Elaborazione grafica di Guido Nestola

29.4.03

Giornalismo di guerra
IRAQ: A BAGHDAD LE PROSTITUTE TORNANO IN STRADA =
(AGI/REUTERS) - Baghdad, 29 apr. _ Le prostitute, duramente
represse sotto il regime di Saddam, stanno cautamente facendo la
loro ricomparsa nelle strade di Baghdad.

Ah beh, allora...

(...) La prostituzione prosperava in Iraq negli anni novanta,
quando le ristrettezze imposte dalle sanzioni ecnomiche avevano
spinto molte donne a vendere l'unica cosa che possedesse qualche
valore.

Giornalismo vero e un tocco di classe.

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26.4.03

Libri e librerie
I blog che mi interessano o sui quali mi soffermo cominciano a essere tanti. E questo comporta il fatto che non ricordi più dove ho trovato un intervento sul quale riflettere (e quindi da linkare) o dove ho lasciato un commento che poneva un quesito.

Così, ho dimenticato chi abbia scritto qualche giorno fa a proposito di una libreria su un viale alla periferia di una città e di un libraio capace di tenere il mondo fuori da quei locali, di spegnerne il fastidioso rumore di fondo. Perché nel frattempo anch’io ho trovato una libreria del genere, che potrei segnalare a chi (ricordo solo vagamente anche questo) qualche tempo fa aveva proposto di redigere un elenco delle proprie librerie dell’anima, legate eventualmente anche ai viaggi. E’ la Archivi del Novecento, in pieno centro a Milano, in un angolo solo in apparenza appartato rispetto allo struscio confuso della Galleria del Duomo.

Ha un’attenzione particolare per le piccole case editrici, e già questo è un unicum che merita un rilievo particolare. Ma quello che mi piace ancora di più è il fatto che suggerisca dei libri, fino in vetrina, con delle brevi note scritte a mano su cartoncini bianchi. Da grande vorrei far quello.

Il libro promosso in questi giorni è Il libraio di Kabul, edito da Sonzogno che sto leggendo in questi giorni. Scritto in uno stile a metà fra il narrativo e il giornalistico da un’inviata norvegese, è uno spaccato di vita reale dell’Afghanistan del dopo-guerra. Asne Seierstad ha vissuto per sei mesi con la famiglia di Sultan Khan, libraio in Kabul, e ne ha descritto i tormenti, gli scontri, la sopravvivenza quotidiana, i pasti con le mani, i viaggi su strade che costeggiano le mine, la mancanza di prospettiva. Con un’indulgenza speciale nei confronti delle donne, vere e proprie serve (in senso mentale e materiale) di una società virilista, anche al di là degli obblighi religiosi imposti dai talebani prima che venissero sollevati dagli americani e dalle milizie di Massud.

Scrive Seierstad a proposito della sorella minore del libraio, costretta a occuparsi di tutta la famiglia allargata (due mogli di Sultan, i numerosi figli, i suoi fratelli e perfino alcuni nipoti), subendo angherie psicologiche di ogni genere dai membri maschi e continuando a vivere dietro la grata di un burka:
I talebani se ne sono andati, ma non dalla testa (di Leila). Le donne di Mikrorayan sono felici che l’epoca dei talebani sia finita; possono ascoltare musica, ballare, smaltarsi le unghie dei piedi: fin tanto che nessuno le può vedere e loro possono nascondersi sotto il protettivo burka. Leila è una vera figlia del governo civile, del governo dei mullah e dei talebani. Una figlia del terrore. Dentro di sé piange. Il tentativo di evadere, essere autonoma, imparare qualcosa è fallito. Per cinque anni alle ragazze è stato proibito di andare a scuola. Adesso che è permesso, è lei stessa a proibirselo.

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Graffiti sulla rete
Spesso ho pensato ai weblog come a una sorta di grande muro comune sul quale è possibile scrivere frasi, massime e minime, tracciare segni: dipingendoli, schizzandoli con lo spray o incidendoli in profondità nella materia virtuale della rete. Ci ho ripensato leggendo un intervento, un po’ troppo affabulatorio ma anche per questo interessante, di Silvana Grasso su Ttl della Stampa di due mesi fa.
Sul muro il ragazzo d’oggi solfeggia versi ritmati, e la rima, bandita da ordinanze scolastiche “razziali” e antiliriche, perseguitata da cacciatori di “taglie” trisillabe, quinarie, settenarie, novenarie, azzannata da canea sull’odore della metrica infame, ritrova sul muro la patria perdura, il suo diritto di cittadinanza, il suo carteggio spezzato. (…) Un rosario di ragazzi – studenti operai tossicodipendenti – ne cura l’auxologia e così, di giorno in giorno, di ora in ora, la parete scompare sotto la polisemia colorata, rimata, chiosata. Una rima rimembrante embrioni emotivi, frammenti sensoriali perduti o sparpagliati sull’arenile della prima infanzia, sopravvivenze mute eppur sonore, più che coscienti liturgie metriche, o scolastiche papaline sillabiche.
(…) Dall’immobile muro il mobilissimo segno dell’insofferenza scritta col pennarello per un presente orfano di redentore”.


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Zibaldoni
Piccola crisi (è la terza da quando è nato Fuori dal coro), non so quanto passeggera. Questa volta riguarda anche la creatività, le cose da scrivere e il motivo per cui farlo, non solo il tempo che la dipendenza da un weblog toglie alla vita.

Anche questa crisi è nata da uno sguardo un po' più minaccioso del solito lanciatomi da una delle quattro pile di giornali, ritagli e frattaglie che ho raccolto negli ultimi mesi. Sono depositate per terra in un angolo del soggiorno, mentre sul tavolo si sono accumulati gli ultimi libri, compresi il fin troppo recensito romanzo canino di Emanuele Trevi e La conquista del tempo curato da De Kerchove. Le pieghe dei fogli sono diventate di un giallo crosta, effetto di polvere e trascuratezza. Un chiaro invito alla lettura, un interruttore per l'accensione dell'autocoscienza.

La crisi è proseguita con una sensazione di apnea che mi ha anche fatto prendere un paio di sviste clamorose (distrazione, superficialità, mancanza del tempo per riflettere e verificare) non solo sul blog.

E si è manifestata con un lungo rifiuto verso la scrittura, quello che B.George ha definito per sé embargo. Non solo la pratica in sé, ma anche la ricerca di argomenti o l'elaborazione di pensieri e riflessioni, malgrado non mancassero gli spunti.

