Elaborazione grafica di Guido Nestola

29.3.05

L'operina

Da oggi è in libreria "Semplicemente Jury", l'operina che mi ha tenuto impegnato negli scorsi mesi (impegno piacevole, esperienza molto istruttiva), oltre al mol normale lavoro quotidiano. E' l'autobiografia che Jury Chechi, olimpionico degli anelli e bronzo ai Giochi di Atene 2004, ha scritto con me. Pubblicato da Sperling&Kupfer, è già stato presentato sabato da Repubblica con un'intervista di Emanuela Audisio, che si conferma una grande amica, e da Sportweek, il magazine della Gazzetta dello Sport, con un'anticipazione del prologo.
E' una cosa modesta, ma molto sentita, che verrà presentata ufficialmente lunedì 18 aprile al Teatro Dal Verme, in una serata in cui Jury si esibirà sugli anelli e darà l'addio definitivo alle gare, e sabato 7 maggio alle 15 al Caffè letterario della Fiera del libro di Torino. Beh, acquistatelo numerosi.

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28.3.05

Pasqua

Non so come abbia fatto, ma Lorenzo Mattotti è riuscito a prevedere tanto tempo fa il modo in cui ho trascorso il weekend di Pasqua. Uno dei più belli degli ultimi decenni. Come le sue illustrazioni.










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15.3.05

La periferia dei Blog - 2

E’ possibile che parlare di democrazia della rete a proposito dei blog sembri qualunquista, ma non lo è. Di sicuro, il fenomeno non è nemmeno estremo e rivoluzionario, come Nicoletti immaginava, un sistema che avrebbe potuto abbattere le limitazioni spazio-temporali, i condizionamenti sociali e culturali insomma la rete poteva essere in questo caso qualcosa di più che un limbo artificiale in attesa di un editore vero (la mancanza di interpunzioni è originale).

Il problema vero delle ruspe, il terzo della serie, è proprio questo: l’aspettativa. Non si analizza il blogging per quello che è (o, peggio, lo si travisa, lo si taglia, lo si relativizza a una sola parte, presente comunque ma non così predominante come si vuol mostrare), ovvero un strumento “popolare” in quanto semplice e diffuso per la pubblicazione di contenuti, ma per quello che dovrebbe essere, sopperendo alle mancanze di chi invece potrebbe rivoluzionare i sistemi di comunicazione dall’interno.

In questa trappola non cade solo Nicoletti, ma anche alcuni blogger, il cui atteggiamento ho liquidato forse con troppa supponenza e un po’ di snobismo nel post sul primo blogger accreditato alla Casa Bianca, per i quali i weblog devono aspirare a diventare centrali nel nuovo panorama dei media digitali, devono essere legittimati dall’alto a rappresentare un’alternativa alla carta stampata o alla televisione, occupando il loro stesso piano.

Io sono sempre più convinto, invece, della perifericità del fenomeno, ma in senso estremamente positivo. Intendo la periferia nello stesso modo in cui Ermanno Olmi, che le sta dedicando un nuovo lungometraggio, descrive quella urbana in una bellissima intervista con Maurizio Chierici pubblicata sull’Unità del 13 febbraio:
E’ la sola realtà oggi afferrabile perché non si esprime in termini ideologici, si aggrappa alla pratica quotidiana degli umiliati. Il buon senso trova ancora un suo argine nelle classi esposte alle difficoltà della sopravvivenza.
(...) Resta la spia sincera di una società in movimento. Suggerisce rimedi ai problemi che la crescita allarga. Anche l’osservatore esterno capisce che dove esistono le infezioni, nello stesso luogo si trovano gli anticorpi.
(...) Deve cambiare l’attenzione della centralità nei confronti della periferia. E’ il luogo del privilegio, del denaro, dei laboratori intellettuali, del potere in tuoi i suoi aspetti, anche positivi. Quando le periferie consolidano questo tipo di realtà, la risposta del centro è il rinchiudersi per conservare la supremazia. Pasolini ripeteva che il padre è il centro della città che comanda, la madre, periferia abbandonata.

