Elaborazione grafica di Guido Nestola

25.2.03

La pubblicità è l'anima...
Mi sono aggregato all’Aggregator di Blog Notes, ho inserito un feed RSS, è già da tempo usavo la notifica degli aggiornamenti sul Weblogs.com. Insomma, mi sono reso visibile, perché ha ragione chi ha scritto qualche tempo fa che non ha senso metterti in rete con un weblog se non pensi di farti leggere. Ma mentre lo facevo ho anche cercato di misurare le mie reazioni, di riflettere su quanto stavo facendo.

E’ vero, l’Aggregator richiede un impegno ulteriore alla scrittura dei post (20 secondi è in effetti il tempo richiesto), ma mi consente anche di selezionare quello che voglio promuovere e quello che invece intendo lasciare alla eventuale scoperta random di chi frequenta il mio sito. Il tutto rientra nel più classico meccanismo della pubblicità di un prodotto (intellettuale in questo caso) che produce un duplice effetto.

Da un lato, è molto gratificante poter verificare quanti utenti abbiano cliccato sul mio pseudo-ads contenuto nell’Aggregator. Dall’altro, però, questo potrebbe prima o poi indurmi non solo a selezionare ancora più severamente i post da promuovere, ma addirittura a scrivere un post che so essere “popolare” anziché un altro meno interessante per i miei lettori. Faccio un esempio. Ieri ho pubblicato due post: uno sull’acquisizione di Pyra Labs da parte di Google, l’altro su una riflessione-recensione sul film di Muccino. Ho inserito entrambi nell’Aggregator: per il primo sono stati contati 15 click, per il secondo appena 4. Prima di farmi di nuovo prendere dall’istinto del critico cinematografico, potrei pensarci talmente a lungo, da rinunciare a scriverne. Insomma, il rischio è che, sulla spinta dei dati di audience, mi faccia influenzare dai numeri al punto che il mio weblog, da luogo di ritrovo e sintesi di riflessioni e pensieri spontanei e del tutto personali (che piacciano o no, non importa), si trasformi in un contenitore di soli argomenti sui quali ottengo un riscontro di pubblico.

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24.2.03

Chiedilo al giornalista
Naturalmente nelle applicazioni citate nell'intervento precedente non ho inserito quelle a cui ho (inutilmente) pensato a proposito di giornali. Questo, per esempio, è il blog dei critici cinematografici del Los Angeles Times, sul quale i lettori possono chiedere ai recensori un'opinione sul film o su singoli aspetti delle pellicole.

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Glogger: vediamo come va
In attesa di conoscere progetti e dettagli dell'operazione, mi sono fatto qualche idea sull'acquisizione di Pyra (e quindi di Blogger) da parte di Google.

  • L'operazione è riuscita a dare validità e importanza a un fenomeno che era stato trattato negli ultimi tempi in modo non sempre edificante. Dai diari intimi o dai siti di freelance spericolati che non avrebbero avuto futuro né audience, si è passati a considerare i blogs un nuovo strumento di comunicazione, una parte essenziale dell'ecosistema di Internet.
  • Servirà inoltre a verificare la capacità del fenomeno dei weblog di generare utili. Scrive Mark Glaser: History teaches us that when search sites, especially uncool portals like Yahoo and Lycos, decided to buy up hot "personal Web site" growers, GeoCities and Tripod (respectively); the results were less than astounding financially.
  • Consentirà di promuovere sviluppi tecnici e applicativi per i weblog. Scrive Gino Roncaglia: i servizi weblog possono servire a molto più che a gestire siti personali o blogzine ad aggiornamento periodico: possono essere integrati (e saranno sempre più spesso integrati) in siti commerciali, giornalistici, educativi, di comunità. Una posizione di leadership nell'erogazione di tali servizi può offrire un discreto cavallo di Troia...

Io, per esempio, ho già fatto alcune proposte concrete ad alcuni conoscenti: un blog per una università o una singola facoltà (gli insegnanti comunicano attraverso il sito con gli studenti e il resto della comunità accademica), uno per una rivista letteraria, uno per una banca di solidarietà. E siamo solo all'inizio.

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Il mio weblog alla fermata del metrò
Delle migliaia di bloggers di New York City, finora 1922 hanno reso disponibile il loro indirizzo reale. Su nycbloggers, è visibile una mappa dei siti attraverso le fermate del metrò a loro più vicine.

