Elaborazione grafica di Guido Nestola

31.12.02

Gli astrologi del weblogging

Ha ragione Mantellini quando teme che il mobileweblogging (o moblog) “trattasi di una cacchiata”. L’articolo di Glenn Reynolds, citato nel suo intervento, cita a sua volta un articolo di Justin Hall nel quale il moblog viene presentato come un’opportunità per chiunque di diventare freelance, utilizzando la tecnologia dei cellulari di prossima generazione per la realizzazione di video e immagini, e un sistema per rintracciare altri utenti di una stessa area riuniti in base a dati compatibili. Nient’altro. Bene, e la novità qual è?

In realtà, non esiste. Il moblog, così come la prospettiva suggerita dallo stesso Reynold di un video-blogging o comunque di un weblog che diventerà multimediale in breve tempo, è l’ennesimo tentativo di prevedere a tutti i costi il futuro. Come se l’esperienza degli ultimi anni non fosse stata sufficiente a indurre gli astrologi della tecnologia a volare un po’ più basso. Prendiamo proprio la multimedialità: quanti, realmente, utilizzano oggi internet per consultare file video o audio e quanti stanno aspettando l’integrazione con la tv come se fosse la manna dal cielo? Pochi.

L’unica previsione che mi sento di sottoscrivere, o comunque sento più vicina alle mie esigenze di utente tipo, riguarda la tendenza alla comunità di cui si è già discusso nei commenti al mio intervento sulle Definizioni. Ho letto le prime recensioni su Smart Mobs, il nuovo libro di Howard Reinghold.
Scrive Quinto Stato:
La rivoluzione sociale in atto sarà davvero completa quando da questo magma interconnesso sarà possibile ricavare una vera net economy. Basata sulle reali esigenze dei navigatori e non sulla speculazione finanziaria. Un primo suggerimento imprenditoriale arriva già dallo studioso, secondo il quale è fondamentale supportare, a livello tecnologico, creativo e strutturale, la condivisione della conoscenza. Solo chi sarà in grado di favorire le modalità dei nuovi rapporti sociali dell'Internet 2.0, potrà dar vita a un nuovo e stabile tipo di economico".

Che cosa vuol dire supportare la condivisione della conoscenza? Una prima risposta arriva ancora da Mantellini. In un'intervista, afferma:
"Mi piacerebbe che si sviluppassero fili elettronici fra i blog come ad esempio funzioni simili al trackback di MT che consente di legare discussioni e topic su web diversi. E mi piacerebbe che al trionfo della parola che i blog hanno nel loro codice genetico si affiancasse anche quello della interazione fra bloggers".

Un'altra arriva da Justin Hall:
"So weblogs in the future might not exist as an old media analogue: discreet publications, edited by one discreet group of people. Rather they might be something more organic: particular headlines or stories are flagged or read or marked with exclamation points by people listed in our phonebook, important news elected by a related plurality. Smart mobs of reporters, smart mobs of readers".

Ecco la comunità che segnala, elenca; ecco quella vera e reale circolazione di idee e progetti capaci di promuovere nuove conoscenze di cui parla Cesare. Un obiettivo che non è però così a portata di mano. Sull'Espresso, Tim Berners-Lee la definisce intercreatività, che prenderà il posto di interattività. Dice:
"L’Internet viene usato soprattutto per passare da un documento a un altro usando i link. La cosa importante dovrebbe essere invece collegare le energie creative delle persone, consentendo loro di lavorare insieme, di discutere collettivamente. In realtà si tratta di un obiettivo molto più difficile del previsto".

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27.12.02

Definizioni

Cominciamo a essere in tanti (secondo Wired, solo su Pyra gravitano più di 970mila utenti registrati, dai 343mila di un anno fa), quanto basta per trasformare il blogging in un fenomeno popolare e scatenare definizioni le più diverse. Dice Walter Shapiro, columnist politico di Usa Today: “Come ogni rivoluzione, anche il blogging è sovradimensionato verso l’alto, sovradisprezzato verso il basso, ma si stabilisce nel regno intermedio della realtà”.

