Elaborazione grafica di Guido Nestola

28.11.03

Se non va in tv, non è vero

Ho appena promosso sul Blog Aggregator un post su una serata a teatro. Non ci avevo fatto caso altre volte, ma non esiste una categoria nella quale possa inserirlo. Esistono: Libri, riviste e giornali; Musica; Cinema e televisione; ma non un Cultura generico. Ho scelto Altro, ma poco convinto.

Comprendo la necessità di sintesi imposta dall tecnologia e lungi da me l'idea di imputare alcunché a Granieri e Valdemarin che sin dall'inizio dell'aggregatore hanno compiuto un'opera (ora e sempre) meritoria. Ma questo caso mi ha fatto tornare in testa una riflessione che avevo fatto qualche giorno fa a proposito di Raiot.

Leggendo della conferenza stampa, convocata al volo poche ore prima del debutto (quando la trasmissione era stata sospesa per la prima volta) all'Ambra Jovinelli, ho provato la sensazione che tutta l'operazione, al di là del valore della satira e del fatto che si trovi gradevole o meno la Guzzanti, fosse stata fatta per forzare la mano. Sì, insomma, anche per dimostrare preventivamente che la Rai avrebbe messo il bavaglio a prescindere, che la satira è legata; soprattutto che non esiste più alcuno spazio pubblico che accolga una voce d'opposizione al regime.

Il fatto è che ormai qualsiasi cosa o qualsiasi personaggio deve passare dalla televisione per dimostrare la propria esistenza. E anche chi apparentemente contesta questo ragionamento lo usa come strumento. E il teatro, mi chiedo? E tutti gli altri spazi di manifestazione del pensiero e della cultura, non contano? Non sono anche quelli spazi pubblici di aggregazione, di riflessione, di conoscenza, di pensiero (e della sua libertà)? Perché, chi vuole opporsi al potere della tv non la fa davvero, ma da fuori?

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I nipotini di Testori

Il fascino di Testori sta nell'evoluzione della sua complessità filosofica e drammaturgica, nella lingua ostica, nell'elaborazione di una morale profonda, viscerale, mai scontata. Se a questa complessità si prova ad aggiungerne altra, per un tentativo originale, il rischio di debordare è abbastanza grosso, benché sia garantito dall'adesione alle celebrazioni testoriane di quest'anno. Antonio Syxty ci ha provato con Rocco e i suoi fratelli, che ha debuttato qualche ora fa al Teatro Litta di Milano.

In effetti, il titolo più corretto sarebbe il sottotitolo: La commedia lombarda. Il Rocco e i suoi fratelli di Visconti, tratto dal Ponte della Ghisolfa, è un pretesto per mettere insieme brandelli tratti qua e là (da Nebbia al Giambellino, La Gilda del Mac Mahon, ecc.) e descrivere la Milano della fine degli Anni 50 che fa da sfondo al primo Testori, quello dei Segreti di Milano appunto. Pretesto riuscito, dal punto di vista della sceneggiatuta, nella prima parte, nella quale viene conservata e rispettata anche parte del metatesto narrativo di Testori; meno da quello della messa in scena, che risente proprio della disomogeneità dei materiali. Nella seconda parte, invece, emerge quasi esclusivamente la storia cinematografica, e l'inevitabile confronto con i fratelli di Visconti è poco proponibile e molto severo. Specie per Michel Altieri, il giovane protagonista cresciuto nei musical, la cui recitazione a scatti, monodimensionale, risulta di una scarsa credibilità a tratti imbarazzante.

Funziona decisamente meglio la scenografia che rappresenta una Milano di lamiera, rugginosa e livida, fiocamente illuminata e inquadrata quasi sempre dal retro (di una palestra, di una casa, di vite che si intrecciano), sullo sfondo di un'immagine di una fabbrica, citazione (forse non del tutto involontaria) di un Paesaggio industriale di Sironi (grazie, Susanna).

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22.11.03

Tutto molto bello

Bella gente, conversazioni animate, cazzeggio adeguato, corteggiamenti spinti, scambi di sguardi insistiti, alcol ottimo e distribuito con generosità. Insomma, non so voi, ma a me la BlogFest organizzata da Neri e signora è piaciuta assai. Soprattutto perché in pochissimi si sono rifugiati attorno ai computer collegati con Fastweb: tutti avevano voglia di umanità, di normalità, di rompere le barriere della timidezza, della diffidenza o della supponenza che le macchine fanno invece tenere sempre alte.

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21.11.03

Un fez sulla terra

La strage di Istanbul mi ha indotto a riaprire un bel libro che avevo preso qualche anno fa, spinto da due circostanze coincidenti: la mia passione per la Turchia e la splendida foto di copertina, tirata seppia, che l'immagine qui a fianco rende poco. Il titolo è A fez of the heart, è scritto da Jeremy Seal ed è un classico libro inglese di viaggio che nasce da una curiosità: la ricerca delle origini di un copricapo, il fez appunto, tipico della Turchia e poi dei motivi della sua scomparsa dall'abbigliamento tradizionale.