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23.2.03

Si perdono le parole
A proposito di oralità e memoria, segnalo questo stralcio da un carteggio fra Christian Raimo e Emanuele Trevi, pubblicato sulla newsletter della community della casa editrice minimumfax:

Raimo: Le statistiche dei giornali dicevano che l'italiano medio si è ridotto da 1500 a 650 parole negli ultimi anni. E allora vogliamo capire come questa cosa ha a che fare con la nostra concezione e con la nostra sensibilità rispetto al mondo? Qui non si tratta solo di sociolinguistica, qui si tratta di capire a livello letterario come sono mutati i rapporti delle strutture narrative, delle parole, dei loro riferimenti semantici, e soprattutto dell'immaginario.

Trevi: Io penso che bisogna sempre commisurare la propria maniera di esprimersi agli individui ai quali si parla o si scrive, da questo punto di vista mi ritengo anche abbastanza soddisfatto, forse ce la farò a superare lo scoglio epocale. Il segreto ? Mi sembra questo: rimanere sempre attaccati a un’idea della propria oralità, alla grana di una voce che deve risuonare, in qualche modo, nelle parole scritte.


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22.2.03

Teatri da non perdere
Mi ha entusiasmato la semplice, profonda, intensa leggerezza di Anna Bonaiuto e Toni Servillo in Sabato, domenica e lunedì, ora al Piccolo di Milano dopo una serie di recensioni guistamente molto positive.

Purtroppo, (come si dice) per impegni sopraggiunti, devo rinunciare a vedere Fabbrica di Ascanio Celestini, un altro "must" della stagione. Celestini è un grande affabulatore che ha ricostruito storie tramandate oralmente, quasi rispondendo a un'esortazione che avevo trovato il 30 gennaio sull'Unità a titolo di un articolo di Beppe Sebaste: Ora non dimentichiamoci di ricordare.

Scrive Sebaste:
"testimone" è una parola che viene dal latino e significa "superstite", cioè sopravvisuto. L'atto del testimoniare, quindi, anticamente si chiamava "superstizione" e significava il "dono della presenza", o del presente, che la testimonianza conferisce quando si affida al racconto e alla memoria.

Di questo, peraltro, aveva già accennato nell'ultimo romanzo Tolbiac, edito da Baldini e Castoldi. Ma più avanti aggiunge:
Senza memoria non c'è futuro. Ma la memoria è qualcosa che non si delega ad altri, tantomeno a supporti materiali. La memoria si iscrive nella carne e nell'anima. E il moltiplicarsi dei suoi supporti tecnologici impoverisce la nostra esistenza, fatta del ricordare e tramandare.

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Niente slogan, please
Secondo Drudge Report, la Cbs ha una gran paura che la cerimonia di domani per la consegna dei Grammy Awards possa trasformarsi in una grande manifestazione contro la guerra.

"I would hope the artists will remember they are on stage because of their music," a top CBS source told

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Google e la paura del mainstream
Leggendo dell’acquisto di Pyra Labs (da cui è nato Blogger) da parte di Google, ho avuto una reazione immediata: sposto Fuoridalcoro su un altro server! Pur non sapendo ancora che cosa questa cessione comporterà, ho avuto paura di farmi mangiare dal gigante, ho inavvertitamente associato Google a Microsoft e i due ragazzi partiti da una nuova formula di database a Bill Gates. Forse è il caso di aspettare.

Intanto, però, segnalo alcune riflessioni che questa operazione ha mosso. Per molti di noi, un deja vu. Scrive Bill Thompson su BBC Online:

Ridiculous comments, such as Dan Gillmor's claim that "with the advent of weblogging, the readers know more than the journalists" only stoke the fires of hyperbole and do not help us understand this new tool.

Blogging is not journalism.

Often it is as far from journalism as it is possible to get, with unsubstantiated rumour, prejudice and gossip masquerading as informed opinion.

Without editors to correct syntax, tidy up the story structure or check facts, it is generally impossible to rely on anything one finds in a blog without verifying it somewhere else - often the much-maligned mainstream media.


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Mia sorella non fa la velina
Non sopporto più le banalizzazioni della maggior parte dei magazine italiani. Non accetto più che il Mondo, l’Europa o l’Italia siano analizzati con domande epocali (il maglione a collo alto è di destra o di sinistra? la station wagon è borghese o new economy? Amendola è boro o fenomeno?) a cui non c'è mai risposta. Tantomeno che si parli solo di veline o di tv anche a proposito di film, libri et similia che contengono argomenti e messaggi più complessi.

E’ il caso di Ricordati di me. Presentando il film, qualcuno ha sottolineato con fastidio il fatto che Muccino avesse mostrato le "solite" immagini dei provini di massa, la corsa alla vetrina in tv, il rapporto madre-figlia di fronte all’ambizione e alla fama (“Le conoscono tutti già tropo bene”, dicevano. Beh, io no, non vivo in quell’ambiente e non intendo farlo; l’ultima volta che ho visto scene del genere è stato in “Bellissima”, non proprio un film recente). Ma poi, nelle critiche quegli stessi giornalisti hanno ridotto il film al solo fenomeno delle veline.

