Elaborazione grafica di Guido Nestola

31.5.07

Gli splendidi soli non sono affatto male


Sono generalmente scettico di fronte a libri che hanno un successo troppo vasto e popolare. Così ho rinviato sempre la lettura del Cacciatore di aquiloni, pur avendo sentito amici e amiche parlarne con commozione. Fin quando, qualche settimana fa, ho dovuto prenderlo per prepararmi a un'intervista, poi purtroppo saltata per un malaugurato qui pro quo, con Khaled Hosseini in prossimità della pubblicazione del suo nuovo romanzo, Mille splendidi soli. L'ho bevuto rapidamente, con discreto piacere, nonostante qualche lentezza nella parte centrale, nella quale Amir, il protagonista che narra, prova a ricostruirsi una vita negli Stati Uniti.

Subito dopo ho ricevuto le bozze di Mille splendidi soli e l'effetto è stato ancora migliore. La storia, in fondo, non si discosta molto da quella del Cacciatore di aquiloni. Ha un taglio femminile, rispetto a quello esclusivamente maschile del debutto. Ma c'è sempre una figlia bastarda, un legame tra due persone che oscilla tra l'odio e l'amore, la morte, la sofferenza, il disprezzo di un certo potere per gli essere umani, ecc. Questa volta, però, la narrazione è molto più politica; l'Afghanistan, e Kabul in particolare, non rimane sullo sfondo, ma diventa una chiave fondamentale nello sviluppo della trama, poiché incide sulle vite dei protagonisti, ora non più in fuga. E lo stile è molto più secco, diretto, meno ampolloso della prima uscita. Credo che Hosseini abbia trovato la cifra perfetta per colpire al cuore: un linguaggio semplice, un ritmo sempre sostenuto, le piccole storie degli individui strettamente intrecciate alla grande Storia del mondo. Popolare, ma almeno di qualità.

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30.5.07

Com'è stato bello quel nostro carnevale


Per quanti, per puro caso, lo avessero perso nella mia casa più grande e istituzionale o magari su Sportweek di tre settimane fa.


A Geca, bella da commuovere

Che cosa non si fa per riconquistare un amore perduto. Si piange, si strepita, si mette in saldo la dignità, magari continuando a sbagliare. Rigoberto Aguyar Montiel ha attraversato il mondo e il '900 per inseguire l'icona del suo amore: la coppa Rimet, fusa a immagine e somiglianza di Consuelo, l'angelica andalusa che riempie i suoi sogni. Dopo Messico '70 e vari tentativi falliti, Rigoberto ruba finalmente la Diosa de la victoria, così fu ribattezzata dagli spagnoli, e il 31 dicembre 1999 racconta la propria vita a una giornalista, nel villaggio più a Sud del mondo. Qui Aguyar Montel depone la Coppa tra i ghiacci e fischia a lungo nel fischietto di un arbitro radiato: più che un finale di partita, la speranza d'un nuovo inizio.

Questa è la storia di E' finito il nostro carnevale, un libro bellissimo, che sembra scritto dal miglior Soriano, riconcilia con la lettura e fa emergere lo sport dai confini angusti del sottogenere. Ma il libro di Fabio Stassi, un 45enne che scrive ogni giorno in treno mentre raggiunge il suo posto di bibliotecario, è ben più di una trama avventurosa. Il suo Rigoberto, nero di sangue misto, nipote d'un garibaldino e figlio d'un rivoluzionario zapatista, racchiude il sogno eterno, la passione per le idee, l'opposizione a qualsiasi dittatura. Affronta la guerra civile spagnola e il nazifascismo, la repressione brasiliana e la rivoluzione di Cuba. Scrive su giornali dai nomi evocativi (La Esperanza Perdida) firmandosi Arthur Rimbaud. Conosce artisti, musicisti e poeti, e ogni incontro - da Hemingway a Django Reinhardt, da Chaplin a Vinicius de Moraes - sembra reale, inevitabile. E soprattutto scopre fenomeni e alleva campioni, quelli del grande Brasile, Pelé e Garrincha a cui dedica righe commoventi. Vive, scrive e lotta per evitare che "i registri del destino" siano "ordinari protocolli di occasioni mancate", proprio come i grandi amori perduti.

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29.5.07

Una panchina, per favore


Si definisce mobiquità. I suoi strumenti sono il pc portatile, il telefono cellulare che si trasforma in videofonino, l'iPod, la rete wi-fi (quando ci sarà e sarà per tutti). Il suo destino è quello di rendere inutile la carta, magari a cominciare da quella dei giornali: Maurizio Ferraris afferma che stiamo per diventare una generazione di sans papier. Ma tutto questo si sta sviluppando in città assolutamente inadeguate ad accoglierlo, almeno da noi, "ancora concepite - scrive Franco La Cecla - per una società che deve prima di tutto circolare velocemente a piedi o in macchina, mentre i cittadini che hanno voglia o bisogno di fermarsi devono farlo in luoghi di consumi appositi: bar, ristoranti, negozi.