Elizabeth Osder, insegnante alla University of Southern California’s School of journalism, definisce i bloggers dei navel-gazers, letteralmente osservatori di ombelico, “interessanti quanto quegli amici che ti mostrano il loro album di ritagli”. Individualisti, insomma, che stanno tutto il tempo davanti a uno specchio virtuale.

Mi piace di più la definizione apparsa su Microcontent: quella di blogosfera. “Se con il passare del tempo la rete è il computer, così i blog sono diventati una rete. La blogosfera è diventata un’entità vivente, capace di comportamenti difficili da prevedere. Risponde sempre più alle caratteristiche di una colonia di formiche: ogni individuo è molto semplice, ma una colonia nel suo complesso è capace di comportamenti sofisticati. La blogosfera è una forza emergente nel personal publishing”.

E’ l’idea di una vera e propria comunità, composta forse sì da individualisti narcisi che però tendono a ritrovarsi fra simili e/o affini. Anch’io ho i miei blog di riferimento, commento gli interventi di chi commenta i miei e vado alla ricerca di nuovi soggetti che possano aderire ai miei interessi e alle mie opinioni. La colonna dei Preferiti nel mio browser si allunga ogni giorno: una blogosfera retta tendente a infinito.

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26.12.02

Benigni, la Commedia e le notti di Gassman

La sera del 23 sono riuscito a seguire in tv l'ultima mezz'ora dello show (come definirlo sennò?) di Benigni: quella in cui ha illuminato gli occhi, suoi e dei telespettatori, con l'ultimo canto della Divina Commedia. Commentava, declamava, rendeva i versi popolari, intellegibili, acqua pura e trasparente.

Splendido, ho pensato. In realtà, solo Benigni, oggi, riuscirebbe a parlar di poesia (e che poesia!) in prima serata alla vigilia di Natale. E così mi è tornata alla memoria la serie breve sulla Commedia realizzata da Vittorio Gassman tre anni fa. Breve ma meravigliosa. Eppure nascosta nella notte, malgrado una regia splendida, una scelta perfetta di luoghi e scenografie e soprattutto un Gassman ispiratissimo. La si può rispolverare ancora su Raiclick. Ancora nascosta.

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Giornalisti - 2. I servi di Carlini

Una risposta del tutto indiretta al mio intervento preoccupato sullo stato dei giornali e dei giornalisti arriva da Franco Carlini sul Manifesto. La sua analisi è rassegnata per il vecchio ed entusiastica per il nuovo.

Anche le testate ultime nate (Riformista, Europa, Gazzetta Politica), dice Carlini, "sono vecchie perché il loro pubblico di riferimento è solo l'universo dei politici di professione. (...) Capita invece che altri giornalisti, sentendosi stretti nei loro luoghi di lavoro e in generale nel clima che sta vivendo l'informazione, abbiano di nuovo voglia di provarci in proprio, aprendo luoghi e siti".

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25.12.02

Giornalisti

Molti di noi, in preda a un attacco di narcisismo autoreferenziale, avranno esultato leggendo delle dimissioni del presidente del gruppo repubblicano al Congresso Usa, Trent Lott. Inchiodato da alcune dichiarazioni politicamente scorrette, è stato bersagliato dai blog che hanno ripescato negli archivi una decina di perle ancora più scorrette. Un trionfo per questa nuova forma di informazione orizzontale; uno smacco invece per i giornali "veri" che hanno invece sottovalutato, taciuto, insabbiato (do you remember Italy and the '80s?) e alla fine riconosciuto anche l'errore.

Ed è proprio questo smacco a preoccuparmi. I weblog sono interessanti, nuovi, alternativi, diciamo pure rivoluzionari, ma se i giornalisti (ri)cominciassero a far il proprio mestiere? Siamo davvero così dipendenti, ingabbiati, schiavi di questa o quella parte politica (perfino negli Usa!), da non riuscire più a esprimere le nostre opinioni o a trovare le notizie, a fare informazione vera insomma - come dice Enrico Pulcini in un articolo per altri versi discutibile -, se non su piccoli siti personali ancora senza troppa importanza?