E la concepisco soprattutto come la periferia descritta da J.G. Ballard in un’intervista ad Alias, inserto del Manifesto, del 12 febbraio:
Oggi crescono sterminate aree suburbane senza un vero centro e la rappresentazione che era propria della letteratura otto-novecentesca non può più essere applicata a queste nuove realtà.
(…) E’ un intero mondo senza centro, che ha bisogno di una nuova letteratura per essere rappresentato: la letteratura di oggi non riflette nulla di tutto ciò.

La periferia dei blog è l’informazione individuale, l’umore singolo che entra in relazione, che crea un dialogo fatto attraverso i link che non servono solo ad autolegittimarsi; è tangenziale ma, accumulandosi, può diventare a suo modo centrale.

Il risultato può essere confuso, confusionario, indefinito, irregolare, con poche strade asfaltate e molte aree incolte: una tipica periferia cittadina. Ma, come dice Ivano Fossati su Repubblica del 14 marzo:
Sento intorno a me questa confusione nell’uso delle parole, ma non credo che la scelta giusta sia quella di arroccarsi. Credo che nella confusione linguistica ci si debba mettere le mani, sporcarsele, prendere tutto quello che sta intorno, anche quello che non piace.

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La libertà dei libri - Intermezzo

Da Oltre il sipario, di Juan Goytisolo - Edizione L'Ancora del Mediterraneo:
Questa povertà e questi mercanteggiamenti appartenevano al passato, ma l'accesso a un'esistenza più o meno decente non si era tradotta nella comparsa di spiragli o lumi che contrastassero l'asfissiante oscurità e il conformismo generale. La letteratura permettera di vivere per procura. I personaggi di Tolstoj forgiavano i suoi sogni di una vita più varia. Scoprì allora che la libertà si trovava solo nei libri.

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La periferia dei Blog - 1

Il primo problema è di collocazione. Non so a che titolo intervengo: se parte di quelle decine di fighetti per fatto anagrafico (avendo in qualche modo partecipato alla gestazione del fenomeno weblog) oppure in quanto addentellato old mediatico me medesimo, disponibile dunque a classificare come sublime novità ogni loro/mio ruttino. Forse sarà bene che mi dichiari un semplice OCD, Osservatore Coinvolto ma Disincantato. E' noto, infatti, che in passato non ho condiviso proprio tutte le forme assunte dal blogging e ho partecipato a polemiche e discussioni sulla deriva di corporativismo che stava prendendo il fare blog da queste parti.

Date tali premesse, il secondo problema è di contenuto. Condivido alcune affermazioni che Gianluca Nicoletti ha espresso sull'ultimo numero di Ttl de La Stampa. Per esempio:
Avere limiti tipografici nello scrivere significa allenarsi a comprimere concetti che stimolino all'illimitatezza. Il blog invece si espande verticalmente verso il basso e tende all'infinito.
Non condivido, però, l'intento genericamente demolitorio, tanto meno parte delle conclusioni che egli trae. Ne sintetizzo alcune, le più banali e immediate, in questo post. In un post successivo, mi dilungherò su altre alle quali sarei comunque arrivato presto o tardi, anche senza che Nicoletti mettesse in azione le sue ruspe dialettiche.
  • Non tutti i blog sono uguali. Generalizzare è sempre pericoloso, ma Nicoletti con sprezzo del pericolo preferisce ancora assimilare il fenomeno esclusivamente a quella che un tempo veniva definita Fuffa. Pensavo che certe indicizzazioni fossero state superate dalle consuetudini. E soprattutto credevo che l'uso ormai diffuso del blog avesse portato alla luce molti esempi assai più illuminanti di quelli ai quali egli si riferisce. Uno per tutti: un ricercatore del Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell'Università di Bologna ha aperto questo blog per comunicare meglio con i suoi studenti.