Il film, sia pure con alcuni eccessi, generalizzazioni e superficialità di troppo, contiene molto di più. In sintesi: la ricerca della felicità, comune a tutte le generazioni, che si rivela un rebus di difficile soluzione. E su questo, Muccino è molto più chiaro, lineare e anche propositivo di Calopresti il cui La felicità non costa niente è un guazzabuglio poco riuscito. La Romanoff sarà anche brava, ma di Bentivoglio e dei suoi sguardi non vogliamo proprio parlare?

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Un momento di attenzione
La directory di Quinto statoQuinto Stato ha segnalato il mio weblog fra i primi cinque della neonata Directory nella newsletter collegata all'iniziativa. Troppo buoni.

Non lo dico per falsa modestia, ma perché questa segnalazione (così come l’invito di Granieri a inserire il mio link nel suo aggregatory) è arrivata in un momento un po’ difficile della vita di Fuoridalcoro. Un momento di riflessione sul valore di quello che contiene, sulla sua capacità di durare nel tempo e sull’efficacia delle parole scelte per questo fine. Tutto è nato dalla lettura di Riflessi di una venere marina, dell’amato Lawrence Durrell, il quale scrive:
Scrivere poesia ci educa alla pratica di quel gioco che è parte dell’attività umana più intima. Quando i selvaggi danzano alle stelle, cercano di ricongiungere le loro esistenze a quella dei corpi celesti, di fondere il ritmo della vita quotidiana con le grandi correnti che muovono le ruote dell’universo. La poesia è un tentativo di riprodurre lo stesso tipo di legame, tra l’interiorità caotica dell’individuo, con le sue angosce contingenti, e il flusso uniforme dell’universo circostante. E’ un impulso di cui tutti sono consapevoli, ma che soltanto i poeti lasciano affiorare liberamente.
Le poesie, come i dipinti all’acquarello, dovrebbero essere lasciate ad asciugare, prima di intervenire con correzioni: sei mesi o sei ore, a seconda dei colori utilizzati.


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13.2.03

Tutti a Los Angeles
Live from the blogospereMentre in Italia, dopo i fuochi sulla fuffa, i webloggers sono tornati a fare... i webloggers, negli Usa si discute in maniera tradizionale. Sabato 15 a Los Angeles, sei tra bloggers e analisti della comunicazione discuteranno del fenomeno e del suo impatto sulla cultura americana. Ecco il programma e i partecipanti.

The panel will discuss the birth of blogging, the emergent tension between blogs and traditional journalism, innovations in blogging such as video-blogging, audio-blogging, and mobile-blogging, the shifting roles of race and gender in the Blogosphere, the state of the blog economy, and the way blogs may be reshaping contemporary media.

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Una parola sola
Dalla webcam sul balcone di questo weblog:

Pace sui balconi







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12.2.03

Un sorriso per la stampa

Nei piccoli giornali locali per i quali ho lavorato i responsabili della diffusione (il marketing non si sapeva cosa fosse) le pensavano tutte: il concorso per la commessa del mese, le foto storiche di famiglia, le domeniche al mare raccontate per immagini, ecc. BBC News Online ha lanciato qualcosa di molto simile: invita i propri lettori a mostrare il mondo dalla vostra prospettiva (digitale).

In sostanza, mandate le vostre foto, BBC le selezionerà per pubblicharle il venerdì su questo sito. Una soluzione di marketing, appunto, ma anche un buon modo per sperare di assicurarsi foto esclusive sui fatti più importanti.

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Americani fiancheggiatori

Non credo si debba esultare troppo leggendo le dichiarazioni rilasciate da uno dei capi della Cnn al New York Post:
"Se dovesse esserci un conflito su larga scala con l'Iraq, sarebbe la prima guerra importante coperta da Internet".

La citazione è contenuta in un intervento di Mark Glaser, un analista americano della comunicazione che, fosse in Italia, sarebbe accusato di fare il gioco dei terroristi. Dice:
Questa Seconda Guerra del Goldo è la prima guerra della quale sono già stufo prima ancora che cominci.

Glaser anticipa quale sarà la copertura, anche via weblog, di alcuni grandi media americani. Alla fine, si chiede:
E se la guerra dovesse essere evitata all'ultimo momento? Probabilmente vedrete la copertura più approfondita di sempre della cerimonia degli Oscar.