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Comunisti

Mantellini mi indica tra i blogger di riferimento in un suo rendiconto tecnologico del 2002. Troppo buono. Ma ancora più buoni quelli che, forse desiderosi di emulare le gesta di un Parlamento nel quale chi contesta o critica democraticamente l'operato della maggioranza è altrettanto democraticamente definito "coglione" dal vicepremier, gli danno del "comunista" per un'analisi dei fatti avvenuti negli ultimi mesi. Come se "comunista", ormai, fosse diventata un'offesa e non più una condizione politica, ideologica, sociale. Come un "coglione" qualunque, insomma.

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21.12.02

Lontano dal Paradiso

Ho visto Lontano dal Paradiso, uno dei pochi film attesi dopo il Festival di Venezia, è mi è piaciuto molto. Per la ricostruzione perfetta del clima Anni 50 e soprattutto del cinema che ha ispirato; per i colori pastello; e per quella crescente voglia di rifiuto da parte della protagonista (una splendida Julianne Moore) di fermarsi alla superficie spesso squallida delle cose.

Consiglio questa recensione.

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18.12.02

Carlo Annese, giornalista
Autoreferenziali, interreferenziali, narcisi, esteti della libertà di stampa. Ne ho lette di ogni genere negli ultimi due giorni, a proposito dei weblog. Una conferma che il fenomeno (!) cresce, si diffonde, come dire attizza. E nello stesso tempo, un segnale non molto confortante. Perché tutte queste definizioni arrivano da giornalisti bloggatori. Sabelli Fioretti, Luca Sofri, Brodo Primordiale, Giovani Tromboni. Mi soffermo su alcune, correndo volentieri il rischio di diventare uno di quei "communytisti" da cui Sofri vuol mettersi al riparo.

Su Capital, Sabelli Fioretti traccia una delle migliori definizioni lette finora:
“Nella grande confusione del web, il blogger è un navigatore, un ricercatore che guarda, annusa, sceglie e propone ai suoi amici insegnando loro la strada per arrivare dove è arrivato lui”.

Poi chiude:
“E mi chiedo: come mai così pochi? Come mai i giornalisti italiani, sempre pronti a lamentarsi perché non si può dire questo e non si può scrivere quest’altro, trascurano così platealmente un mezzo che consentirebbe loro di esprimersi al massimo della libertà possibile? Forse perché continuano a pretendere che ogni loro parola sia pagata? Be’, una cosa è sicura: con i blog non si diventa ricchi”.

Bum, anzi blog. Per principio, ho evitato dall’inizio di specificare la mia professione, anche se è emersa spesso dai miei interventi, perché non è questo lo spirito della mia iniziativa e dei weblog. Essere in rete rifugge da qualsiasi tentativo di costituire categorie. E’ sufficiente questo, esserci appunto, a dare credibilità a un sito, non tanto la dichiarazione preliminare di uno stato di appartenenza. Come nella professione quotidiana del giornalista, l’attendibilità si guadagna sul campo, frequentando per abitudine verità e obiettività, e non solo perché si scriva per una testata piuttosto che per un’altra. Cominciando a scoprire il mondo dei blog, mi aveva colpito il fatto che la maggior parte fosse tenuta da traduttori: ho pensato solo a una coincidenza, perché mai (se non andando a cliccare le biografie degli autori) ho avuto la sensazione di un circolo chiuso o di gente che cercasse spazi alternativi alle case editrici.

Quella dei soldi, spero sia solo una provocazione di Sabelli Fioretti che dubito abbia prestato collaborazione a Capital rinunciando al compenso. Chi ha davvero qualcosa da dire, chi ha voglia di ragionare, attorno alla rete o a qualsiasi altro argomento, lo fa a prescindere e non per accedere a eventuali finanziamenti attribuiti per legge. Come recita il sottotitolo di un blog-esperimento letterario intitolato 48ore: E’ ora di reagire. E’ ora di scrivere”.