  • Non tutti i blogger sono scrittori in erba, alla ricerca di editori su carta, di occasioni di visibilità, di acrobati della parola digitale che aspirino a un riconoscimento di chi è del giro attraverso il link
  • Non tutti i blogger sono depressi, tristerrimi, distrutti irrimediabilmente dal logorio della vita quotidiana.

Se dovessi rispondere alla domanda sottesa all'intervento di Nicoletti: perché si blogga? non andrei molto lontano. Basterebbe sfogliare l'altro inserto allegato alla Stampa di sabato, Specchio. A pagina 28, nella celebrazione dei sette anni della rubrica "Cuori allo specchio" di Massimo Gramellini, riporta il seguente dialogo:
Domanda (Giordano Stabile) - Il tuo sogno era tenere una posta del cuore. Come hai convinto il direttore?
Risposta (Gramellini) - Mi chiese di pensare a una rubrica per Specchio. La mia prima idea fu Figurine, ritratti di personaggi noti. Poi ho ascoltato il mio cuore e mi ha detto una cosa tosta: che ti frega di parlare ancora di personaggi noti, è una vita che lo fai, adesso devi misurarti con qualcosa che ti metta a contatto con le persone vere. Sarai meno letto dai potenti e più dagli esseri umani

A pagina 31 si legge ancora:
Domanda - Siamo in una società di depressi, dove si trovano alte concentrazioni di Prozac nei fiumi, come nel Tamigi.
Risposta - C'è il desiderio di dare un senso a ciò che ti accade. Per molti anni fare la posta del cuore, presso un certo tipo di lettori, era un marchio di infamia. Se chi leggeva un mio articolo di politica su La Stampa non era d'accordo, per denigrarmi mi scriveva: "Ma si occupi della posta del cuore, lei". Come se rispondere a una madre che ha perso il figlio in un incidente d'auto fosse meno complicato e qualificante che disquisire su una baruffa di potere. Ma per fortuna queste persone sono ormai una minoranza.

Della quale, evidentemente, vuole ancora far parte legittimamente Nicoletti, il quale non coglie un aspetto-chiave del fenomeno che altri, Giuseppe Granieri per primo nel suo Blog Generation che sto centellinando con piacere, definiscono la nuova democrazia della rete. Non solo e non tanto intesa nel senso di partecipazione, ma come espressione del sé. Ognuno di noi è, e il nostro essere ci autorizza a occupare uno spazio mentale che diventa dialettico e si trasforma in digitale, indipendentemente dai ruoli sociali, dalle qualifiche, dalle funzioni. I blog, insomma, sono le persone vere di Gramellini, quelle meno note e potenti che sentono, pensano, dialogano, dicono e scrivono. Sono le persone comuni che votano; si indignano; non si riconoscono più nelle forme politiche attuali; non trovano altri spazi per esprimere la propria opinione in città in cui è sempre più difficile qualsiasi tipo di relazione; espongono sui balconi le bandiere della Pace (e le abbandonano appese per anni) pur di sentirsi parte di una comunità; hanno pensieri articolati, sviluppano opinioni profonde e critiche pungenti pur di non sentirsi più parte di un conformismo a gettone; sanno scrivere (una delle scoperte più interessanti), in un Paese nel quale la nuova scuola punta a un obiettivo chiaro: l'analfabetismo manipolabile dal potere della televisione.

Nel 1998, nel tentativo di realizzare un identikit del lettore medio del sito internet del mio giornale a cui si sarebbe dovuto destinare i contenuti ed eventualmente i prodotti degli inserzionisti pubblicitari, proposi un paio di soluzioni banali. Fra queste, la più basic era la creazione di una comunità virtuale inizialmente gratuita, poi "a pagamento" sotto varie forme, attraverso la quale raccogliere e veicolare informazioni. Oggi credo che un'analisi approfondita del fenomeno weblog potrebbe assolvere a una buona parte di questa necessità: come si usa dire in politichese, i blogger sono uno spaccato sufficientemente attendibile di ciò che si muove dentro e soprattutto fuori dalla rete.