In realtà, ho lasciato un paio di post qua e là, ho scritto qualche commento in giro per la rete. Non sono scomparso, insomma, e in fondo molti altri blogger hanno frequenze molto meno sostenute della mia. Il fatto è che, per me, un blog deve avere continuità, se possibile quotidiana (chiara deformazione professionale), proprio per effetto di quella consapevolezza di essere rivolto ad altri (e non solo a chi lo scrive), di avere dunque un pubblico, a cui accennavo qualche intervento fa. Tra le altre cose, il blog è evoluzione costante del pensiero e della sua relazione con quello di altri, strumento di comunicazione ininterrotta, giornaliera appunto.

Ma giusto questa continuità necessaria pone un'altra questione. Partito da un tema più o meno preciso, mi sono reso conto di aver deviato più volte verso uscite laterali non sempre contingue. Questo blog si è trasformato in uno zibaldone, nel significato che Gianni Celati ha attribuito allo Zibaldone leopardiano in un saggio compreso in Zibaldoni e altre meraviglie (trimestrale letterario onlone):

A ogni pagina si passa da un tema all'altro, da un punto teoretico all'altro senza mai una visione riassumibile in una teoria conclusa. Si va avanti per squarci, per onde di pensiero, per richiami momentanei e parziali a un orizzonte esterno. Questo ci ricorda come la visione naturale non possa mai abbracciare i limiti del nostro sguardo, definire il suo campo, fissare in modi prescritti quel che c'è da vedere intorno a noi. E per questo (nello Zibaldone...) si può solo trovarvi il senso di "un cammino che si sta svolgendo all'aperto", come dice Antonio Prete, "e tutto intorno ai sentieri si dischiude un paesaggio mutevole, e ci sono lontananze e riflessi che possono attrarre lo sguardo dell'osservatore".
L'attrazione delle lontananze e lo sguardo di chi osserva: sono i poli dell'illimitato e del finito, tra cui si situa ogni visione del sensibile, non bloccata da astrazioni categoriche".


Una definizione bellissima, soprattutto l'ultima. Che, però, talvolta può anche riassumersi in senso negativo: confusione, eccessiva mutevolezza, superficialità, un po' di gigioneria. Ho come la sensazione che "quel cammino che si sta svolgendo all'aperto" non mi porti in un luogo preciso. Ogni tanto, è anche utile sapere dove si vuole andare. A parare.

Aggiunge Celati: Qui ogni citazione corre il rischio dell'inconcludenza, della vaghezza, come un frammento vagante che non appartiene a nessun sistema concluso. (...) Quello che conta alla fine non sono le mete a cui arriviamo, ma il continuo transito attraverso gli stati di affezione che sorgono.

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22.4.03

Simpatiche provocazioni
Che Anna Masera, sull'ultimo numero di Ttl della Stampa, volesse provocare, è lampante. Ha ragione Mantellini. Basta il riferimento alla "simpatica Francesca Mazzuccato", autrice dell'instant fiction dedicata ai blog, per togliersi gli ultimi dubbi.

Che cosa aveva fatto la "simpaticona", infatti? Aveva provocato e lo ha dichiarato, prima in rete e poi sui fogli cortesemente stampati e rilegati dalla casa editice Marsilio: così, per vedere l'effetto che fa. E la Masera? Dice che il blog è un bluff, usa ad arte la prima parte della tavola rotonda di Blog Age per dichiarare il trionfo del cazzeggio, suggerito da Genna e Labranca, del narcisismo individualista. E noi, che consumavamo distinguo, sottigliezze semantiche e filosofiche su giornalismo, network, comunità; che affermavamo che anche la fuffa, in fondo, fa bene alla pelle. Noi lì, ignari e ingenui, incapaci di capire tutto e subito.

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18.4.03

Spiegato l'arcano
Come spesso accade, Mantellini spiega, sia pure indirettamente e non volendolo, un possibile motivo della mia improvvisa esplosione di accessi. Possibile, perché per arrivare a 1000 contatti, da meno di 100 di media, bisogna fare uno sforzo mica male.

Rileggo il post e mi spavento. Ho scritto: "della mia improvvisa esplosione di accessi". Ho bisogno di spegnere il computer.


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Psicologia dei numeri
Aggiornamento per chi si fosse messo in ascolto solo in questo momento. Ieri, 17 aprile, non ho scritto niente su questo weblog e ho raggiunto il massimo dei contatti secondo ShinyStat: 243. Oggi ho scritto un commentino all'evento e a metà giornata sono già oltre 80, quella che è in generale la mia media quotidiana.

Continuo a chiedermi perché ci sia stata questa impennata e non so darmi una risposta, ma provo almeno a replicare alle osservazioni di Squonk e Leonardo scritte nei commenti al post Numeri impazziti che si trova qui sotto (è noto che i permalink di aprile non funzionano). Per farlo, devo passare dalla sociologia (gruppettara e un po' sommaria) di Blog Age a un po' di psicologia pret a porter, fatta in casa, senza alcuna pretesa di scientificità, anche perché parlo di me.

Quando ho avviato questo blog, sapevo perfettamente che occupare uno spazio in comporta esporsi a un'attenzione pubblica: se voglio tenere un diario intimo, apro il mio quaderno senza righe di carta riciclata polacca gialla e scrivo per me, non un sito internet. Ma non ero interessato a sapere quanta gente venisse a vedermi.

A un certo punto, però, il mio approccio è cambiato. Rimanendo comunque indifferente al numero dei contatti misurato da Shiny Stat (che ho introdotto al 5° mese di vita di Fuori dal coro, per semplice curiosità), ho cominciato piuttosto a occuparmi di quale gente venisse a leggermi. Per la prima volta, mi sono effettivamente sentito parte di una relazione virtuale molto ampia, basata su affinità elettive, sulla condivisione di pensieri, passioni e interessi. E forse questo, sì, ha inciso su quanto ho scritto, da quel momento in poi. Probabilmente ho cercato di rimanere aggregato ad alcuni temi (sono stato tra gli animatori del dibattito blog/giornalismo) che mi avrebbero fatto scambiare più di frequente opinioni con le persone (e i blog di appartenenza) che mi piacevano di più.

Una prova di questo fenomeno l'ho avuta ieri notte, mentre cercavo di capire il motivo di quei 243 contatti. Sono andato subito a verificare se sui blog del mio (chiamiamolo) giro ci fosse stata una citazione nuova, una segnalazione particolare che mi mettesse in risalto. Anche perché di quel (chiamiamolo) giro fanno parte alcuni dei cervelli di riferimento del fenomeno, da Granieri a Mantellini. Subito dopo, mi è scattato un altro meccanismo mentale, quello che in passato era stato definito anche qui dell'accreditamento. Ho pensato di essere stato citato da Luca Sofri o da quel paio di blogger che sono ormai diventati famosi. Infine, sono andato a cercare tra le autosegnalazioni che avevo fatto sul Blog Aggregator.