Salvo rarissime eccezioni, non esiste nelle grandi città, Milano per prima, uno spazio pubblico in cui fermarsi a scrivere, leggere sms, comunicare con gente lontana, sfogliare videoquotidiani, cercare e ricevere informazioni. Siamo costretti a pascolare in strade senza panchine o a elemosinare sedie promiscue in locali nei quali un caffé è da bere maledettamente bollente e in fretta. Una generazione di sans papier, in piedi.


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28.5.07

Fuoridalcoro, al cinema




immagine da it.movies.yahoo.comCerco di essere fuori dal coro di nome e di fatto. E dico che Mio fratello è figlio unico è di una superficialità fastidiosa e il commosso gran parlare di Le vite degli altri mi ha fatto rivalutare gli ultimi barlumi di lucidità di Tullio Kezic.

Non c'è stato uno che non abbia detto quanto fosse bello Mio fratello è figlio unico. La critica di sinistra, poiché il film è figlio della scuderia di Moretti (che ora si ama sempre e comunque, lui che è stato tra i grandi in fila sul palco di Cannes); la critica di destra, perchè per la prima volta si affronta con indulgenza il neofascismo attraverso un personaggio, quello di Elio Germano, che ispira simpatia. Essendo nato nel 1964 in una piccola città del Sud, ho sempre pensato di essere stato sfigato, perché non ho vissuto nulla da dentro: nel '68 tiravo i capelli alla figlia della maestra d'asilo; nel '69 ho fatto l'esame per la "primina"; nel '77 tenevo una delle due copie del Male distribuite in città sotto il banco della scuola media e mia madre mi vietava di andare alle riunioni del Centro sociale perché "in quei posti non si va e basta". Così, da lontano, ho idealizzato quel periodo, le manifestazioni, il Movimento: mi sembrava tutto eroico, straordinario, di grande profondità intellettuale.

Se dovessi giudicarlo oggi, sulla base di questo film, direi che non ho capito niente, che non mi sono perso niente, che le assemblee si risolvevano in discussioni rumorose nelle quali nessuno sentiva l'altro e si finiva irrimediabilmente con i pugni alzati, che le manifestazioni erano un'accozzaglia di slogan imparati a tiritera, che quelli di sinistra erano degli snob un po' stronzi che prendevano il microfono per far colpo sulle ragazze e poi, per fuggire dalle responsabilità, si davano alla lotta armata. Quegli "anni formidabili" sono stati questa enorme banalità? Quei dibattiti era giusto che finissero, trent'anni dopo, in un copione pieno di battute facili e di personaggi che fanno ridere con tenerezza, come si fa con i parenti un po' picchiati, ma simpatici e carini? Mi ostino a pensarla diversamente.


immagine tratta da trailer.mymovies.itAllo stesso modo, non c'è stato uno che non abbia detto quanto fosse bello Le vite degli altri. La critica di sinistra, perchè la Stasi è stata la Stasi e noi il Muro l'avremmo sempre voluto abbattere, anche se poi quelli della Germania Est non è che ci stiano proprio simpatici, in fondo sempre tedeschi col calzino canettato bianco sono; la critica di destra, perché beh noi l'avevamo sempre detto che dietro il comunismo si nascondeva la dittatura moderna più sottile e avanzata.

L'unico a non pensarla così è stato Kezich, appunto: troppo spesso proprio questa critica militante dell'una e del'altra parte ha messo il contenuto davanti alla tecnica, il messaggio politico davanti al cinema. Se penso che questo film ha vinto l'Oscar per il miglior film straniero, facendo fuori Nuovomondo di Crialese, un po' mi incazzo. Per me, cinema è suggestione dell'immagine, che a volte ripete la realtà ma molto più spesso si deve creare; è costruzione di un pensiero attraverso inquadrature, tagli di luce, dialoghi. Nuovomondo era tutto questo, sicuramente molto di più di Le vite degli altri, che aveva peraltro dei buchi nella ricostruzione di un clima molto più plumbeo di quello nel quale la storia dei due amanti e del loro "orecchio elettronico" si svolge. Uno era un film, poetico, visionario, immaginifico; l'altro è un documento, elaborato con grande qualità, sensibilità e passione, sconvolgente per gli aspetti storici e umani che porta in evidenza, ma sempre un documento.