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11.3.05

Bravate a comando

In attesa che Marco risponda alla mia curiosità sul suo "Scriviamo a caso eh!" nei commenti al post sul Cermis, ecco quello che scrive Ferdinando Camon sull'Unità di giovedì 10 marzo:
Il nostro errore sta nel valutare il volo rasoterra del ricognitore americano come una "bravata" del pilota e del piccolo equipaggio. (...) Quella che ha compiuto sul Cermis il giorno della strage, e che aveva compiuto tante altre volte, non era una "bravata". Era un necessario addestramento in vista delle operazioni che avrebbe compiuto in guerra. (...) I piloti che eseguivano i voli radenti infrangevano le "nostre" regole, ma non le regole praticate o imposte dal reparto. Con ogni probabilità, sono stati assolti perché la Corte ha riconosciuto che seguivano le norme che avevano appreso. (...) Questi soldati hanno norme d'ingaggio segrete, e seguono quelle. Colpevole non è la squadretta che spara, colpevole è il Comando che gli assegna quelle regole. ma questo Comando è al di sopra della processabilità.

Lo conferma Carlo Bonini su Repubblica lo stesso giorno, spiegando che la pattuglia che ha sparato sull'auto della Sgrena aveva l'ordine di coprire il percorso dell'ambasciatore americano John Negroponte da qualsiasi pericolo.
Quando la Toyota Corolla con a bordo Calipari, Giuliana Sgrena e un secondo funzionario del Sismi sbuca dalla curva non è dato sapere se il convoglio di Negroponte sia o meno già transitato. Ma, in entrambi i casi, una cosa lascia comprendere la fonte militare. Una macchina con targa araba che si avvicina nella notte, sotto la pioggia, a velocità ritenuta "non adeguata" e "di cui la pattuglia nulla sa, né può sapere, vista la missione che sta svolgendo", sta andando dritta verso il peggio. Il soldato che spara ha in testa una cosa: "La vita dell'ambasciatore Negropone vale quanto quella del Presidente"
A caso?

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7.3.05

Sdoganati

Garrett M. Graff, fa sapere Repubblica, è stato ammesso a partecipare ai briefing della Casa Bianca come titolare di un blog. Le sue prime impressioni da "newcomer" sdoganato? Ambiente moscio, luoghi bruttini.
As glamorous as the beat itself may be, there's little glamour to be found in the briefing room. The conditions of the briefing room, famously built over the old White House swimming pool, um, leave something to be desired

Insomma, una delusione. Spesso, ci si costruisce idee illusorie, favolose, poco corrispondenti alla realtà. Ma pur di essere al centro dell'informazione, ci si accontenta di tutto...

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6.3.05

Corpo mistico

Sono ateo, ma nei giorni scorsi, quando il Papa è stato improvvisamente ricoverato e operato al Policlinico Gemelli, sono stato tra quelli che hanno pregato. So di poter essere accusato di blasfemia, ma confesso di non aver pregato per lui, piuttosto perché chi lo obbliga a mostrarsi ancora in pubblico, sofferente, malato, senza speranza contro l'incalzare del Parkinson, sia finalmente illuminato. E la smetta.

