Elaborazione grafica di Guido Nestola

20.2.04

Addosso

Mi perdonerà Massimo Mantellini, ma non posso non osservare che anche i più entusiasti, come Proserpina, principessa delle Puglie, si sono stancati. Perché, più che parlare dei blog, si sta finendo col parlarne attorno, allontanandosi dalla materia, dal cuore pulsante, dalle viscere sanguinolente, dai pensieri reali, sinceri, onesti.

Mozzi, segnalato appunto da Mantellini, si preoccupa di evidenziare le modalità narrative legate ai blog. Mafe e Vanz guardano oltre, al valore educativo e socializzante dei blog per le nuove generazioni. Tutto giusto, interessante. Poi, però, leggo i timori di Vittorio Zambardino, che considero un pioniere di riferimento per l'Italia internettiana:

C'è in troppe di quelle pagine un rifiuto dell'idea stessa di un diario discusso con gli altri e una proiezione di un falso sè, molto migliore della persona reale, almeno nelle pretese. Ogni tanto ci sono solide contraddizioni a questa enunciazione. Ma accidenti quanta noia, quanta fuffa. Leggendo non si sente una persona li' dietro


e mi chiedo se non abbiamo parlato anche troppo attorno.

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19.2.04

Io faccio come Amazon

Lo dichiaro subito. Recensisco per amicizia. Jeff Bezos è già stato informato: io farò come Amazon. Per Cielo manca, il primo romanzo "adulto" di Luigi Garlando, mio caro collega alla Gazzetta dello Sport che ha già scritto cose belle (e premiate) per bambini, edito da Sonzogno. "Luis" è un giocoliere delle parole, un funambolo dei significati. E questo libro è il suo specchio: un lungo romanzo-rebus che si muove tra il calcio e i suoi ricordi, i miti a esso associati, quale quello delle figurine Panini, e che muove il cervello con leggerezza ed eleganza. A volte anche troppo lungo, va detto, ma non in maniera sgradevole.

Del resto, come può essere sgradevole la mia vita quotidiana? In Cielo manca, i riferimenti alla realtà della Gazzetta dello Sport sono numerosi, come i nomi e le situazioni. Siamo nel '97; Max, il protagonista, viene inviato da Candido Cannavò (il nostro ex direttore, ritornato spesso nei giorni scorsi in tv con il suo appassionato e commosso ricordo di Pantani) a intervistare Gianfranco Zola in occasione di un rapimento celebre, quello di Silvia Melis. Ma nella casa del grande calciatore viene a sua volta rapito, per uno scambio di persona, e questa circostanza avvia la parte prevalente del racconto: la prigionia di Max si svolge sotto il controllo di un muto che si serve delle "figu" per conversare con lui, per irriderlo, terrorizzarlo, perfino giocare a carte. A giocatore fotografato corrisponde lettera, parola o concetto, ma soprattutto ogni tipo di sentimento, in un'interminabile sfida enigmistica, fino all'happy end, che avrebbe forse meritato qualche attenzione in più. Quando cioè la Gazzetta parteciperà al pagamento del riscatto (Cannavò smetterà così di essere associato alla crasi fin troppo eloquente di Cannavaro) e Max, in omaggio all'attività realmente svolta dai genitori dell'autore, tornato a un amore più consono, conserverà con la Gazzetta solo un contratto di collaborazione e scriverà solo cronache di fantasia legate appunto alle associazioni di figurine, frasi e idee, per dedicarsi in prevalenza al commercio di vini.

Beh, Luis è così. Sottile, anche fisicamente; raffinato, con un tocco dolce, diverso, originale: lo stesso che ha durante le sfide calcistiche all'interno della redazione. Un cultore del dribbling giusto, del passaggio luminoso, ma anche del bel gol. Insomma, di un calcio pieno di poesia. Come questo libro.