Proprio lì, qualche giorno fa, avevo osservato un altro paio di fenomeni interessanti a proposito del rapporto tra contenuti e visibilità.
1. Mi è successo di inserire un mio post tra quelli della fascia alta, quelli dei "must" per interesse (un contenitore incautamente lasciato alla libera valutazione dello stesso autore), e ho ottenuto un numero di contatti almeno 8 volte superiore alla media degli altri che disperdo generalmente fra le varie categorie semantiche.
2. In un'altra occasione, ho scritto sei post nello stesso giorno, rispetto a una media di un paio. Ebbene, mantenendo una media di accessi per post abbastanza ridotta (circa 2), in quella giornata ho moltiplicato gli accessi al mio weblog esattamente per sei. In questo caso, si potrebbe ben dire che non conti quello che si scrive ma quanto spesso lo si faccia in una giornata.

In tutti i casi che ho enumerato, non ho badato a scegliere argomenti popolari o trendy in senso generale (tette e culi, Dio benedica i francesismi!). E ho verificato, come dice giustamente Leonardo, che esiste uno zoccolo duro di frequentatori che ogni giorno, a prescindere dalle mie autosegnalazioni, passa da Fuori dal coro in attesa di leggere qualcosa di nuovo. Ma si tratta di 20 persone, non 200!, che si sentono affini ai miei interessi o trovano nei miei interventi argomenti esposti in maniera decente, utili per qualche riflessione più ampia. Non mi sento "bravo" né "paraculo". Né faccio esercizio di falsa modestia se dico che quei 20 per me sono molti e importanti quanto 200.



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Migozarad!*
[Passerà]
Graffito su una casa del té di Kabul

*In esergo a A. Seierstad - "Il libraio di Kabul", Ed. Sonzogno. Un libro che sto leggendo con molto piacere.

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Numeri impazziti
Non ci capisco più niente. Torno da un viaggio di 7 ore in macchina, durante le quali elaboro una miniteoria per rispondere ai saggi interrogativi di Squonk sull'influenza dei dati sui contatti su come, quanto e cosa si scrive sui weblog. Accendo il pc e, per prendere un po' di dati personali da portare come supporto pseudoscientifico alle argomentazioni, vado sul mio profilo di ShinyStat e che cosa trovo? Che ieri, 17 aprile, il mio blog ha toccato il punto più alto dei contatti: 227 accessi unici, 16 reload, totale 243 pagine viste.

Ieri, 17 aprile, io non ho scritto niente.

Come si può spiegare il fenomeno?
  • Shiny Stat ha dato i numeri, nel vero senso della parola

  • Sono vittima di uno scherzo

  • Sono al centro di un passaparola, a mia insaputa (ho cercato in giro per blog, ma il mio nome non si trova!)


In realtà, qualunque sia la spiegazione, quel che è successo ieri non fa altro che confermare la teoria che avevo elaborato durante le sette ore passate al volante, che qui banalizzo in estrema sintesi. E cioé che non esiste un nesso diretto, come di causa ed effetto, tra quello che si scrive e l'attenzione dei lettori di un weblog. Quanto meno in termini di tempo (reale) di pubblicazione.

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15.4.03

Un codice etico per i bloggers
Il caso di The Agonist, il celebre blog che per tutta la guerra ha plagiato l'agenzia Stratfor, ha di nuovo scatenato anche negli Usa il dibattito sui rapporti fra blog e giornalismo. Non tanto se l'uno può essere assimilato all'altro, quanto sulla necessità del rispetto di un codice etico anche da parte degli autori dei siti personali (quello che in fondo chiedeva Formenti nella sua conclusione della Terza Internazionale, ops a Blog Age).

CyberJournalist.net ne propone uno (lo analizzerò, intanto lo propongo alla lettura). L'idea è ovviamente di grande interesse, ma non nasce benissimo: il Codice Etico è quello della Società dei Giornalisti Professionisti Americani, in pratica l'equivalente dell'Ordine italiano, elaborato a uso dei weblog. Aspetto scintille.

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Sotto la rocca
Scoperto un deposito di piadine ammuffite. Bush minaccia: "Attaccheremo San Marino".

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Nazione indiana, welcome
Se dovessi dire di che si tratta, non saprei con esattezza. Loro stessi si presentano così:
Nazione indiana è una comunità di intellettuali e artisti.
Vi partecipano: Andrea Bajani, Carla Benedetti, Benedetta Centovalli, Donata Feroldi, Federica Fracassi e Renzo Martinelli di Teatro Aperto, Andrea Inglese, Helena Janeczek, Giovanni Maderna, Antonio Moresco, Giulio Mozzi, Piersandro Pallavicini, Tiziano Scarpa, Dario Voltolini.


Ho dato solo uno sguardo e fatto bollire la stampante. Dirò. Per ora, grazie a Marisa che me lo ha segnalato.

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Lo scrivano virtuale
Lettere predefinite di motivazione per trovare lavoro, biglietti di ringraziamento o di scuse, reclami e documenti ufficiali per un ente pubblico. Fossimo francesi, potremmo rivolgerci allo scrivano pubblico virtuale, uno sportello su internet. Non sono previste solo le lettere d'amore. Almeno per ora.

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Paolo Conte ospite di Blog Age
"I tempi dell'ispirazione: il pomeriggio", è stato l'argomento del discorso di Paolo Conte in occasione della laurea honoris causa in Lettere Moderna assegnatagli dall'Università di Macerata. Una tesi piuttosto asciutta, ma ben argomentata, dicono le cronache, in cui ha offerto un diorama della propria opera attraverso le sue passioni: dalle "donne clessidre di mistica etnica che dovevano essere state dipinte da Campigli nella controra, nel pomeriggio" al meriggiare pallido e assorto, passando per Proust e il jazz americano del primo dopoguerra.

Ne ha scritto Manuel Orazi su Foglio, che ha chiesto a Conte se fosse contento di questa onorificenza.
E lui, con la fronte sempre più corrugata, alza un baffo e un sopracciglio descrivendo il suo stato d'animo come un "misto di soddisfazione e imbarazzo, perché sono felice di ricevere questa laurea, perché non so tenere una lezione, perché non so più cosa so e cosa non so".
Uno stato d'animo condiviso da alcuni partecipanti al Blog Age di venerdì scorso a Milano...