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27.5.07

Giovani nel Partito Democratico. Io sottoscrivo


Luca Sofri mi ha inserito nella sua mailing list per promuovere un appello, firmato da molti, perché il Partito Democratico consideri "saggi" anche uomini e donne al di sotto dei 40 anni. Io, di anni, andrò presto a farne 43, ma non mi considero né vecchio né border line rispetto a questa specificazione generazionale. Mi sento profondamente dentro quel 20-40 a cui Luca (e gli altri) si riferiscono, tanto più dopo aver letto e scritto dell'età giovanissima di alcuni ministri del nuovo governo Sarkhozy: al di là della trovata propagandistica o populista, un trentanovenne responsabile dell'Istruzione superiore è qualcosa di impensabile nel nostro Paese. Il senso di appartenenza deriva anche dalla sorpresa di non trovare, tra i nomi dei "saggi" che stanno provando a mettere insieme ciò che comunque appare incomprimibile prima ancora che se ne cominci a parlare, quello di Filippo Andreatta, che pure alcuni mesi fa mi sembrava tra i più attivi nel tracciare teoricamente la strada per la formazione del Partito Democratico. Ho conosciuto Filippo in una occasione e, al di là di ciò che scrive e pensa (che ho condiviso da subito), mi è sembrata una splendida persona: probabilmente continuerà a lavorare dietro le quinte, non so, ma se si fosse trovato il modo per farlo apparire sulla scena, sarebbe stato di sicuro un buon segnale.

Di seguito, l'appello che sottoscritto in toto e a cui alcuni giornali hanno già dato, per fortuna, un buon risalto.

Care persone del Comitato per il Partito Democratico,Ci risolviamo a scrivervi perché abbiamo letto nelle parole di alcuni di voi un disagio in cui ci siamo riconosciuti sui primi passi del Partito Democratico.Noi siamo italiani tra i venti e i quarant’anni, che investono molta speranza nelle possibilità di cambiare le cose della politica italiana, la cui “crisi” è ultimamente sottolineata anche da molti di voi che la frequentate da tempo. E il Partito Democratico ci sembra un’occasione unica per lavorare a questo cambiamento: persa questa, non ne capiterà un’altra molto presto. Per questa ragione, i modi della composizione del comitato di cui fate parte hanno un po’ gelato le nostre speranze, e ci sembra di capire che alcuni di voi condividano questo spaesamento. Senza voler sindacare sui singoli nomi e sulla loro rappresentatività nell’Italia del 2007, ci sembra però inevitabile la meraviglia per la totale assenza in questo comitato di persone che abbiano meno di quarant’anni, e per la presenza di sole quattro persone nate dopo gli anni Cinquanta. Accidente assai spiacevole, per un organismo che ha come priorità il rinnovamento e la sfida con il futuro. In Italia ci sono 28 milioni di persone che hanno meno di quarant’anni. Tra di voi, neanche una. Perciò, intuendo di poter trovare presso molti di voi la stessa volontà di superare questa distrazione e di dare un segno anche di capacità di emendamento rispetto a meccanismi che i cittadini finirebbero per leggere come retaggio di ciò che si dice di voler superare, vi offriamo una proposta. Aggiungiamo subito altri dieci nomi al Comitato per il Partito Democratico, scelti tra i molti che nella politica e nella società hanno già dimostrato capacità o sostegno popolare ampi e convincenti, e che siano per anagrafe e sensibilità rappresentativi anche dell’altra metà degli italiani: dieci sono pochi, ma è qualcosa. Fatto 45, si fa 55. Se doveste immaginare ragioni per trovare questo numero stonato, vi suggeriamo allora di valutare l’ipotesi che il ruolo da voi ricoperto nel Comitato non sia insostituibile, e che le persone del centrosinistra giudicherebbero molto positivamente quelli di voi che lo cedessero a una persona più giovane. Ma anche 55 è un bel numero: è un numero di Fibonacci, e un numero di Kaprekar. Comunque decidiate, quelli che seguono sono alcuni suggerimenti che – nelle differenze – ci pare possano corrispondere ai criteri di cui abbiamo detto:
Mario Adinolfi, giornalista
Sandra Savaglio, astronoma
Matteo Renzi, Presidente della Provincia di Firenze
Anna Maria Artoni, imprenditrice
Ivan Scalfarotto, dirigente d’azienda
Alessandro Mazzoli, Presidente della Provincia di Viterbo
Marta Meo, architetto
Giuseppe Civati, consigliere regionale della Lombardia
Carlo Fayer, consigliere comunale a Roma
Michela Tassistro, Istituto Nazionale di Fisica della Materia
Eleonora Santi, staff del Sindaco di Roma
Giovanni De Mauro, direttore di Internazionale
Pierluigi Diaco, giornalista
Marco Simoni, economista
Lorenza Bonaccorsi, Capo della Segretria del Ministero delle Comunicazioni
Gianni Cuperlo, deputato
p.s. no, non siamo solo persone tra i venti e i quarant’anni: escludere delle generazioni è una sciocchezza.

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