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18.2.04

Feticci in tv

Domenica 22, Sex and the City chiuderà la sua luccicante baracca su Hbo dopo sei fortunatissime stagioni. Per dare un addio adeguato alle quattro protagoniste (Sarah Jessica Parker ha appena vinto il Golden Globe 2004, come Miglior Attrice) della serie tv su come vivono le donne (single) di successo a New York, è possibile partecipare all'asta di alcuni oggetti di abbigliamento e accessori indossati nel corso delle puntate. Abiti improbabili e sandali di culto, ma anche completini di underwear e grembiulini francesi in puro stile fetish. Per sole intenditrici.

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17.2.04

Blog della memoria

Gianpiero Lotito ha lanciato da poco su Kataweb un blog sulla sistematizzazione della memoria, sull'uso degli archivi moderni, digitalizzati, ecc. Il titolo è Alexandria 2020 e il tema è di grande interesse e originalità, non foss'altro per la scelta di un argomento preciso e tutt'affatto facile. Ma cade proprio su una delle chiavi della sistematizzazione dei blog: non esistono permalink ai suoi post, per arrivarci si clicca sui commenti.

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La scuola del buco

Non è un gran momento per i media. Nemmeno per quelli tradizionalmente considerati affidabili, se non autorevoli, come la Bbc (inciampata nel caso Gilligan contro Blair) o alcuni importanti quotidiani americani. A molti osservatori italiani non è sembrato vero, in questi giorni, di poter riaffermare un piccolo primato o comunque riequilibrare certi giudizi non sempre lusinghieri nei confronti del nostro giornalismo.

Mario Tedeschini Lalli ha avviato su Kataweb un blog-osservatorio molto interessante. Mentre Gianni Riotta, a proposito della scelta del NYTimes di non dare credito ai pettegolezzi sulla presunta amante di John F. Kerry, l'eroe del Vietnam in testa ai consensi democratici, o sul vecchio scoop del Boston Globe sul discusso passato militare di George W. Bush tornato d'attualità solo perché rilanciato dal regista premio Oscar Michael Moore, ha scritto domenica sul Corriere della sera:
Elitaria, arrogante, commerciale, supponente, l'informazione piagnucola sull'era d'oro degli scoop perduti e non si accorge che nell'era delle notizie globali l'aggressività posticcia è inefficace e l'etica dell'equanimità torna la risorsa migliore.


Opinioni condivisibili, che però rischiano di essere ribaltate in un amen se, domani, anche le testate più grandi dovessero scovare e intervistare la stagista cara a Kerry o trovare in qualche discarica documenti polverosi relativi all'attuale presidente. Con gli americani, il nostro rischio è spesso quello di perdere l'equilibrio o di non trovarlo esattamente a metà fra il peana per la scuola di democrazia e la critica violenta contro la censura.

Io provo a fermarmi a qualche dato di fatto. Penso alla funzione del public editor, una figura che in Italia non si conosce neanche da lontano. Il p.e. è un vero e proprio rappresentante dei lettori, una coscienza pubblica. Potere reale: zero. Valore simbolico: virtualmente infinito (a proposito, Cyberjournalist, segnala che il "p.e." dell'Oregonian ha anche aperto il primo weblog della categoria).

Il public editor del NYTimes, Daniel Okrent, ha una rubrica che viene pubblicata almeno due volte al mese. Quella di domenica 31 gennaio, riferendosi al motto del giornale (All the news that's fit to print - Tutte le notizie che sono pronte per la stampa) aveva come titolo All the news that's fit to print? Or just our news?. In pratica, ra un cazziatone a tutta pagina nei confronti di capi e redattori che non avevano ripreso, approfondito o rielaborato ben tre "buchi" ricevuti da giornali concorrenti, alcuni anche a tiratura regionale. Scrive Okrent:
Non c'è dubbio che l'elettricità competitiva che muove un giornale produca una grande quantità di benefici, come accadrebbe in un'azienda produttrice di saponi che lottasse per una quota di mercato o in un team di ricercatori che cercassero di battere altri concorrenti per una scoperta medica. Capisco perché la competitività sia necessaria a ispirare le truppe. Ma è possibile che l'insistenza del Times ad apporre il proprio stampo su qualisiasi cosa tocchi finisce con il diminuire ciò che consegna al pubblico. Se l'obiettivo di un giornale è informare i lettori e realizzare una documentazione storica, non dovrebbero coloro che lo editano raccontarci di tutto ciò che pensano sia importante, a prescindere da dove lo trovino?