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Il fuoco amico: questione di tecnologie
Su Affari e Finanza, inserto settimanale di Repubblica, ho letto un'intervista molto interessante con Marco Zamperini del quale mi ha affascinato subito la qualifica: direttore delle attività di ricerca e sviluppo e responsabile delle attività di evangelizzazione tecnologica di Etnoteam.

Afferma Zamperini: In America raccontano che gli incidenti di "fuoco amico" nella guerra irachena in parte sono dipesi dal fatto che gli americani hanno i trasponder (segnalatori elettronici) su tutto: aerei e macchine, gli inglesi invece solo sugli aerei. Insomma, l'idea dello smart tag non è così banale. Consente di ritrovare una macchina rubata (ma anche il cane che si è perso) e consente di capire (anche a distanza di decine di chilometri) che quella macchina è amica e non nemica. Nell'industria, poi, l'utilità di questi smart tag è evidente: consente, sempre per via elettronica di capire dove stanno le cose, quante ce ne sono, che scadenza hanno, chi le ha fabbricate, ecc. Il problema è che perché questo accada bisogna schedare miliardi e miliardi di oggetti che diventano così unici: una sfida scientifica interessante.

Prima non riuscivo a capire il clamore suscitato dalla rinuncia di Benetton a marchiare con gli smart tag i propri maglioni. Adesso finalmente ci sono: che i Benetton non abbiano più paura del fuoco amico?

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Dollari supplementari
Dal Sole24ore di ieri:
Il dollaro Usa potrebbe sostituire temporaneamente il dinaro iracheno, che non ha più alcun valore monetario e giuridico anche a causa dell'embargo imposto all'Iraq per anni. Lo ha affermato l'esperto di economia e finanza giordano Zayan Zawana. Il passaggio graduale all'uso del dollaro, dice Zawana, è la strada più rapida per riempire il vuoto creato dal crollo del sistema economico e finanziario iracheno.

Se avevo ancora qualche dubbio sui motivi ultronei della guerra (rispetto a quelli politici e umanitari ufficiali dichiarati dal presidente americano Bush), il Financial Times sempre di ieri me li ha definitivamente tolti. A pagina 4 scrive che il Congresso (malgrado l'assenza di un gran numero di deputati che hanno lasciato Washington per una vacanza di sue settimane) ha approvato un budget supplementare di 79 miliardi di dollari: il più grande investimento singolo d'emergenza nella storia degli Stati Uniti. In cambio di 4 miliardi in più di quanto aveva richiesto lo stesso Bush, il Congresso è comunque riuscito a conservare per sé il potere di controllo sulla destinazione dei fondi che invece il presidente chiedeva di avocare a sé.

I 79 miliardi di dollari saranno distribuiti così (il conto non torna, ma il FT glissa):
  • 60 in "new defence money", fondi straordinari per la sicurezza interna e per gli aiuti a Paesi stranieri

  • 3.5 a titolo di rimborso per le compagnie aeree americane

  • 2.4 per la ricostruzione dell'Iraq

  • 7.9 per aiuti ai Paesi che hanno sostenuto l'intervento anglo-americano: Israele, Pakistan, Giordania e Turchia


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13.4.03

Le notizie che abbiamo tenuto per noi
A proposito di etica giornalistica, c'è quella di chi traduce in maniera truffaldina le fonti spacciandole per proprie, ma anche quella di chi accetta compromessi assolutamente inaccettabili. E' il caso della Cnn che, pur di tenere in piedi la redazione di Baghdad, negli ultimi 12 anni ha lasciato che i propri dipendenti iracheni, sospettati di essere di fatto al soldo della Cia, fossero sottoposti a torture inumane.

Lo racconta in un articolo, intitolato Le notizie che abbiamo tenuto per noi, Eason Jordan, chief news executive della Cnn. Che dice, tra l'altro:
Lavorare per un'organizzazione editoriale straniera non garantiva ai cittadini iracheni alcuna protezione.

Secondo Dan Gillmour, la Cnn avrebbe dovuto lasciare l'Iraq molti anni fa.

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Porte aperte in redazione
D'Avanzo e Bonini, parole del tupamaro di Information Guerrilla, fanno gli inviati di guerra traducendo la tv? Il New York Times lo dichiara in anticipo e mette a disposizione della Rete il suo Iraq Navigator, l'elenco dei siti che la redazione frequenta normalmente dall'inizio della guerra. Tra questi, anche il notiziario del Ministero dell'Informazione iracheno: oggi è stranamente Impossibile visualizzare la pagina.

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Una ma convinta parola
Leggo finalmente molti post sul... post Blog Age. Ma sul post quello vero, non le ciacole seriose come le mie. E scopro due cose:
  • I ragazzi e le ragazze hanno fatto notte bevendo birra e conoscendosi bene

  • Io non c'ero. E sapete perché? Perché sono un pirla!


A questo punto, considerati i commenti entusiastici (quello più bello è di Beppe Caravita: Ieri sera ho visto molte solitudini pronte a non essere più tali) urge nuova convocazione con fini ludici e gaudenti in altre zone d'Italia. Propongo di affidarne l'organizzazione ad Antonio Tombolini, specialista in materia, con l'indispensabile collaborazione dello stesso Beppe. Si accettano adesioni e proposte nello spazio commenti qui sotto.

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Molte ma sentite parole
Venerdì sera sono andato al Blog Age. Avevo con me il pc portatile che avrei potuto usare con il Bluetooth del cellulare, essendo ancora digiuno di wi-fi. Ma non l'ho neanche tirato fuori dalla borsa. Mi sono guardato intorno: ho contato 5 partecipanti, su poco meno di 200, attaccati wireless alla rete; tra gli altri, invece, un tripudio di moleskine, penne biro e fogli A4 sul cui retro avevano stampato post o commenti da qualche blog. Mi è bastato questo per immaginare verso cosa saremmo andati e quale sarebbe stata la risposta alla domanda che mi ero posto poche ore prima dell'inizio della tavolta rotonda: come sarà, dopo? Non sarà più lo stesso.