A Luca Sofri non piace invece la diffusione spontanea di una comunità che si autocita, che crea amicizie virtuali, di un grande forum dei blog insomma che costringerebbe tra l'altro a tenere lo sguardo basso, togliendo il tempo e il modo per cercare altre fonti. Nota la mia avversione per i siti-diario, puro esercizio narcisistico, comunque dissento (e segnalo anche le argomentazioni di Gianluca Neri). La realtà è che aumenta il numero dei giorni in cui la mia navigazione parte da alcuni blog di riferimento, per la quantità di link esterni che contengono e mi interessano. Lo sguardo è alto e profondo, la finestra non affaccia sul cortile.

P.S.: trovo deliziosa questa rubrica sul Riformista, ormai al centro del pettegolezzo politica per la presunta autrice, sul sito di Sofri.

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13.12.02

Slow

Vivo a Milano da quasi 12 anni, ma sono nato a Brindisi, dove ogni tanto ritorno per passare qualche giorno con mia madre e tentare anche qualche scoperta. L’ultima è la Torre Coccaro, una masseria del XVI secolo (la masseria è una torre di difesa, eretta contro le scorribande dei Saraceni), circondata da ulivi secolari, mandorli e carrubi a poche centinaia di metri dal mare di Savelletri, la marina di Fasano, in provincia di Brindisi. Oggi è un albergo a cinque stelle con un centro salute firmato Aveda, ricavato nella stalla in pietra dove i contadini mettevano a dimora le pecore dalle quali ricavavano una ricotta dolcissima, e una scuola di cucina addossata a una Cappella che risale al 1730 ed è tuttora consacrata. Insomma, un piccolo grande gioiello pugliese, del quale i pugliesi sanno ben poco, essendo destinato in prevalenza alla clientela internazionale del lusso e del benessere. Delizioso.

Prima avevo testato l’osteria Pantagruele, con buoni risultati, oltre a una serie di negozi di specialità alimentari, enoteche e locali dalla filosofia assolutamente originale, molto “milanese” per gusto e scelta dei prodotti e degli stili.

In generale, in questi pochi giorni, mi ha colpito la diversa concezione del tempo. Non c’è fretta, quasi mai, se non per rimuovere una macchina lasciata in doppia fila; c’è invece sempre il modo di incontrare qualcuno per chiacchierare, per scambiare opinioni, per chiedere informazioni. Mi piacerebbe, ad esempio, provare a vinificare: bene, stamattina, in un negozio di alimentari dove trascorro non meno di mezz’ora al giorno tra arrivi di nuovi formaggi e assaggi di vini locali, mi è stato presentato uno dei produttori emergenti della città (Botrugno) che mi ha invitato nella sua cantina e, senza alcun sospetto né invidia, mi ha dato subito suggerimenti preziosi.

Non credo che mai tornerò a vivere a Brindisi, per mancanza di prospettive personali e sociali, per il contrabbando eletto a ragione di vita e base dei rapporti, e per quel fiato corto che anche iniziative come quelle che frequento inevitabilmente dimostrano di avere di fronte a una clientela che solo per Natale è disposta a fare qualche “follia”. Ma quanto vorrei trasferire un po’ di quest’atmosfera slow nel grigiore di Milano: il titolare dell’osteria che si siede al mio tavolo, riconoscendo la mia curiosità gastronomica e umana; la banca in cui tutti si danno del tu e passa un’ora senza stizza, fra una cassiera di una lentezza pachidermica e una funzionaria amica di vecchia data; l’ex compagno di “giochi politici” che ti riconosce da un marciapiede all’altro e mezz’ora più tardi ti fa recapitare a casa un vassoio di pasticcini alla mandorla, quelli che ti sono sempre piaciuti. Arcadia? Utopia? Passato? O una semplice difesa dalle scorribande dei nuovi Saraceni?

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11.12.02

Blog finanziati? No, grazie

Su Apogeonline leggo di una sottoscrizione telematica avviata da cosedilegge per una proposta di legge per il finanziamento dei siti internet altamente culturali.