Ha ragione Riotta a parlare di elitismo e arroganza a proposito della stampa americana. Ma quanti, in Italia, avrebbero fatto pubblica ammenda in maniera così dura e, soprattutto, avrebbero fornito una lezione su alcuni fondamenti del giornalismo tanto importante?

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15.2.04

PhotoLost in translation

Da Tokyo, dopo un bel film, un photoblog interessante.

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14.2.04

Il rock, Starsky e Hutch

Dialoghi sul cinemaFuoridalcoro: I giornali italiani hanno scoperto il Sundance Festival. Verrebbe da dire: Welcome. Tu, nel frattempo, cos'hai scoperto?

Mauro: Ho visto un film in anteprima: School of rock. La cosa che mi spingeva a vederlo era la regia di Richard Linklater, uno dei miei registi preferiti. Autore di un piccolo gioiello come Before sunrise (Prima dell'alba), che per anni ho amato alla follia. Linklater, texano di Austin, ha come attore-feticcio un altro dei miei preferiti: Ethan Hawke (della serie: quando i belli sono anche bravi!). Oltre a Prima dell'alba, assieme hanno fatto Tape e anche uno strano fumetto-filosofico intitolato Waking Life. Linklater ha debuttato con Slacker, un Sundancer, così come SubUrbia, altro film fatto dopo Prima dell'alba.

Ma School of Rock è completamente diverso. E la cosa più bella (oltre alla colonna sonora in questo gigantesco omaggio al rock di 110') finisce per essere l'interpretazione di Jack Black che è veramente grandiosa. Lui aveva già fatto il commesso del negozio in Alta Fedeltà e tanto altro, ma qui è fantastico. Fa ridere.

Ho visto anche i trailer del film su Starsky e Hutch. Sembra troppo bello. Starsky è Ben Stiller ed è identico. Mentre Huggy (l'informatore nero, te lo ricordi?) lo fa Snoop Doggy Dog, un rapper dalla reputazione alquanto particolare (ti basterà sapere che ha vinto anche un Oscar del Porno! evviva!...). E poi c'è Pomodoro a Strisce, l'auto per eccellenza, di cui conservo ancora il modellino che avevo da bambino!


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10.2.04

La giungla italiana del Wi-Fi

Sull'Herald Tribune del 3 febbraio, un punto aggiornato della situazione del wi-fi in Italia a firma di Elisabetta Povoledo. In sintesi:
  • Secondo un sondaggio effettuato da Libero.it, il 91% degli italiani non ha idea di cosa sia il wi-fi
  • L'Italia è in ritardo rispetto ai principali Paesi europei
  • Sono stati stimati 600 wi-fi access point, o hot spot, in Italia
  • Sono 80 nella sola Milano
  • Freestation prevede di raddoppiare entro la fine dell'anno i suoi attuali 300 hot spot
  • Telecom Italia ha in progetto di passare dagli attuali 250 hot spot a 1500 entro fine '05

Ma è questa frase, scritta a metà articolare, a colpirmi più di tutto:
There is no official up-to-date map of Italian hot spots, and the administrator responsible for Wi-Fi at the Communications Ministry says no map is envisioned. That means that finding a hot spot can be tough.

E io mi chiedo: Perché? Why? P'cche'?

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Non pressure

Note necessarieDopo il mio minuto e mezzo di vanità, ritorno alla normalità del mio blog, alle citazioni, alle riflessioni indotte da chi ha qualcosa di importante da dire e da qualcosa così chiara da non richiedere alcuna inutile e rischiosa semplificazione.
Enrico Rava, per esempio, mi aiuta a capire. Non solo con il suono meraviglioso della sua tromba, ma ora anche con le parole della sua autobiografia, Note necessarie.