La realtà che è emersa, almeno ai miei occhi, è quella di una blogosfera divisa abbastanza nettamente in tre tronconi:
  • Un'élite di specialisti, ex neteconomers o nuovi studiosi dei fenomeni in rete che parlano una lingua propria, non sempre intellegibile

  • Un sottogruppo di non specialisti, ma appassionati intellettualmente all'evoluzione (e alla partecipazione a) di questo fenomeno, come parte di un sistema più complesso di comunicazione sociale

  • La base numerosa dei blogger diaristi che capiscono poco e hanno scarso interesse a entrare nei meandri della tecnologia (dai Blog Aggregators ai Feed Rss), ma che hanno intravisto nei weblog e soprattutto nella sua facilità di realizzazione un mezzo di espressione autonoma, un'interfaccia - come ha detto giustamente Mantellini - e soprattutto un'occasione


Ha ragione ancora Massimo Mantellini: è sbagliato criticare, alzare il ditino a festa finita e distruggere tutto dicendo che comunque sarebbe stato più interessante in un altro modo. Ma la evidenza della separazione nei tre tronconi emersa venerdì sera temo che inciderà su un'eventuale prossima giornata dei blogger e/o sui blog: parteciperà ancora l'élite, una discreta parte del sottogruppo, ma solo pochissimi rappresentanti della base. Non è un caso che, dopo la tavola rotonda, i commenti in rete siano stati pochi rispetto a quanto fosse lecito immaginare considerate le aspettative della vigilia. E che quei pochi (me compreso) si siano soffermati, quasi esclusivamente sul tono di certi interventi: eccessivamente politico, guerrigliero, apocalitticamente terrorizzato dall'assedio di un potere che tenta di appropiarsi della nostra capacità creativa.

Il blog è quello di Information Guerrilla, ma anche quello (molto frequentato) di una professoressa che era seduta accanto a me ed è stata riconosciuta da una sua ex allieva. E' quello di Indymedia, ma anche quello di "Zu" Pianese che ha fatto del bookcrossing intellettuale ante litteram. E' quello di Luca Sofri ma anche quello di Massaia, citata dal suddetto ma che non è stata certo invitata a parlare probabilmente poiché non considerata un caso sufficientemente "politico" da affrontare.

Se c'è davvero una distanza nuova fra questo fenomeno emergente e una tv e una stampa "sempre più fiction, sempre più integrati in un gioco di racconto quotidiano" e sempre meno attenti all'informazione di base come ha detto Formenti, è il caso di mostrarla in tutta la sua misura. Se c'è davvero una possibilità originale di interagire nella blogosfera, di scambiarsi informazioni e rapporti sociali, come ha giustamente affermato Mantellini, allora che questa interazione sia legittimata tanto fra l'élite e i non specialisti quanto all'interno della base di diaristi individualisti narcisisti e solitari, sconosciuti non necessariamente o almeno non tutti "in cerca d'autore, di grandifratelli o di un posto da veline". "Questo sono i blog - scrive Francesca Mazzuccato nell'ormai celebre Diario di una blogger, forse uno dei primi casi di instant-fiction, nel senso meno edificante della definizione: frettoloso nella scrittura, esile nella trama, presuntuoso e a tratti inutilmente provocatorio -. Riproducono perfettamente tutto, lo amplificano, e ci rendono definitivamente nauseati. Ci regalano di nuovo il silenzio".

E' questo, a mio avviso, il valore profondo del Blog Aggregator (uno dei pochi temi chiave di Blog Age, forse confinato in uno spazio troppo esiguo) o di qualcosa del genere che si voglia ulteriormente implementare. A condizione, però, che non diventi uno stadio ultimativo, ma al contrario sia un punto di partenza per la realizzazione di un network sociale molto ampio e sfaccettato basato sulla condivisione di interessi e culture di cui parlava Castells, nel quale si sviluppi "una relazione comunicativa più che una serie di informazioni" come ha detto B.George, in cui siano legittimate le forme più diverse di espressione.

Un luogo nel quale, finalmente, non ci sia più spazio per chiedersi se blogging sia giornalismo. Questo, almeno, è sicuro.

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11.4.03

I lettori d'America
Gli americani comprano più di 2 miliardi e mezzo di libri all'anno: circa nove per ciascun uomo, donna o bambino nel Paese. Sono i dati che aprono un servizio davvero curioso pubblicato da Book Magazine, dedicato ai lettori voraci: non un categoria, ma una decina di persone con volto, occhi e molto spesso occhiali.

Leggendo, si conosce la signora Harriet Klausner, n.1 dei lettori americani, capace di divorare 20 libri a settimana, uno in paio di ore. Ma anche che Condoleeza Rice, ex docente a Stanford all'età di 28 anni, è quella che legge più libri tra gli occupanti della Casa Bianca. Il resto non è noto per il suo apprezzamento per l'intellettualismo: "un'intelligenza cospicua non sembra affatto benvenuta nella Casa Bianca dall'avvento di Bush" scrive l'ex scrittore dei discorsi del presidente David Frum nel suo nuovo The Right Man, recente memoria agiografica del suo periodo di lavoro per il presidente americano. Mi sembrava che qualche motivo ci fosse...

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Stasera tutti da Blog Age
Tu ci sarai? Io ci sarò
E per farmi riconoscere,
Un bel cappello di frutta indosserò.
Poi ascolterò
e, se del caso, interverrò.

Non so come, ma Blog Age mi rende poetico. Sarà quella sensazione da Finestra di fronte, il brivido della scoperta di come siamo fatti e perché? Mah. Intanto sarò curioso di verificare quanti, dalla parola scritta, riusciranno a passare con la stessa scioltezza alla parola parlata. Non è la stessa cosa. In pochi riescono a conservarla, usando la prima persona singolare.

Tra quei pochi, Bernando Valli, l'autore dei reportage (a proposito di giornalismi, piccoli o grandi, bloggers etc.) delle prime pagine di Repubblica in questi giorni da Baghdad. Straordinari.

Il suo racconto non è mai supponente, eccessivo, autocompiaciuto, malgrado Valli abbia tutti i motivi per renderlo tale: a 74 anni, è uno dei più grandi inviati di guerra, un uomo di mondo e d'altri tempi, con una cultura straordinaria e un eccezionale senso della vita. Il suo occhio, invece, è distaccato, cronistico, leggero, "come da un aeroplano" direbbe Enzo Jannacci. E' capace di rendere mio il suo "io": da alcuni giorni sono accanto a lui e al suo autista palestinese per le strade di Baghdad; vivo il dramma di un Paese con partecipazione, commozione, ma anche con ironia.

Giovedì, a regime appena caduto, ha scritto:
Trascorro ore a guardare il regime che va in fumo. Lo spettacolo è raro. Sconvolgente, C'è un po' di sadismo a star lì a osservare la furia della gente. Una furia dissacrante. Ma sono immagini storiche. Il funerale di un regime, tra i più crudeli, capace di mandare in besta la superpotenza, merita attenzione. Colleghi giapponesi, in quello stesso momento ma in un altro quartiere, si fanno rapinare. Vengono spogliati di dollari e di telecamere. Io capito sempre bene con gli iracheni. Trovo cortesi persino gli scassinatori di negozi e ministeri. Squadre di uomini cercano di abbattere le enormi statue di Saddam. Spesso non cadono tanto facilmente.