Seal ricostruisce la storia di quel cappello, importato dalla Tunisia nel 1826 dal Grande Ammiraglio Husrev Mehmed Pasha della Flotta imperiale ottomana e recato in dono al Sultano Abdul Hamid, chiamato Mahmud II, che cercava di occidentalizzare la tradizione musulmana, cominciando proprio dall'eliminazione dei turbanti. Mahmud II era mosso dall'educazione francese ricevuta dalla madre, una concubina proveniente dall'Africa nordorientale che aveva frequentato un harem reale. Ma il suo intento modernizzatore era stato frenato dagli uomini di culto che trovavano il fez contrario alle esigenze della fede: un'eventuale visiera, che si sarebbe potuta applicare per riparare dal sole, avrebbe impedito agli uomini di toccare il suolo con la fronte durante le preghiere. Per questo, uno dei problemi principali dei soldati turchi, perfino nella battaglia di Gallipoli, è sempre stato quello di essere esposti direttamente al sole.

Nella seconda metà degli Anni 20 dell'Ottocento, il fez fu imposto per decreto, ma in molti continuarono a indossare il turbante, che fu comunque consentito per legge agli uomini di culto. Il decreto riguardava quasi tutto il mondo islamico, poiché all'inizio dell'800 il Sultano era di fatto il Califfo, capo assoluto di tutti i Musulmani. Lo stesso simbolo dell'Islam, la mezzaluna crescente, deriva dalla leggenda di un re macedone che tentò di conquistare Costantinopoli (Bisanzio, a quel tempo) nel 340 a.C. ma non vi riuscì per l'opposizione di Ecate, dea della Luna, che si velò e negò al re la luce notturna necessaria per l'attacco. E qui, Seal scrive alcune considerazioni di stringente attualità:
Even in those distant origins lies two ideas which continue to stalk contemporary Islam: the enduring threat of, and the belief in divine protection, from, the Christian West.


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20.11.03

Il dolore dei luoghi

Ieri volevo scrivere di quanto fosse bella Istanbul. Ero lì per lavoro e ho fatto, da solo, un giro tra Santa Sofia, il Topkapi e la Moschea Blu a caccia di brochures di alberghetti nella zona del centro (ne ho trovati un paio deliziosi, in una via pedonale lastricata di selciato, quasi fuori dal tempo). La città era dolce come sempre, meno caotica del solito a causa del Ramadan, addirittura silenziosa nelle stradine che stanno alle spalle dei siti più importanti. Solita Polizia (poca), soliti "moschini" che propongono acquisti di ogni genere, a mezzogiorno e mezzo la cantilena amplificata dell'imam e una lunga fila di paia di scarpe davanti alla moschea che espone i resti e i copricapi di alcuni sultani. La Istanbul di sempre, insomma, la città della quale mi sono innamorato, anche se stavolta ho rinunciato al bagno turco, una mia tradizione nella tradizione generale.

Lo so, è stupido dirlo, ma nulla lasciava presagire le nuove esplosioni di oggi. Le uniche tracce del terrore, erano i titoli strillati delle prime pagine dei quotidiani che annunciavano: "Al Qaeda è uno di noi", dopo l'identificazione dei responsabili turchi degli attentati alle sinagoghe di qualche giorno fa. Non mi sento un sopravvissuto, anche se qualche radio e qualche giornale mi ha contattato pensando (o sperando) che stamattina fossi ancora in Turchia (il mio aereo è atterrato in Italia giusto mentre lì scoppiava l'inferno). Né ieri mattina mi sono sentito Indiana Jones passeggiando per la città: per quanto mi occupi di sport, so che il mio mestiere può portarmi in luoghi a rischio ma lo accetto con serenità.

Mi sento invece impotente di fronte a tutto questo. Di fronte a questa spirale che, sarà pure stata innescata dal delirio di onnipotenza, dagli interessi personali o dalle necessità politiche di qualcuno, ma ora nessuno vuole o riesce più a fermare. Di fronte al dolore che tutto questo sta provocando, agli uomini e ai luoghi.

Così impotente, che sento di dover fare qualcosa. Per me, scegliendo l'amore e mettendolo davanti a tutto. Ma soprattutto per gli altri, scegliendo la consapevolezza e mettendola davanti a tutto.

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18.11.03

Senza parole

BlogFest 2003: Io ci sarò!

Preso da raptus bloggandi di ritorno, ho chiesto il giorno libero per non mancare alla festa di venerdì. I blog sono persone, si diceva, prima che numeri. Ne ho conosciute alcune e molte ne apprezzo. Per questo, mi fa molto piacere partecipare.

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15.11.03

Sottoscrizioni

Segnalo due post con i quali sono totalmente d'accordo e che catalogo sotto la definizione di post politici, malgrado si occupino di temi profondamente diversi l'uno dall'altro.