Sono arrivato al jazz in ritardo e continuo ad avere lacune enormi. Il contatto è stato istintivo, motivo per il quale alcune cose cose mi piacciono, altre no e difficilmente riesco a spiegarlo con adeguati argomenti tecnici. Mi sono affidato spesso a definizioni del tipo: suono caldo, ritmo lento, atmosfera intima e profonda. Amo il primo Miles Davis, quello innovativo di Kind of blue; ma tutto è nato da una cassetta che comprai anni fa, quando ancora vivevo a Roma: Let's get lost, di Chet Baker. Mi sembrò, a me che amavo Debussy e Ravel, emozionante, di una tristezza così intensa da far venire i brividi.

Rava così scrive nell'incipit che si può scaricare dal sito di minimum fax:
Nell’inverno del 1957 vidi Miles Davis dal vivo, fece un concerto a Torino. Rimasi folgorato a tal punto che il giorno dopo mi comprai una tromba. La tromba, in sé, non è uno strumento che mi faccia impazzire. La trovo meravigliosa quando è suonata da certi musicisti, suonata con il suono scuro, usata poeticamente, non come è nella sua vera natura, cioè uno strumento militaresco.
...
Per me sono difficili gli acuti, ho sempre avuto dei problemi.
Era una delle cose che chiedevo a Chet Baker quando lo incontravo a casa di Mondini. La prima cosa che gli domandai fu la faccenda del premere le labbra sul bocchino. C’era il mito del non-pressure, cioè suonare senza pressione. Chet mi rispondeva che era una balla, che si preme. C’erano certi trombettisti americani che non premevano, questi che appendevano la tromba al filo e la suonavano senza mani sfiorando il bocchino con le labbra: non so neanche se sia vero, se sia una leggenda. Sta di fatto che quei pochi che utilizzano il non-pressure hanno un brutto suono. L’unico vantaggio è che fanno più facilmente gli acuti e si stancano meno. Per me si tratta di trovare l’equilibrio giusto, tra spingere, usare il diaframma, la pancia, e la bocca. Ma non solo, c’è anche la respirazione. Quindi basta pochissimo, è sufficiente che tu sia teso, allora il respiro non è quello che dovrebbe essere, la pressione non è quella giusta, premi troppo, premendo troppo tendi le mani, le dita poi si bloccano, allora le idee non vengono perché sei concentrato sul fatto che non ti funzionano le cose...


Quel suono scuro, l'ho sentito qualche sera fa al Blue Note, dalla tromba di Roy Hargrove. "Il suo e' un jazz senza aggettivi, purissimo e orgogliosamente tradizionale, una musica da club after hours, calda e trascinante", si legge nell'introduzione al concerto. Hargrove era pastoso, vivo, sensibile. Peccato che il gruppo che lo accompagnava fosse composto solo da buoni professionisti del jazz.

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9.2.04

Tutto in un minuto e mezzo

Naturalmente il servizio con la mia intervista è stato trasmesso oggi alle 12.45. Può essere visto ancora sul sito di La7 (cliccando sul Telegiornale) credo fino alle 19.30 di oggi.

Il risultato? Direi discreto, considerato che in un minuto e mezzo c'era troppa roba da raccontare e da spiegare. Uno sforzo generoso, malgrado qualche forzatura e un paio di concetti mooolto sintetici.

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7.2.04

Domani in tv

A meno di cambiamenti dell'ultimo momento, la mia intervista sui weblog sarà trasmessa durante il telegiornale di La7 di domani, domenica 8 febbraio, alle 12.45.

Per chi fosse interessato, questo è il blog che ho creato a titolo dimostrativo durante l'intervista.

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6.2.04

Anti doping

Salon solleva il sospetto che George W. Bush possa aver lasciato l'Aviazione nel '72 dopo l'introduzione dei test anti-droga sui piloti e i dipendenti dell'Air Force. E se facessimo fare un bel sangue-urine incrociato anche al presidente, insieme a Zidane?

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Audio unisex

Comprendo quanto sia utile prevedere per alcuni articoli anche dei file audio di lettura. Non capisco, però, a cosa serva, come fa Donga.com, un quotidiano online asiatico, che ci siano due file audio per lo stesso articolo: uno con voce maschile, un altro con voce femminile!