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10.4.03

Giornalismo? La Cnn non crede nei blog
Qui si discute, negli Usa la Cnn ha stabilito che non crede nei blog. Un portavoce della rete che ha fatto chiudere d'autorità il blog di uno dei suoi corrispondenti di guerra, afferma:
CNN.com prefers to take a more structured approach to presenting the news. We do not blog. CNN.com will continue to provide photo galleries, video clips, breaking stories and interactive modules as ways to involve readers in learning about the war


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Blog, giornalismo e punto critico
Il mio silenzio degli ultimi giorni è dovuto anche al disagio che ho provato di fronte all'ennesimo dibattito sulla funzione dei weblog, sul loro essere o meno una forma di giornalismo. Un disagio comunque diverso da quello di qualche mese fa, quando provai a sottolineare le specificità di una categoria professionale, quella dei giornalisti, rispetto alla diffusione di un fenomeno che a mio avviso seguiva e segue una direzione diversa. Allora parlavo di credibilità e autorevolezza, che derivavano dall'uso corretto ed equilibrato di alcune tecniche che non tutti possono o sono tenuti a conoscere e non certo dall'iscrizione a un Albo professionale. Scrissi, insomma, che non condividevo l'opinione secondo cui chiunque possa fare il giornalista purché abbia a disposizione un medium, pur riconoscendo che possono esserci giornalisti che adoperano con superficialità o con troppa scaltrezza un potere molto grande.

Giuseppe Granieri ha riaperto la discussione, anche in vista di Blog Age, la prima giornata italiana dei blog. Mi stavo avvicinando all'appuntamento di Quinto Stato e Il Manifesto con uno spirito leggero: mi sembrava davvero l'occasione per dare un volto a un po' di nomi o di url e ragionare senza troppa presunzione su quello che stiamo facendo. Le riflessioni di GG mi hanno fatto cambiare atteggiamento e per una volta non ho condiviso il suo tentativo di teorizzare l'intero scibile. A volte, anche i guru possono esagerare.

Esagerano, ad esempio, in questo continuo generalizzare e istruire categorie per tirare delle fila che oggi sono ancora deboli e spelacchiate.
  • Generalizzando si rischia di banalizzare: è il caso di quell'elenco un po' "bignamesco" in cui GG ha risolto ciò che avviene nella produzione di un giornale. Questo è il pastone e questo è il desk; questo è un lancio di agenzia, questo un titolo. Fanno così da anni all'esame professionale ed è il motivo per cui dovrebbe essere abolito: se impari a memoria queste due dispense e indichi la differenza fra un pesce e un refuso, sei un bravo giornalista. Altrimenti, ci rivediamo fra sei mesi. Sbrigativo, banale, inutile. Poco corretto

  • Il mondo dei blog, specie in Italia, è ancora per pochi, pochissimi intimi. Quanti siamo? Un migliaio? Non credo sia una quantità sufficiente per considerare scientificamente attendibile l'analisi di un fenomeno. Chi può pensare di affermare che mille casi, molto diversi l'uno dall'altro, fanno una rivoluzione soffre di delirio di onnipotenza? Non foss'altro perché s'è già visto in passato quanto fossero azzeccate certe analisi e previsioni che sembravano infallibili: dicevano che le dotcom avrebbero cambiato l'economia, poi che gli e-book avrebbero soppiantato i libri su carta, poi che il B2B avrebbe evitato il tracollo del B2C, poi che l'informazione sarebbe stato solo gratis, poi che sarebbe stata solo pagamento, poi... Devo andare avanti?


Non capisco, peraltro, questa frenesia di assimilare a tutti i costi i blog a qualcosa. Assimilare per superare, come se non fosse accettabile lasciare che l'uso e l'abitudine, il tempo dunque, forniscano una definizione reale e corretta del fenomeno. Dobbiamo sentirci tutti giornalisti, anche se uno scrive del'acqua che bolle e un'altra mette in rete le foto dell'ultima gita fuoriporta. Il tutto, mi permetto di sintetizzare (a mio uso e consumo) il pensiero di GG, è basato su un sillogismo:
  • i giornalisti traducono, verificano se possono/vogliono e rimpastano agenzie e da qualche anno anche siti internet (con qualche rischio connesso, come quello riconosciuto da Googlea che nel suo notiziario mescola senza differenza comunicati ufficiali e notizie di fonti giornalistiche)

  • i blogger traducono siti internet, li segnalano e li condividono

  • quindi i blogger sono giornalisti


Per me, il mestiere del giornalista è un'altra cosa, anche se con il tempo ho acquisito un po' di disincanto in più rispetto a Beppe Caravita, ad esempio, e ho trasformato una passione quasi viscerale in un mestiere con regole precise. Giornalismo non è solo e necessariamente l'inchiesta che svela le verità nascoste o il reportage di guerra (idee romantiche che affiorano nell'immaginario di chi, ad esempio, sente che faccio questo mestiere e mi dice regolarmente: "Dev'essere bellissimo, eh? Viaggi, vivi di notte, conosci tanta gente..."). Ma è la produzione diretta di informazioni e la loro elaborazione mediante l'ingegno, la tecnica e l'esperienza in notizie, quindi in formati, leggibili e intellegibili. Quanti giornalisti lo fanno? Secondo me, ancora molti, nei giornali di provincia come in quelli a grande tiratura. Quanti blogger lo fanno?

Ciò che GG considera giornalismo-blogger è quello che George Steiner ha definito "informazione collage" in un'intervista in cui presentava l'ultimo libro (cito anch'io, da buon blogger, senza aver letto ancora il libro). Un patchwork di segnalazioni, da cui si parte per riflessioni, analisi, considerazioni accorate che molto spesso non rispettano le più elementari regole del giornalismo (una per tutte: quale giornale consentirebbe a GG o a me stesso di scrivere un articolo di 150 righe? ;-) ), una mediazione continua da altre fonti senza informazioni dirette, senza notizie insomma. Questo, peraltro, lo fa solo una percentuale ridotta di blogger, italiani o americani che siano: altri utilizzando questo nuovo spazio sulla rete per fini e interessi personali o comunque ben diversi. Tutti riuniti dal ricorso allo stesso tipo di tecnologia.

Mi piace elaborare, a questo proposito, le argomentazioni di Manuel Castells in Galassia Internet, pubblicato da Feltrinelli, per concludere che i blogger fanno parte di un network sociale, "una forma di comunità specializzata, vale a dire una forma di socialità costruita intorno a interessi specifici", laddove per comunità si intende, con Barry Wellman, "una rete di legami personali che fornisce socialità, supporto, informazione, un senso di appartenena e d'identità sociale".