Il primo è quello di Wu Ming 1, About Body Bags, pubblicato su Carmilla. Cito brevemente:
Io non sono certo contento che della gente crepi, ma va ricordato che questa guerra è stata costruita su balle colossali come le ADM, l'uranio dal Niger, le diapositive mostrate da Powell all'ONU, il dossier del governo inglese che in realtà era la tesina di uno studente, i legami mai dimostrati tra Saddam e Bin Laden etc. Man mano che tutti questi motivi si rivelavano fasulli, si spostava l'accento su qualcos'altro, "il cambio di regime" etc. Uno degli scopi ufficiali era "sconfiggere il terrorismo", e invece lo hanno attizzato. Inoltre, questa guerra è stata *fortissimamente voluta* contro la stragrande maggioranza delle opinioni pubbliche e contro gli organismi internazionali.


Il secondo è di Massimo Mantellini sulla reale diffusione dei blog, sull'importanza dei legami piccoli ma forti. Egli scrive, a chiusura:
Quello che volevo dire stasera e' che certamente poca gente legge questo blog ma io di queste poche persone sono contento come mai lo sono stato dai tempi lontani in cui ho cominciato a collegare un PC ad un modem a 14400 bps.


Ho scritto qualcosa di simile alcuni mesi fa. Ammetto, peraltro, che mi ha fatto molto piacere trovare tra i commenti e le email i segnali d'affetto di alcuni stretti frequentatori (Granieri, Lamanna, Mantellini stesso) non appena sono riapparso in rete. Oltre a questo, mi ha fatto quasi commuovere proprio quell'ultima frase sul modem a 14400 bps. Ricordo quando, quando, lavorando al mio primo (e unico) sito "istituzionale", nel 1996, impazzii per alcune settimane alla ricerca di visibilità. Feci il giro di tutti i Google esistenti allora per chiedere di fare un salto dalle mie parti: volevo numeri significativi per dare un senso a quel mio essere pioniere. Oggi mi sento quasi d'abbracciare idealmente quelle 45 persone che negli scorsi giorni sono passate a vedere questa paginetta, pur sapendo di correre il rischio di non trovare niente. Un modo di umanizzare le macchine e le loro tecnologie.

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14.11.03

Le Bucoliche

Letto e sentito poco di buono negli ultimi tempi. Letto soprattutto di piante, fiori e animali, appassionandomi all'Arboreto salvatico di Mario Rigoni Stern e agli scritti di Paolo Pejrone. Che sia anch'io vittima di quella specie di sindrome di cui scriveva lunedì scorso il Corriere Economia, a proposito della scelta di molti giovani manager italiani di rinunciare a correre per la carriera, per provare a preservare un minimo di qualità della vita? Forse sì.

I sintomi sono numerosi e non da oggi. Qualche tempo fa mi soffermavo sulla parola "gentile". E la stessa gentilezza trovo in questa chiusa di Pejrone alla sua rubrica Fiori e giardini pubblicata su Ttl de La Stampa il 18 ottobre:
Un consiglio a chi ama fare felici gli uccelli (e non soltanto...): perché non appoggiare una piccola vasca di pietra (o di cemento) con due dita d'acqua in qualche posto riparato e nello stesso tempo aperto? E' sufficiente l'altezza di una pozzanghera: in modo che possano, oltre che abbeverarsi facilmente, prendere il loro piccolo bagno. Nelle isole britanniche è usanza consolidata e diffusa; l'acqua delle loro frequenti piogge sopperisce ai doveri, da noi resi più gravosi, da costanti e frequenti "spruzzate". Spesso con molto poco si può fare tanto, anzi si può fare moltissimo.

Bucolico o gentile, in ogni caso, non significa distratto, disimpegnato. Solo leggero, disponibile a un moto pacifico dell'anima in un momento in cui la pace è una speranza lontana.
E pacifico non significa passivo o non combattivo. Al contrario, tanto più ora: con tutto ciò che sta accadendo, prendere le distanze e nascondersi in un giardino incantato sarebbe inaccettabile, oltre che impossibile.

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Essere o non essere?

Serendip mi sollecita dolcemente, Squonk propone regali di Natale, Gianluca Neri (quale onore!) mi invita alla Blogfest, Mitì Vigliero continua a tenermi nella sua lista di delizie. E io? Sì insomma, mi dispiace non esserci più. Così ho pensato: piuttosto poco, pochissimo, ma almeno qualcosa. Scelto, selezionato, quanto di più urgente.

Per chi fosse interessato alla psico-sociologia del blogger, la mia lunga assenza è ascrivibile a un'improvvisa deflagrazione di "fuffa interiore" che non mi sembrava il caso di condividere in pubblico. Insomma, il cuore ha ricominciato a battere e ho avuto (continuo ad averla e spero che continui a lungo così) la necessità di sentirlo da solo.

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