Elaborazione grafica di Guido Nestola

31.7.02

Il dio di Roserio - 1

Pensavo alle regole della scrittura in rete, mentre leggevo l'introduzione di Vittorio Spinazzola a Il dio di Roserio, il primo romanzo di Giovanni Testori, un'opera del '54 ripubblicata da poco negli Oscar Mondadori. Ne riporto alcuni brano, malgrado siano molto lunghi, troppi per le regole di internet.

(...)L’intenzione mimetica, che dal dialogo riverbera nella diegesi, si affaccia anche nelle locuzioni pretenziosamente sostenute, improntate a una retorica melodrammatico-fumettistica, la più disponibile ai propositi di innalzamento tonale degli strati subalterni. Il vero cambiamento di registro si attua solo quando l’io narrante gestisce in voce indubbiamente impropria il racconto. A imporsi è allora la tipologia di un italiano mediobasso, ma preciso e asciutto. La sintassi si scarnifica nella tendenza a un fraseggiato uniproposizionale, con altissima frequenza del nesso sospensivo costituito dai due punti. Colui che narra si fa osservatore asettico dei processi di realtà più momentanei, scomponendone le fasi attimo per attimo. Valga ad esempio l’attenzione fenomenologica con cui sono seguiti i gesti del Pessina mentre si spoglia prima di coricars, a sera: “Si portò di nuovo sul tappetino smunto, che era di fianco al letto. Piegò una gamba: allungò la mano: si sfilò la calza: la guardò. Gettò la calza sulla sedia. Si sfilò anche l’altra. Gettò anche quella sulla sedia”.

Anche in un passo di questo genere, dunque, la distanza del narratore dal personaggio è più apparente che reale: resta però l’adozione di un andamento sintattico che oltrepassa, sia pure per via di semplificazione, non di complicazione scoordinata, le capacità espositive del protagonista.

Un’osservazione analoga vale per l’altra, più importante forma in cui l’io narrante ostenta la ricchezza delle sue doti di scrittura: la trasfigurazione delle percezioni confuse e sconnesse di personaggi popolari in stato di alterazione psichica e febbrile. La dominante stilistica è allora il turgore espressionistico della visionarietà, sostenuta da una sintassi emotiva, fluida e singultante, dove le reiterazioni ossessive si accompagnano alle impennate delle esclamative o interrogative(…)

L’adeguamento alla condizione psicofisica del personaggio in causa è impeccabile: basta vedere la serie anaforica dei nessi temporali elementarissimi, “Poi” “Poi” “Poi” “Poi”, usati dal Consonni mentre cerca di ricostruire minutamente ciò che gli è accaduto prima dell’incidente (…)

Nei suoi esiti più suggestivi lo stile testoriano è quello di una sorta di violentazione, di stupro della realtà, fisica e fantasmatica. Non per nulla il termine “orgasmo” torna a più riprese nel libro. E l’ansietà isterica suscitata dalle gare negli spettatori li mostra in preda a un’eccitazione di tipo morbosamente voyeuristico.


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Le regole oltre i contenuti - 3: Regole per chi?

Se tutto questo è stato in qualche modo codificato, mi chiedo perché soltanto in pochi, specie in Italia e in particolare nei siti giornalistici, ne tengano conto e ancora meno lo applichino. Sono sempre più frequenti, infatti, articolesse la cui lunghezza supera 60-70 righe dattiloscritte, prive di link ipertestuali all'interno o all'esterno del proprio sito e con un pessimo uso della grafica che spesso riproduce la classica divisione per colonne della carta stampata.

Per non parlare del pessimo uso della multimedialità: video o audio lunghissimi, talvolta veri e propri telegiornali o esercitazioni di protagonismo da parte di chi avrebbe sempre desiderato apparire in tv ma si è ... ridotto a internet.

Insomma, come si temeva, non molti sono riusciti a cogliere la novità, ad accettare la specificità del medium e delle sue regole e ad adeguarvisi, studiando e applicando quella che qualcuno ha definito una "scrittura mutante", da modellare sulla e per la rete. Io stesso, scrivendo queste note, mi rendo conto della prolissità delle argomentazioni: per questo, ho provato a dividerle in paragrafi, anche se la forma obbligata del blog non aiuta questo sviluppo. Di questo, scriverò ancora.