Scrive Castells:
Il ruolo più importante di Internet nella strutturazione delle relazioni sociali è il suo contributo al nuovo modello di socialità basato sull'individualismo. Sempre di più, le persone si organizzano in network sociali che comunicano tramite computer. Così, non è Internet a creare un modello di individualismo in rete, ma è lo sviluppo di Internet a fornire un supporto materiale adeguato per la diffusione dell'individualismo in rete come forma dominante di socialità.
L'individualismo in rete è un modello sociale, non è una raccolta di individui isolati. Piuttosto gli individui costruiscono i loro network, online e offine, sulla base dei loro interessi, valori, affinità e progetti.


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Minchia, è motta RadioTcé

Domenica pomeriggio, accendo Radio3. E' l'ora del notiziario, ma mi sembra di ascoltare tutt'altro. Una voce con fortissimo accento siciliano, ma così marcato che sembra una macchietta: una trasmissione satirica con un personaggio regionale. Faccio attenzione a quello che dice: in realtà, sta leggendo le notizie del giorno. E' proprio il giornale radio. Resto in ascolto, finché scopro il proprietario di quella voce e di quell'accento. Stupisco, quasi sdegnato.
Non ho nulla contro i siciliani, nulla contro il dialetto (anzi) né la gente che non fa nulla per rimediare all'accento delle proprie origini. Ma alla radio nazionale non si può! Ho sempre pensato che la radio nazionale (o di Stato, come la vogliamo ancora chiamare), molto più che la televisione, sia la garante della lingua di un Paese e della sua sonorità.
Un anno fa, avevo aderito alle iniziative per salvare RadioTre: non riuscivo a concepire che dall'oggi al domani si potesse decidere di affidare la scelta delle sue musiche a un computer in modalità random dopo aver fatto per anni dell'ascolto guidato e ragionato un cavallo di battaglia e un'occasione di crescita collettiva. Purtroppo qualsiasi appello è rimasto inascoltato. Poi ho letto un'intervista con il nuovo direttore unico di RadioRai che quasi accettava con orgoglio le critiche sul processo di impoverimento del mezzo avviato con la sua nomina. Non volevo crederci. Domenica me ne sono convinto.


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8.4.03

A proposito della H
Sono contento di non essere da solo. Qualche giorno fa avevo dichiarato la prima vittima del conflitto sui giornali italiani: la H di Baghdad. Segnalo questo intervento chiarificatore sul Barbiere della Sera (suggerito anche da Mantellini).

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Piovono bombe
Altri tre morti a Baghdad fra i giornalisti: un inviato di Al Jazeera e due cameramen, questi ultimi vittime del bombardamento sull'Hotel Palestine. Il bilancio finora è di 12 morti e 4 feriti tra i rappresentanti della stampa internazionale.

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4.4.03

Il morbo dei permalink

Per Blogger.com, il mese di aprile ha cambiato i giorni. Gli archivi della più importante piattaforma non lo fanno cominciare il 1°, bensì il 31 marzo. E' questo il motivo per il quale i miei post non sono più raggiungibili attraverso i permalink. Ho provato a chiedere informazioni attraverso il forum degli Help, ma non ho ancora ricevuto risposta.

Per un po' ho pensato che fosse un pesce d'aprile, ora sono convinto che sia la sindrome di Google.

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Una vittima embedded

Michael Kelly, columnist della Washington Post e direttore dell'Atlantic Monthly, è stato ucciso durante un trasferimento con la Terza Divisione Fanteria dell'Esercito americano in Iraq. E' la prima vittima tra i giornalisti "embedded", cioé quelli aggregati alle truppe alleate. In questi casi, la sottlineatura vale solo per le statistiche: la morte è uguale per tutti.

Quel che è già chiaro è che non sarà sostiuito. Il Pentagono ha fatto sapere che (per usare un gergo sportivo) i titolari non potranno vere rimpiazzi e soprattutto ha detto a chiare lettere che anche i circa 600 giornalisti che finora hanno cantato le lodi delle truppe alleate sono una palla al piede. Da Editor and Publisher:
"When our forces are engaged in ground combat, it is no time to bring in a new journalist to the environment," said Col. Jay DeFrank, director of press operations for the Department of Defense, this week. "Having a journalist there complicates the situation already. Having a new person does it more so."


A proposito degli "embedded" (e del commento di Mantellini al mio post precedente), io ho vissuto un'esperienza simile a questa, sia pure in una posizione opposta e in tutt'altro clima. Parecchi anni fa (!) ho sostenuto il servizio di leva nell'Ufficio Stampa di uno Stato Maggiore italiano. Tra le mie mansioni, c'era anche quella di scrivere i comunicati stampa di cerimonie ufficiali, esercitazioni, inaugurazioni di strutture militari, ecc. Tentavo di evitare il tono retorico, ma puntavo a uno stile il più possibile giornalistico, per un motivo semplice: per esperienza diretta, sapevo che quei comunicati sarebbero stati pubblicati integralmente, e in qualche caso anche con la firma di qualche collega. E' accaduto spesso. Anche di sentir declamare i miei comunicati, virgola dopo virgola come babbo l'aveva fatti, nei servizi del Tg1 delle 20!

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3.4.03

Informazione dei figli di

A proposito di una tradizione travisata ad arte di un articolo del Boston Globe, sono volate di nuovo parole grosse su etica, autonomia e imparzialità del giornalismo. Grosse e (inevitabilmente) generalizzate. Per questo, segnalo la chiosa dell'editoriale di Gianni Riotta pubblicato oggi sulla prima pagina del Corriere della sera, che non mi sembra esattamente un giornale di partito:
Dire che la bisecolare democrazia americana e la dittatura di Saddam siano moralmente equivalenti - come tanti sciagurati fanno - è frutto di ignoranza o malafede. Le democrazie però sono tenute a uno standard etico senza equivoci o ipocrisie. Guantanamo, con le sue gabbie e i suoi cappucci, è un errore da eliminare.
Figli e figliastri?

Fin qui, il mio intervento al post di Mantellini sulla questione. Aggiungo due considerazioni più lunghe.

La prima, sempre su quanto dice Mantellini:
Se i blog in Italia potranno avere una valenza informativa importante cio' dipendera' anche da questa poverta' che li circonda. Viviamo in un mondo paradossale dove l'informazione e la fuffa rischiano di scambiarsi di posto
Speranza condivisibile o anche auspicabile, ma non facciamo diventare i blog la panacea per tutti i mali, l'unica alternativa nel migliore dei mondi possibili. Che cos'altro è un blog, se non un contenitore personale (di riflessioni, analisi, considerazioni e anche notizie) a uso pubblico? E che cosa significa quel "personale" se non "individuale", "di parte", "fazioso", "discutibile"?

