Elaborazione grafica di Guido Nestola

9.10.06

La grande fame di Milano


Assistere a uno spettacolo dell'Alvin Ailey American Dance Theater procura un'emozione straordinaria. L'energia che tracima dal palco, in mezzo all'intreccio delle luci; la perfezione tecnica dei singoli ballerini e il sincronismo dell'assieme, l'espressività di tutti gli interpreti sono merce rara. E anche la scelta del programma, nel quale il "classico" Revelations creato dal fondatore della compagnia (morto a 62 anni nel 1989) viene proposto nella parte finale a indicare per opposizione il punto di partenza da cui muove la meravigliosa crescita recente (per definire i Gamelan Gardens di Karole Armitage, non trovo più superlativi), contribuisce a creare un evento eccezionale.

E' comprensibile, dunque, l'entusiasmo che ha sottolineato la prima serata agli Arcimboldi (e il ritorno dell'Alvin Ailey ADT a Milano 19 anni dall'ultima apparizione), a cui ho assistito. Meno gli eccessi di un pubblico, anche molto giovane: applausi non sempre giustificati a scena aperta o durante i cambi dei quadri mentre la musica era già iniziata. O forse anche quelli si possono spiegare con la fame di grande danza - e di arte e spettacolo d'altissimo livello in generale - da parte di una città che ha tenuto per troppo tempo chiuse le sue porte, nella presunzione autoreferenziale di aver raggiunto un primato effimero.

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