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Non-chalance in esergo

Da Giap, newsletter di Wu Ming, cito testualmente e sottoscrivo:
In questi tempi di merda e di sconforto, di fine di una fase del conflitto sociale (quella inaugurata a Seattle nel novembre 1999), è più che mai importante riscoprire la non-chalance come arma di lotta individuale e collettiva


A proposito di Wu Ming, approfitto per segnalare la nascita di una nuova webzine letteraria, Inciquid, su iniziativa dei 15 "lettori residenti" del gruppo. Interessante assai.

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Non per soldi ma per blog

E così anche le grandi testate lanciano i primi blog. Lo ha fatto Newsweek, con il Matha Watch, dedicato al processo contro Martha Stewart, la donna d'affari accusata fra l'altro di frode e falso, per aver venduto in anticipo una quantità enorme ed enormemente costosa di azioni sfruttando un insider trading. E soprattutto lo ha creato il New York Times, chiedendo ai propri giornalisti (e non a uno solo) di mettere in rete, in sequenza cronologica, i post personali sulla campagna elettorale per le presidenziali: il Times on the Trail.

Sull'argomento esiste già un sito dei siti, il Campaign desk, una directory di tutto ciò che è pubblicato online. E, naturalmente, sono stati avviati i primi esperimenti più o meno innovativi. Come quello di Joshua Micah Marshall, Talking Points Memo, indubbiamente riuscito. Marshall ha 34 anni e in un articolo di Daneil Weintraub sull'Online Journalism Review, viene definito (già a quell'età!) un veteran freelance writer.

Il 26 ottobre scorso, Marshall ha fatto sapere ai circa 300mila lettori medi mensili del suo blog che avrebbe voluto seguire le Primarie nel New Hampshire, uno Stato da sempre considerato una sorta di test rappresentativo di quello che potrebbe verificarsi nelle elezioni vere e proprie. Per farlo, ha chiesto ai quei circa 300mila lettori medi mensili un contributo per le spese: in 24 ore, 190 sostenitori gli hanno messo a disposizione 4800 dollari, ben più di quello che Marshall s'aspettava di raccogliere. Che, peraltro, si sono aggiunti ai 2000 dollari mensili che ricava dalle pubblicità sul weblog e ad altri 1000 e più dollari frutto di altre "donazioni" occasionali.

Andrew Sullivan, il primo blogger "professionista", impallidisce al confronto. Marshall avverte che:
I don't think everybody could do it. You have to have a threshold-size of an audience.

In realtà, scorrendo i post, si scopre che sia Talking Points Memo sia Martha Watch raccontano più spesso ciò che accade dietro le quinte che le notizie dal vivo. Barney Gimbel, l'autore del blog sul processo, nei primi giorni si è soffermato volentieri sul guardaroba della Stewart e meno sui motivi economico-legali profondi della sua vicenda. Joshua Micah Marshall, al colmo della frustrazione, il 23 gennaio ha raccontato come lavora un giornalista al seguito delle Primarie: non incontra quasi mai di persona il candidato, ma sta nella sua camera d'albergo a seguire la convention su una tv locale. Un documento di indubbio interesse per chi voglia imparare a fare il giornalista o voglia studiarne le tecniche, forse un po' meno per chi ha coperto il suo fondo spese:
The ugly truth is that I think the best place to cover a debate is probably from your hotel room. A hard to face fact; but, I believe, a reality.

Seeing it in person would certainly add something to one's reportage. But you never see it in person. Generally how it works is this: You're in a big complex and there's one large hall set aside for the actual debate. In that room you have the candidates, a few of their handlers, the moderator/questioners and the audience. Oftentimes you'll have a tiny handful of journalists there too --- but only ones from the highest echelon of the elect. Maybe a Koppel or a Mitchell --- folks like that.