La vicenda, purtroppo, mi tocca da vicino. Sto vivendo a distanza il progresso del morbo sul corpo di una parente molto vicina: ogni giorno lucidamente peggiora, respira e si muove di meno, si deprime per la consapevolezza della propria impotenza. Ascoltare la descrizione della perdita costante delle sue funzioni o assistervi da vicino, le rare volte che ne ho la possibilità, è straziante: ne soffro io, provando un imbarazzo e un senso di disagio enormi, non so immaginare che cosa possa essere per lei. O per quel Papa, appunto, costretto a quella che Luca Fontana definisce su Diario:
l'ostensione oscena del suo corpo, non più il corpo terreno dell'uomo Wojtila, ma il corpo mistico del sovrano assoluto, unto da Dio, e che lo si mostri a garanzia e carisma del potere di chi dietro le quinte sta organizzando la difficile transizione al nuovo pontificato. Un corpo mistico in ostaggio? (...) Ogni potere assoluto sulle soglie della morte - Shakespeare insegna - finisce per essere ostaggio di se stesso, e di coloro che oltre la morte ne vorrebbero perpetuare la durata. Hans Kung, teologo inviso a questo pontificato, vede così l'attuale imbarazzato e imbarazzante momento di trapasso: "La Chiesa è segnata da debolezza senile quanto lo è questo papa".

Oggi, la mia parente ammalata mi ha detto tra le lacrime: "E' tutto il giorno che litigo con il Padreterno. Gli chiedo perché si è dimenticato di me, perchè non viene a prendermi e a mettere fine a questo strazio. Ma lui non mi risponde. Non mi risponde. Non mi risponde".

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5.3.05

In ascensore - Updated

Dalla cronaca milanese di Repubblica del 1° marzo:
La verità se la lascia sfugire un consigliere di Forza Italia, al termine della riunione del gruppo che deciderà il sorprendente Aventino della maggioranza: "Oggi non possiamo essere in aula perché non abbiamo argomenti".


Trovo oltraggioso per i cittadini milanesi il modo in cui il sindaco Albertini si è reso protagonista in questi giorni della vicenda del Teatro alla Scala. Non solo si è rifiutato di presentarsi in Consiglio comunale per rompere il silenzio imbarazzante con il quale (non) è stato spiegato il sollevamento dall'incarico del sovrintendente Fontana, ma ha costretto i suoi a far andar deserta la seduta.

Credo nella funzione dei simboli, tanto più se sono culturali: ciò che è avvenuto alla Scala, sottomessa a un potere protervo e sciatto nei metodi e nei contenuti, è lo specchio fedele di ciò che siamo diventati. E' la rappresentazione di una nuova volgarità che comanda: sottile, sarcastica, felpata, apparentemente manageriale, in realtà sempre più determinata a fare i propri affari, a piazzare i propri uomini, a cancellare la storia, la democrazia, il buonsenso.

Sostiene Lea Vergine, critico d'arte tra i più affermati e temuti, su Diario:
Milano sta dimostrando nei confronti della cultura un'anima nera, bottegaia (...). Non c'è, tra le persone delle istituzioni, nessuno che possa essere un interlocutore decente. A dirigere musei pubblici non vedo storici o critici dell'arte ma, quando va bene, intelletuali di altri settori assoldati dai politici. Sono anni che non vedo mostre decorose, se non in gallerie private.

Non vorrei, però, che la rabbia e l'amarezza provocate da questa desolazione rischiassero di prendere una pericolosa deriva nostalgica, consegnando ulteriormente la cultura e altri spazi sociali in mani inadatte; che s'allargasse a dismisura il movimento "Si stava meglio quando si stava peggio", come negli Anni 50, per esempio, ai quali non a caso è dedicata una mostra appena inaugurata a Palazzo Reale. Dice Ettore Sottsass, decano dei designer italiani, in un'intervista a Repubblica di Milano di venerdì 4 marzo:
In quegli anni la città aveva voce, non come adesso che è un po' annebbiata. Quegli anni furono un momento di estasi, la felicità di pensare cose per farle e non per venderle. Ora c'è questa pressione commerciale, che è il destino dell'industria commerciale. Tutti sono agitati per vendere, la cultura è la cultura del commercio, del denaro, della sopravvivenza mercantile. Non c'è più la voglia di essere innocenti, calmi, innamorati. Gli interessi sono altri