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Le regole oltre i contenuti - 2: Utenti e tempi di connessione

Alla Webusability si affiancano altre considerazioni, più elementari ma non meno efficaci. Che tengono conto della durata media dei collegamenti da parte degli utenti, della divisione di questi ultimi per fasce di appartenza (professionali, privati, ecc.) e quindi dei luoghi da cui avvengono le connessione. Più che scientifiche, queste sono statistiche, le ultime pubblicate da Infocity il 15/3/02, secondo cui:
  • l'85% dei 9.5 milioni di utenti internet italiani si collega da casa

  • il 37% anche o solo dall'ufficio



Ma dall'analisi dei consumi (pagine viste, tempo di collegamento e tempo effettivamente impiegato in rete), risulta che il peso dell'utenza business è di molto superiore rispetto a quella casalinga.

Questo significa che si devono modulare i contenuti, e quindi la scrittura per il web, in funzione di queste abitudini di lettura. Servono, pertanto, testi brevi, didascalici, evidenziati non solo da una titolazione evidente ma anche dal cosiddetto paratesto, ovvero parole chiave, evidenziate all'interno del testo, testi dei link, caption (i sommari, detta in italiano), ecc., tutti microtesti in parte già presenti nei prodotti tradizionali, che però in Internet assumono un ruolo chiave, un'evidenza tutta nuova. Testi e grafica, quindi, vanno sempre concepiti assieme.

A questo proposito, è molto istruttiva l'intervista a Franco Tomasi apparsa su Il mestiere di scrivere, uno dei siti italiani di riferimento.

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Le regole oltre i contenuti - 1: Webusability

Chi scrive per la rete deve affrontare un duplice problema:
  • la ricerca dei contenuti

  • l'esposizione dei contenuti



Se per il primo, tutto è legato alla natura del sito e ai suoi obiettivi (che sia di informazione pura o di business applicato), per cercare di risolvere il secondo esistono delle regole, Discutibili, non applicabili d'imperio, ma pur sempre delle regole, frutto di un metodo deduttivo. Si sono visti cioè gli effetti di certe scelte e, dopo una serie di valutazioni, controprove e conferme, si sono ricavate alcune affermazioni di principio.

Queste regole sono la base della Webusability, di cui Jakob Nielsen è il guru riconosciuto. Nielsen parte da alcune constatazioni diciamo pure scientifiche:
1. la lettura da uno schermo di computer è il 25% più lenta di quella su carta,
2. il 61% degli utenti non legge integralmente un testo da uno schermo di computer, ma ne effettua uno scanning prendendo alcune parole o alcuni segni come punti di riferimento visivi,
3. la lunghezza di un testo scritto per uno schermo di computer dev'essere ridotta del 50% rispetto a quella di un testo scritto su carta.

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30.7.02

Saper leggere, saper scrivere - 2: Luca Sofri

Marco, su Blog.it, ha segnalato l'ultimo articolo apparso sulla stampa a proposito dei weblogs: quello di Luca Sofri sul Foglio di sabato 27 luglio. Non è un caso che certe buone abitudini si tramandino geneticamente e questo pezzo ne è la prova.

Buona lettura è, infatti, quella che Luca Sofri ha fatto dal Wall Street Journal, anche se sinceramente proprio da lui, che da un anno cura un weblog, mi sarei aspettato una maggiore autonomia di giudizio. Non è necessario che sia il WSJ a parlarne, perché l'argomento diventi interessante, importante, assuma le dimensioni del fenomeno sociale. Tanto più, se non si aggiunge neanche un cenno a quello che sta accadendo, sia pure su scala ridotta, anche in Italia.

Forse sarebbe stato più utile chiedersi appunto quanti siano nel nostro Paese quei blog che la titolazione del Foglio indica come "La nuova rivoluzione dei siti giornalistici". E soprattuto se in Italia esistano dei margini reali (sensibilità, audience potenziale, ecc.) per realizzare quel tipo di giornalismo "ciclinprop", come si scriveva nelle pubblicazioni politico-studentesche di venti anni fa, a cui si fa riferimento nell'articolo. Se abbiamo insomma superato la fase di contenuto autoreferenziale oppure per noi il blog sia soprattutto un grande diario di bordo per persone che si sentono perennemente compresse nelle proprie ambizioni e nelle proprie aspirazioni letterarie, artistiche, filosofiche o anche solo tecniche.

Un'occasione perduta?

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Saper leggere, saper scrivere - 1: Adriano Sofri

Pensavo a questo assioma, leggendo il pezzo di Adriano Sofri sulla prima pagina della Repubblica di sabato 27 luglio e poi la rubrica Piccola Posta apparsa lo stesso giorno sul Foglio. Nel primo, Sofri si soffermava sull'etica della Borsa dopo i casi che hanno sconvolto Wall Street, citando Voltaire. Nella seconda, riportava brani dalla Rassegna di Studi Penitenziari del '57 sull'uso della musica nel trattamento terapeutico, sul "delirio secondario reattivo", e altro.

