senza tempo.

SG - A chi può interessare un servizio sulla letteratura del Polo Nord, come quello pubblicato sull'ultimo numero di The Believer?
VV - Noi trentenni siamo così sopraffatti dalle notizie e da Internet, che abbiamo il desiderio di evadere in posti completamente differenti dall'ambiente urbano in cui molti di noi vivono.

SG - Eppure anche lo scrittore Philip Roth sostiene che la letteratura è morta, uccisa dal continuo saltellare dallo schermo della tv a quello del computer.
VV - Negli ultimi quindici anni ho sentito sempre dire che i libri erano morti. Ma continuo a vedere ragazzi sugli autobus, sulle metropolitane, sugli aerei, che vogliono stare soli con un libro.


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