La proposta ammicca, è inevitabile, allo sviluppo dei weblog, laddove parla di “valorizzazione della scrittura”, “conservazione e recupero della memoria storica”, “incentivazione dlla distribuzione delle diffusione dell’informazione”. A me pare che l’iniziativa vada non soltanto contro le “regole fondamentali” di internet (libertà di espressione, realizzazione di comunità legate da medesimi interessi intellettuali e culturali) ma proprio contro lo spirito dei blog e di altre espressioni individuali pseudo-artistiche. Sbaglierò, ma non concepisco l’idea di dover essere finanziato, o sostenuto che dir si voglia, per tenere una diario personale su internet. Narcisi di tutto il mondo, ci sono euro per voi.

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Una storia americana

Due settimane fa, in occasione di un torneo ospitato dal National Golf Club di Augusta, il New York Times lancia una campagna chiedendo a Tiger Woods di boicottare la gara poiché il circolo non ammete l’iscrizione delle donne. Qualche giorno più tardi il New York Daily News denuncia sulle proprie pagine che il direttore del Times ha bocciato la pubblicazione di due rubriche, una delle quali a firma di Dave Anderson, vincitore di un Premio Pulitzer, che andavano contro la linea del giornale, costringendolo a fare marcia indietro. Venerdì scorso, infatti, Howel Raines, executive director del New York Times, annuncia che le due rubriche saranno pubblicate il giorno dopo. E spiega che:

“the editors' original objections were based not on the opinions stated in the columns but on separate concerns: one column, by Dave Anderson, about the Augusta National Golf Club's refusal to admit women, gave the appearance of unnecessary intramural squabbling with the newspaper's editorial board; the second, by Harvey Araton, which also dealt with the Augusta issue, presented problems of structure and tone."

Al di là di qualche commento (per Camillo, le donne fanno comunque bene a rimaner lontane da Augusta) e del fatto, non secondario, che di quel Circolo siano soci alcuni dei più importanti manager americani, mi chiedo se mai in Italia si sarebbe potuto verificare qualcosa del genere. Un giornale accusa un altro di aver censurato i suoi redattori? Questo decide di pubblicare, sotto una pressione etica , le due rubriche quasi scusandosi con i lettori? E, soprattutto, il direttore di una testata italiana non solo ammette l’esistenza di un conflitto tra la linea del giornale e quella di alcune grandi firme, ma addirittura afferma che una delle due ha scritto un articolo con “problemi di struttura e di tono”?

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6.12.02

Calvino, globalmente invisibile

Dal Sole24 Ore - Domenica del 24/11.

"(...) Calvino è la proposta italiana per il nuovo millennio. Ha avuto la mobilità e la vitalità di Pinocchio, ma anche l'ansiosa malinconia di Geppetto. La sua letteratura sembra scritta per un pubblico di bambini e di vecchi, non per persone impegnate nei pesanti problemi della vita adulta. Calvino ha intuito subito che gli adulti con la loro maturità non sono veramente intelligenti e che letterariamente il mondo delle passioni aveva già prodotto tutti i frutti possibili. Perciò non restavano che la geometria e le favole, il gioco dell'ordine e del disordine, cioè trasformare la cosiddetta disumanizzazione dell'arte in un piacere dello spirito. Che proporre di meglio se non una tecnica per restare di buonumore anche all'inferno?

"Molti pensano che Le città invisibili siano il capolavoro di Calvino. (...) E' il libro in cui la prosa di Calvino si avvicina di più alla poesia. Il movimento narrativo si blocca in descrizioni di oggetti sottratti al tempo, gli effetti di vicinanza sono ottenuti grazie a una lontananza inarrivabile, l'empirismo del narratore moderno entra nell'iperspazio in cui ogni città splende come un astro o una pieta preziosa, in un tempo che non è più di questo mondo.

"(...) Un libro di estasi percettiva e di scetticismo radicale. La visività di Calvino emigra nella dimensione dell'invisibile. (...) Le città invisibili sono un saluto alla vita di quaggiù. Quando un vero narratore come Calvino si dedica con tale intensità mistica e tale nostalgia all'invisibile e all'immobile, il messaggio potrebbe essere questo: il dinamismo dell'Occidente ha perso la sua originaria vitalità mondana e si torna al Medioevo, al misticismo e alla metafisica. La fuga dal mondo reale: che sia questo il vero sottofondo culturale della globalizzazione?"