Non solo le citazioni sono sempre opportune e quasi sempre apparentemente effetto del caso, il che le rende molto più accettabili rispetto ad altre inserite spesso a forza, con supponenza, un esercizio di cultura insomma fine a se stesso ("mentre ragionavo sul caso Worldcom, mi è capitato tra le mani un libro di Carlo Ginzburg su Voltaire..."). Ma l'abitudine, purtroppo forzata, alla loro lettura ho la sensazione che incida molto profondamente sulla linearità dello stile di Sofri, sulla capacità di esporre il suo pensiero: quella che Italo Calvino aveva definito "leggerezza" nelle sue Lezioni americane.

Non vorrei sembrare blasfemo né paradossale in questo pensiero-ossimoro, ma ho come l'impressione che la lettura, la ricerca del testo e nel testo, abbia liberato il pensiero di Sofri e la sua abilità comunicativa.

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29.7.02

Piccola psicologia

Comunicazione, linguaggio, internet. Tutto è legato, tutto è psicologia. Diciamo e pensiamo quello che siamo; scriviamo quello che elaboriamo. E' molto indicativo che oggi, dopo aver appena lanciato nella rete il mio piccolo weblog, abbia sentito l'impulso irrefrenabile di mettere in ordine (il mio ordine maniacale) i tanti libri nuovi che si sono accumulati negli ultimi mesi sugli scaffali della libreria.

Come se da dentro arrivasse forte e concreto il messaggio, che è poi uno dei fondamenti del mio mestiere: per scrivere si deve leggere. Per saper scrivere si deve saper leggere.



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Primi aggiustamenti

Ho lavorato tutta la notte, come facevo una volta. Per sistemare, pulire, cambiare i colori, aggiungere qui e togliere là. Con l'entusiasmo che avevo allora. Forse quel mi piace di più dell'"essere in rete" è proprio l'idea di poter creare qualcosa, di avere le potenzialità per produrre contenuti più che per fruirne. E questo blog è l'ultima dimostrazione.

Sono piccole cose, ma molto mie, che sento il piacere di condividere con un ideale qualcuno. Per questo, proverò presto ad affrontare qualche argomento sul quale chi mai dovesse capitare da queste parti può esprimere la propria opinione: il lingaggio della rete, ad esempio.

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28.7.02

Dal Web al Blog

Comincio anch'io, per la stessa curiosità che mi mosse 8 anni fa a imparare le regole essenziali dell'html. Allora fu mio padre a farmi conoscere il web: non aveva mai acceso un computer (ed è morto con questo primato), ma era sempre attento a tutte le novità che arrivavano dal mondo. Un giorno lesse un articolo su Internet (la "e" era accentata, meridionale) e mi disse: "Don Cicci', hai visto questa cosa nuova che hanno fatto in America. Perché non te ne occupi? Dicono che è il futuro". Me ne occupai, capii che sarebbe diventato presto il presente, comprai un modem, consultai faticosamente i primi siti e un anno dopo tirai fuori un sito. Artigianale ma efficace, di pubblico interesse: il primo sito ufficiale della Federazione ginnastica d'Italia. Comprai le prime riviste in cui comparivano articoli dedicati solo a siti americani, poi il primo libro in italiano su Html 4.0. Copiai i primi script, creai i primi frame, inserii le prime foto .....

Otto anni dopo, dicono che il blog sia il futuro. E' la democrazia, è l'informazione libera e gratuita (anche se il fatto che debba ospitare una pubblicità, mi fa dubitare subito). E allora scrivo, senza sapere benissimo che cosa e dove mi porterà.
Proprio questo, ho l'impressione che sia stato finora uno dei problemi principali di tanti siti internet, grandi e piccoli, scomparsi o ridimensionati, morti o abbandonati. Il piacere della scoperta, la grande novità che arrivava da lontano, dall'universo infinito, hanno quasi costretto a esserci ma non avendo ben chiaro il modo in cui esserci. Si doveva prima imparare, verificare, capire se fosse possibile far business in rete, se il linguaggio dovesse essere diverso da quello usato nella comunicazione a cui eravamo abituati, se si dovesse studiare una grafica ad hoc.

Molti si sono buttati comunque. Qualcuno forte di un grande marchio alle spalle, altri del proprio coraggio e del proprio istinto. Il risultato? Una rete che coniuga a fatica business e contenuti, che ora costa come un prodotto qualsiasi e, soprattutto, che è spesso illeggibile.

Comincio da qui. Non prometto niente, solo me stesso.



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