Dubito che in Italia potrà mai esistere un Marshall o un Sullivan. Ma i loro casi sono le puntine (arricchite) di un iceberg nel quale, nonostante le critiche di Metitieri (noto frequentatore dei commenti al Manteblog), io continuo a credere. Anche pagare diventa una forma di partecipazione; è, nel vero senso della parola, un'apertura di credito nei confronti di un giornalista svincolato da editori, direttori o redazioni, al quale vengono riconosciute etica e qualità tecniche. In questo modo, i lettori sono sempre meno dei soggetti passivi nel meccanismo della comunicazione. Condivido quello che scrive Weintraub:
Questa è la definitiva espressione del crescente livello di interattività fra i lettori - o gli utenti - e il giornalista. Molti reporter di grandi testate curvano la schiena all'idea di un contatto diretto con i loro lettori. Ma da quando internet ha rafforzato la possibilità di questi ultimi di seguire da vicino e di verificare tutto ciò che viene loro proposto da quotidiani e networks televisivi, essi richiederanno senza dubbio un livello sempre più profondo di intimità con i loro "fornitori di informazioni".


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5.2.04

Guardatemi su La7

Sono appena stato intervistato da Raffaella Di Rosa per il telegiornale de La 7. Voi preparate i telecomandi, io vi farò sapere quando apparirò.

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3.2.04

Io, la blogstar

Quel sant'uomo di Giuseppe Granieri mi ha indegnamente inserito in un gruppo di giornalisti opinionisti (nientemeno che Giuliano Ferrara, Michele Serra, Pino Scaccia, Pietro Cheli, Raffaele Fiengo, Luca De Biase, Jacopo Jacoboni e Alessandro Zaccuri) a cui ha chiesto di spiegare il proprio rapporto con la rete. Il tutto, con annessa fotografia, si trova in edicola da oggi nell'ultimo numero di Internet News.

Il titolo dell'articolo? "Noi e le nuove comunità che raccontano il mondo". Uno di quegli argomentini da affrontare davanti a una macchinetta per il caffé. Giuseppe ne ha ricavato un quadro di grande interesse.

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Latinoamericana, il film

Narrano che volessi fare il giornalista sin da quando ero piccolo. In effetti, ricordo che a undici anni presi un paio di fogli uso bollo e li piegai in quattro: ne feci un giornale, dividendolo in colonne e riempiendolo con finti articoli e pseudo titoli. Alle Superiori, quando già lavoravo in una tv privata e in un quotidiano locale, "tirai" poche copie di un giornaletto satirico ... all'interno della mia classe.

Il blog è solo l'ultima espressione di un mio innato desiderio di comunicare. Ma, anche questo, comincia a starmi stretto. Ho ridotto la frequenza degli interventi, non tanto perché abbia poco o meno da dire, quanto perché mi accorgo di aver bisogno di uno stimolo nuovo, una soluzione. Forse una formula nuova.

Ho pensato di coinvolgere qualche amico su temi che mi interessano o mi appasionano e dei quali loro sono particolarmente esperti. Uno, Mauro Bevacqua, aveva già partecipato con un accorato commento a un mio post su Lost in translation. Ama il cinema indipendente americano e così gli ho proposto di avviare un dialogo o una rubrica, ancora non è chiaro, sul tema. Ma aspetto segnali anche da un altro amico e collega, uno dei maggiori esperti di fumetti in Italia.
Mi piacerebbe, in questo modo, far diventare Fuoridalcoro qualcosa di simile a un giornale personale alternativo; un contenitore di passioni, mie e di altri; uno strumento di condivisione e di crescita.

Vediamo come andrà. Intanto, come direbbe Dario Fo, cominciamo senz'altro...

Fuoridalcoro: Ho letto qualche giorno fa le prime recensioni a un film tratto da Latinoamericana, il diario di viaggio che Ernesto Che Guevara aveva compiuto in motocicletta. Ho amato molto quel libro (sapendolo, qualcuno ma non ricordo chi me ne ha regalato due copie: prima edizione e Universale), che cosa devo aspettarmi dal film?