Al di là del fatto che Sottsass sorvoli sul fatto che siano stati proprio gli innamoramenti di quell'età dell'oro a rendere commerciale la cultura artigianale per cui oggi prova nostalgia e che sia stata l'estasi dei formidabili Cinquanta a trasformare gli oggetti di creatività in beni di consumo (molto spesso destinati a un'élite economica), è proprio questo guardarsi indietro con malinconia a colpirmi. Esistono soluzioni intermedie fra l'avventurismo arrivista e la rinuncia nostalgica. Si può gestire la Scala evitando che sia ostaggio di un gruppo di privati che contribuiscono molto meno degli Enti pubblici ma hanno evidentemente un potere di veto enormente maggiore, riconoscendo comunque loro un ruolo importante nei meccanismi decisionali pur di non perdere finanziamenti preziosi, ma restituendo alla cultura una funzione più indipendente dal business e dai bilanci.

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Tragiche fatalità / 2

Anche il pullman della Roma finisce sotto i colpi del fuoco nemico ;-))
CALCIO: ROMA-JUVE;SBAGLIO DI BUS,OGGETTI CONTRO SQUADRA ROMA

(ANSA) - ROMA, 5 MAR - Al suo arrivo allo stadio Olimpico il
pullman che trasportava i giocatori della Roma è stato colpito
per sbaglio dai tifosi giallorossi da bottiglie di plastica e
altri corpi contundenti. I numerosi ultras assiepati nei pressi
dell' ingresso carrabile hanno infatti scambiato il bus della
loro squadra per quello della Juventus. Il mezzo della Roma non
ha subito danni.(ANSA).

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Tragiche fatalità

Sapremo mai perché l'auto di Giuliana Sgrena, appena liberata, è stata puntata da un blindato americano ed è diventata il bersaglio di almeno 300 colpi esplosi da quelli che dovrebbero essere i nostri alleati? Quando la famiglia Calipari potrà avere giustizia per la morte del suo eroe? Gli Stati Uniti idealmente arrossiranno di fronte a quella che il ministro degli Esteri Gianfranco Fini ha definito "una tragica fatalità del destino"?
Dubito che si potrà mai avere una risposta a questi interrogativi, e non per un banale preconcetto. Semplicemente in base ai precedenti. I signori ritratti qui sopra sono i quattro piloti americani che il 3 febbraio 1998 uccisero 20 persone per una bravata, tranciando i cavi di una funivia nella valle del Cermis. I familiari di quelle vittime non aspettano più giustizia: tutti e quattro sono stati assolti già da molto tempo.

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1.3.05

'O pallone

Letta su un muro della discesa di Marechiaro:
Non si vive senza stadio

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Luci a San Siro

Mi è piaciuto subito lo slogan elettorale che Riccardo Sarfatti ha scelto per proporsi come candidato presidente della Regione:
La Lombardia ha bisogno di idee, non di facce
Nel trionfo di primi piani - di profilo, di trequarti - con o senza occhiali, sorridenti o pacati, che invade Milano (ma a Napoli, dove sono stato di recente, la situazione è ancora peggiore, con il successo nettissimo di BocchinoPresidente su tutti gli altri concorrenti), il ritorno al pensiero rispetto all'immagine mi è sembrato una scelta illuminata.

Ma proprio sull'illuminazione, sono costretto a fermarmi. Non capisco, infatti, perché la seconda immagine che ho trovato sul sito di Sarfatti, incuriosito dai contorni del mezzobusto che completavano lo slogan sui manifesti affissi in città, debbe contenere ben tre abatjour e/o lampade da tavolo prodotte dall'azienda di cui egli è amministratore delegato. A maggior ragione, se lo sfondo della foto ha la luce naturale di un parco che si infonde dai finestroni alle spalle del personaggio. E' bastato poco per spegnermi l'entusiasmo.

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