La seconda considerazione contiene altre due segnalazioni.

Il ministro della Difesa Rumsfeld accusa il regime di Saddam Hussein di violare la Convenzione di Ginevra sui diritti di combattenti, prigionieri e civili. In effetti, per il modo in cui questa guerra si sta evolvendo, per quanti uomini e donne dell'alleanza anglo-americana si potrà ancora parlare a pieno titolo di militari? La vicenda della liberazione di Jessica Lynch, la ventenne che si era arruolata nell'esercito per mettere da parte i soldi e pagarsi gli studi per diventare maestra elementare catturata dalla Guardia Repubblicana e poi liberata dalla Delta Force (un corpo speciale della cui esistenza tutti sanno ma nessuno è autorizzato a parlare!), è il simbolo di un conflitto sempre più pieno di vittime civili, da una parte e dall'altra, e sempre meno "classico".

Scrive Lietta Tornabuoni su La Stampa:
(...)Sinora, per la guerra in Iraq, (gli Stati Uniti) hanno fatto cose infami. Adesso cercano altri soldati da reclutare girando nelle scuole superiori americane e obbligando i presidi a fornire recapiti: figuriamoci cosa potranno saper fare,e come, questi dilettanti assoluti.
E più avanti:
(...)Altrimenti non avremmo sentito quel militare intervistato alla tv dire che no, marciando non hanno paura delle mine perché la Cia ha disegnato preventivamente tutti i percorsi sicuri: il che vuol dire che i servizi segreti lavoravano fattivamente e concretamente a questa guerra da un bel pezzo, mentre Bush fingeva di concedere rinvii, di pregare a mani giunte perché addam se ne andasse in esilio e di rispettare l'Onu.

Mantellini fa bene a scandalizzarsi, ma cosa dovrebbero fare gli americani con i giornalisti "embedded", lontani nipotini di Hemingway? Scrive Lanfranco Vaccari su Sette in edicola domani:
Da Tucidide in poi, chiunque abbia raccontato una guerra ha fatto della propaganda e suonato la grancassa lontano da quel catalogo di errori, morti inutili e bugie ufficiali che invece rappresenta la sua ripetitiva realtà.

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2.4.03

Foto truccate

Los Angeles TimesIl Los Angeles Times ha licenziato Brian Walski, l'autore di una foto sulla guerra in Iraq pubblicata in prima pagina. L'immagine, che mostra un soldato britannico mentre si rivolge a un gruppo di civili iracheni che cercano di mettersi al riparo dai possibili bombardamenti dei propri militari alle porte di Basra, è stata ritoccata al computer, mettendo insieme due scatti successivi. Guardate qui. Qual è il problema? Secondo la spiegazione ufficiale, alcuni civili compaiono due volte!

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Una faccia, una razza

Venerdì 11 aprile, dalle ore 20, presso la Casa della Cultura, in via Borgogna 3 a Milano, si terrà la prima Blog Conference italiana: Blog Age. Nell'invito che ho ricevuto dagli amici di Quinto Stato (che organizza l'evento in collaborazione con il Manifesto), si parla di "un'occasione per incontrarsi dal vivo e stringersi la mano".

Sì, insomma, è un'opportunità per discutere di rete, tecnologia, informazione ma anche e soprattutto per dare una faccia reale a una rete di relazioni virtuale. Una faccia, una razza, quella dei bloggers.

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I lunedì al sole

Inserisco I lunedì al sole tra i migliori film in assoluto che ho visto negli ultimi anni. Un "Amici miei" galiziano più artistico, intimista, tenero e meno istrionico dell'originale. E' la storia di un gruppo di disocuppati, mandati in prepensionamento a poco più di 45 anni con la chiusura di un cantiere navale, senza prospettive e incapaci (o poco intenzionati) a procurarsene. Straordinario Javer Bardem, eccellente l'equilibrio tra i personaggi, non un momento di stanca, dialoghi di altissimo livello: un film spagnolo di respiro internazionale.

Città dell'Arte e della ScienzaCome molte cose spagnole degli ultimi tempi. Sono stato la scorsa settimana a Valencia per un servizio che sarà pubblicato venerdì sulla Gazzetta dello sport. Sono rimasto incantato dalla città, soprattutto dalla sua evoluzione, culturale e turistica. Verdissima, morbida, silenziosa eppure vivace, Valencia è la capitale di un'architettura moderna che coniuga l'arte dell'occupazione degli spazi e la massima fruibilità. La Città dell'Arte e della Scienza, progettata da Santiago Calatrava (nella foto), è qualcosa di impensabile per l'Italia, così come la decisione di deviare il corso del fiume principale all'ingresso del centro abitato per utilizzarne il letto come un enorme giardino che circonda la città per circa 10 chilometri. Si potrebbe mai fare qualcosa di simile con il Tevere?

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Le storie delle Mille e una notte

C'era una volta Baghdad, disse Shahrazad ("una creatura letteraria che, usando le tecniche e la grammatica della fantasia e l'incanto della parola riuscì a placare e trasformare la ferocia in ragionevolezza", ha scritto Donata Righetti sul Corriere della sera). C'erano una volta un califfo cattivo, simbolo dell'Islam, e un imperatore occidentale, leader della cristianità, che andavano d'accordo. E' nient'altro che la storia delle Mille e una notte, una favola tanto celebre quanto attuale, della quale si è parlato in un convegno che si è svolto a Firenze il 14 e 15 marzo.

Vedendo ormai ogni notte in tv le fiamme che accendono Baghdad, mi sconvolge il tema di una relazione che era stata programmata per il primo giorno di lavori:
Nacer Khemir, regista e narratore
L’arte di raccontare
Qui ci sono notti più belle dei vostri giorni


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1.4.03

La felicità alla moda

Leggo sul Corriere della sera di qualche giorno fa, nell'intervista ad Arpad Schilling, regista ungherese del Riccardo III che debutta stasera al Teatro Studio di Milano:
Che lato la seduce della tragedia scespiriana?
Non mi interessa l'aspetto militaresco, ma dire che la guerra è sempre stata e sarà il motore del mondo. Ce ne sono 30 ogni anno. Brutta faccenda: se scoppia la pace, non è sincera, è usata a fini personali, e la felicità è qualcosa alla moda.


Questo Riccardo III s'ha da vedere.

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