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Vivere per raccontarla
Le Giraffe di Gabo

In un post precedente ho parlato delle dieci righe-dieci come di un test prezioso per le velleità di molti giornalisti scrittori. In realtà, non scopro nulla di nuovo.

Sfogliando Vivere per raccontarla, la prima parte dell'autobiografia, Gabriel Garcia Marquez racconta del suo laboratorio di scrittura: una rubrica fissa di corsivi brevi e considerazioni pungenti dal titolo "Giraffe".

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Quinto Stato
Un esempio di fonti alternative, giornalistiche e non, è Quinto stato, la nuova iniziativa (definizione più adatta forse non esiste) che vuole tentare di "riavviare la Net Economy". Se non sbaglio e se non ci sono casuali omonimie, nasce da altre esperienze, come Punto.com, che si sono rivelate e continuano a essere preziose occasioni di arricchimento oltre che di servizio.

Interessante è tutto il corollario di links, simpatizzanti e affini che apre un immenso portone su quanto proliferi in rete in alternativa alle fonti istituzionali. Ecco, quello che mi piace di più (scusate lo slancio un po' infantile) di internet è questa possibilità di partire da un punto e perdersi più o meno felicemente fra scoperte, illuminazioni, improvvise epifanie, per non arrivare quasi mai a un altro punto finale.

Due esempi tratti da questo "zapping":
Hermes, portale di filosofia telematica
La Voce, analisi e commenti di economisti autorevoli.

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Due uomini
La morte di due uomini mi ha colpito, per ragioni diverse.

La prima è quella di Antonino Caponnetto, uno dei grandi simboli della lotta alla mafia. Come Falcone, Borsellino e altri, ha cercato di rompere il silenzio e l'omertà. Con quale risultato? Oggi il premier Berlusconi, interrogato sulle presunte collusioni mafiose di uno dei suoi uomini di ferro, ha scelto di non rispondere.

La seconda è quella di Achille Castiglioni, una delle grandi menti del design italiano. Come Ponti, Sottsass e altri, ha creato oggetti di una modernità "classica" dei quali non potrei fare a meno. Sono figlio di questo design e di questa cultura.

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Spalmare è un po' morire - 4: le modalità della comunicazione

Ancora Mantellini e altri si pongono, infine, il problema delle modalità di comunicazione: dalla scrittura alla scelta e all’attendibilità delle fonti di informazione. I giornalisti, a questo riguardo, hanno perso un’altra grande occasione: nessuno si è davvero mai provato sulla sintesi, nessuno ha pensato di poter rinunciare alle proprie velleità letterarie. Come se dieci righe-dieci, brillanti o corrosive, non fossero un test straordinario, ben più importanti di articolesse da settanta e più righe, per le proprie capacità compositive. La conseguenza, oggi, è che i contenuti in rete sono sempre più nelle mani di chi produce i mezzi per usufruirne: per quanto ancora si avrà il coraggio di parlare di imparzialità? Chi non è asservito a questo tipo di logica, ha la vita durissima, i giorni contati, perché anche la passione di informare, di dire la propria, perfino la malattia dello scrivere, prima o poi battono cassa.

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Spalmare è un po' morire - 3: tutto subito

Da questo punto di vista, la grande occasione è stata persa non solo dalla Gazzetta dello sport. Lo dimostrano le difficoltà che incontrano le testate nate (e morte o in agonia) direttamente per la rete. Riprodurre virtù e vizi del giornale su carta è stato un errore. Perché la carta è un unicum, che rientra ormai nel vissuto di ciascuno di noi. La prova arriva dall’incredibile successo delle vendite dei libri in allegato con Corsera e Repubblica. I cd-rom sono già oggetti da museo, i capolavori della letteratura del Novecento riescono sempre a tirare mezzo milione di copie. Che siano letti, è un’altra storia: qui interessano i numeri, la causa più che l’effetto.