Mauro: Ah, Motorcycle Diaries...
La Focus Features lo ha comprato al Sundance e da qualche parte ho letto che dovrebbe arrivare distribuito in Italia gi? attorno a marzo/aprile. Il regista è Walter Salles, quello di "Central do Brasil" che sono certo avrai visto. Che Guevara è interpretato da Gael Garcìa Bernal, già protagonista in un film spagnolo (spagnolo? credo di sì...) che avevo visto e mi era piaciuto, "Y Tu Mama Tambien". Alberto Granada oggi vive a Cuba, ma gli è stato negato un visto d'uscita per presenziare al Sundance durante la proiezione. Salles ha detto di aver fatto un film non-politico (posso aggiungere per
fortuna?), basato invece sulla ricerca di un'identità, che è l'identità di un gruppo (latino-americani) e dei suoi due protagonisti, che alla fine del viaggio avranno trovato se stessi.
Il viaggio è attraverso Cile, Perù e Venezuela. Se vuoi saperlo, quando uscirà andrò a vederlo.


Fuoridalcoro: Naturalmente sì. Intanto, però, dimmi qualcosa sull'ultima edizione del Sundance. Ho trovato su Repubblica di qualche giorno fa un articolo di Silvia Bizio in cui parlava degli affari che Robert Redford ha creato attorno al Film Festival.

Mauro: Ho letto anch'io un pezzo della Bizio sul Sundance, ma non credo sia quello cui fai riferimento tu. Il mio era il secondo/terzo giorno di concorso (16/17 gennaio, quindi), e il pezzo onestamente non mi era piaciuto. Parlava di un Redford assente, quando tutti i quotidiani americani dicevano esattamente il contrario (per la prima volta in 17 anni aveva addirittura un suo film in concorso! - in più era uscito in contemporanea al festival un libro che lo criticava anche duramente...). poi ancora box e boxini su Muccino (e qui scatta il pregiudizio antipatico), e ancora la favola che Muccino "ha vinto il Sundance". Buonanotte. Ci sono sezioni e sezioni, diciamo più o meno importanti. Certo, grande risultato l'aver vinto una di queste ultime, ma riprenderla per sparare titoloni "L'ultimo Bacio vince il Sundance" è forse un po' eccessivo... no? Dramatic Competition e Documentary Competition sono le uniche due sezioni a cui un titolo del genere può essere associato. Non vorrei sembrare pignolo, ma è come dire che Benigni con "La vita è bella" o
Salvatores per "Mediterraneo" abbiano vinto l'Oscar per il miglior film. (ops, ci siamo dimenticati solo la parola "straniero"...). Comunque evviva, siamo tutti italiani, festeggiamo Muccino con una bella spaghettata! ;-)


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A gentile richiesta

Orizzontale, partecipativo. Ormai si sa come la penso sui blog. Proprio per questo, mi rivolgo a chi frequenta queste pagine con continuità: pensate che io possa rispondere a qualche domanda (cos'è un weblog, come si può aprirne uno, perché, insomma una o più delle tante faq a cui Granieri ha appena dato una risposta ultimativa) in un servizio che verrà mandato in onda in un tg di una tv nazionale? Aspetto risposte, possibilmente entro 48 ore da adesso. Grazie.

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1.2.04

Il mondo fluttuante delle mostre

Sabato si aprirà a Palazzo reale, a Milano, la mostra su Ukiyoe, le pitture del mondo fluttuante, sulla splendida tradizione della grafica giapponese. Oggi ne ha scritto ampiamente anche l'inserto della Domenica del Sole 24 ore, chiedendo a Calza, il curatore, di raccontare, inquadrare, ambientare.


Già qualche giorno fa avevo notato il manifesto, affisso in molte fermate del metrò milanese. E mi era sembrato stranamente simile a quello di una bellissima mostra della collezione Bernati, guarda caso sullo stesso tema e con un titolo molto simile (Dall'ukiyo-e alla shin-hanga), che avevo visitato a Bologna a novembre dell'anno scorso, realizzata da Unibocultura, lo speciale dipartimento creato dall'Università che ha un calendario pienissimo di eventi, unico Ateneo in Italia mi sembra. Quando si dice la coincidenza!


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