In pochi hanno avuto la pazienza di aspettare per capire come si potesse davvero far soldi con internet. Forse si è speso troppo subito per avere indietro ancora di più e in tempi ancora più stretti. Ricordo i primi tempi di Gazzetta.it, le discussioni su come e con chi realizzarlo: quando proposi di partire con almeno dieci redattori per realizzare un notiziario in tempo reale, fui preso per pazzo. Si cominciò con cinque persone facendo tre aggiornamenti quotidiani, un anno e mezzo dopo erano poco meno del triplo e si coprivano le sedi di tutte le 18 squadre della serie A di calcio. Il problema fondamentale è quello: internet non ha senso se non fa guadagnare. E rischia di travolgere adesso anche l’Eden apparente dei weblog. Leggevo qualche settimane fa sul Corriere Economia l’evoluzione di questo nuovo fenomeno: parecchie aziende lo stanno usando in intranet e pensano di proporlo per creare un contatto con il pubblico per promuovere i nuovi prodotti. Accetto scommesse sulla “nostra” sopravvivenza.

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Spalmare è un po' morire - 2: la grande occasione

La Gazzetta dello Sport ha perso la grande occasione di provare a scoprire davvero le potenzialità della rete, avendo alle spalle un editore che, dopo le iniziali forti riserve, ha deciso di investire pesantemente (la media delle perdite negli ultimi tre anni di vita del sito è stata superiore ai 7 miliardi di lire all’anno). Preoccupati di non cannibalizzare il giornale-madre, non si è fatto altro che riprodurre lo stesso sistema, lo stesso stile, la stessa impostazione giornalistica di quello su carta. La famosa interattività o l’ipertestualità sono rimasti concetti puramente teorici. Ha ragione Mantellini quando lamenta il fatto che i grandi giornali in rete facciano scarsissimo uso di link aperti (fuori cioè dal proprio sito). Io aggiungo che anche i link autoreferenziali (all’interno del sito) sono una conquista molto rara.

Internet è comunità, ma quante testate giornalistiche hanno davvero favorito lo scambio di opinioni fra redattori e lettori? Quanti hanno veramente capito che, dialogando, fidelizzando, creando community su argomenti specifici, non solo si sarebbe potuto creare nuovi mercati virtuali per gli inserzionisti pubblicitari, ma le stesse aziende editoriali avrebbero potuto comprendere direttamente esigenze, abitudini e specificità dei lettori? Il rischio per un sito come Gazzetta.it sarebbe stato quello di istruire un immenso Bar sport o un’eterna curva da stadio, ma non si è nemmeno tentato di vedere in profondità se fosse proprio così. I moderatori “naturali” di certi forum, quando chiusero quelli su Gazzetta.it alcuni anni fa, hanno trascinato con sé altrove in rete centinaia e centinaia di persone.

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Spalmare è un po’ morire - 1: la storia

Oggi, alla Gazzetta dello Sport, accade qualcosa di importante che va sotto il nome di spalmatura. E cioé l’assorbimento dei 16 giornalisti del sito internet nella redazione del giornale-madre, la Gazzetta su carta. Formalmente, nulla dovrebbe cambiare nella gestione e nella realizzazione del sito: Gazzetta.it continuerà a essere in rete, il più letto tra quelli sportivi. Anzi, l’operazione dovrebbe portare a una più stretta e ampia collaborazione fra la mitica rosea e il figlioletto tecnologico. Di fatto, molto cambierà nella gestione degli uomini (che passano sotto il controllo dei capidesk della testata-madre) e presto questo si rifletterà sulla realizzazione del giornale online. Non a caso, si parla di spalmatura e non di integrazione.

Il timore è che progressivamente Gazzetta.it venga ridimensionato fino a un collasso naturale e inevitabile. Per tanti motivi: la mancanza di un piano editoriale, la mancanza di un contraddittorio sindacale, la tendenza dei nuovi dirigenti dell’azienda proprietaria a ridurre i costi ottimizzando la produzione.

Non intendo esprimere alcun giudizio, anche perché sento di avere un po’ di responsabilità (per scelte passate) per il modo in cui questa situazione si è evoluta. Ma parto da questa circostanza per qualche riflessione sullo stato della comunicazione online in Italia, riallacciandomi anche a ciò che ho letto altrove.

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