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11.2.03

Scuola di giornalismo

Non amo gli Stati Uniti (tanto più di questi tempi), ma su alcune cose non posso esimermi dal sottolineare differenze sostanziali con le nostre cattive abitudini. Quella sul giornalismo e sui giornalisti, ad esempio. Mentre in Italia l'attenzione è quasi tutta dedicata al gossip, al mercato dei direttori e allo scontro, a colpi di anticipazioni o pesanti ironie, fra gruppi, redazioni o gruppi editoriali, negli Usa ogni occasione è buona per studiare, spiegare i meccanismi interni, analizzare la reazione dei media alle situazioni straordinarie.

E' il caso di questo rapporto di Poynteronline su tutto quello che è stato prodotto online durante il disastro del Columbia e soprattutto su come è stato. Il primato in termini di rapidità e semplicità di informazione sembra che spetti al Landing Journal del Florida Today, qualcosa di molto simile a un weblog.

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7.2.03

La stampa in cucina

Sull'International Herald Tribune di martedì 4 febbraio sono stati pubblicati due articoli molto istruttivi sul rapporto tra media e i nuovi fenomeni del buon vivere. Il primo è dedicato a Jamie Oliver, chef ventisettenne e volto di successo televisivo che ha guadagnato miliardi vendendo i suoi libri di ricette o prestandosi per una campagna pubblicitaria di un grande magazzino e ha aperto un ristorante, Fifteen, di grande tendenza: come camerieri e inservienti ha assunto una serie di giovani disoccupati che ha istruito in una sorta di Grande fratello fra i fornelli. La tendenza, in realtà riesce a farla anche grazie alla selezione degli ingredienti (molti dei quali italiani) e a un ricercatissimo understatement. Per esempio:

At Fifteen, the menu changes daily and is written in quintessential Jamiespeak, the voice he uses in conversation and writing. An appetizer, for instance, is described as a "fantastic salad of speck, blood orange, Treviso, dandelion, rocket, mint, amazing pecorino and 12-year-old balsamic." When he describes a mallard dish, he notes, "That's a duck." Polenta is "oozy," and the seafood and squid-ink risotto is "amazing."
"I have a lot of people trying to correct the way I write," Oliver said. "I don't give a toss, actually." Declaring that he is not a foodie chef or a chef's chef, Oliver says he tries not to intimidate his diners with pretentious expressions. "A lot of people don't know what cappellacci is," he explained, "so we put in 'ravioli' next to it."


Il secondo articolo è sulla diffusione nel mondo dei vini prodotti nella zona del Bordeaux. Attacca così:

The wise old men of Bordeaux, whoever they were 60 or 70 years ago, made a remarkable discovery: the press. Not the kind that crushes grapes; the Romans knew about those presses. The press that tells the world about Bordeaux wine. It is not too much of an exaggeration to say that few business groups anywhere are as astute as the Bordelais when it comes to presenting their image to the rest of the world.

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Il New York Times cambia pubblicità

Da aprile, il New York Times online cambierà grafica, spostando la barra di navigazione da sinistra verso l’alto dello schermo e introducendo grandi pubblicità sul lato destro, riproducendo la tipica disposizione degli ads su giornali e tv. In un articolo del Wall Street Journal, si spiega:

NYTimes.com says it is modeling the new pages on the ratio of advertising to editorial content in magazines and newspapers, where full-page ads often run opposite articles and editorial content. "We absolutely looked at how magazines are laid out, how newspapers, even television," Mr. Krebs said. Internet ads that follow the lead of television commercials are on the rise: Sites including iVillage.com Inc. and Marketwatch.com Inc. regularly ask visitors to sit through several seconds of large, television-like commercials before the sites load.

Nessuno, insomma, è riuscito a creare qualcosa di specifico per la rete, anche se più avanti nell’articolo si fa cenno ad alcune esperienze. Ma si è andati sul sicuro, ancora una volta mutuando forme e contenuti dalla tv. E tutto perché, come spiega Jason Krebs, vicepresidente del settore pubblicità del NYTimes,

"We've found that readers do not mind advertising, they just don't want it to disrupt their experience".

Detta così, chi è quel pazzo che si mette a investire sul web sapendo che nessuno va a vedere la sua campagna e tantomeno i suoi prodotti?

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6.2.03

Il titolo del giorno

Dalla prima pagina della Prealpina di oggi:

Fu imperizia non suicidio
lo volo contro il Pirellone


Dantesco.

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Non mi è utile e non mi diverte

Ecco come finisce un giornale. La vicenda di punto.com (e dei suoi 12 futuri redattori disoccupati) sta per volgere al termine e Marco Barbieri, fondatore e direttore fino a pochi mesi fa, ne rivela alcuni retroscena.

Non chiude solo una testata molto interessante e divenuta autorevole e attendibile nei pochissimi anni di vita, ma scompare un punto di riferimento fondamentale per gli operatori dell'informazione e delle nuove tecnologie.

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Parole da far decantare

Mi capita di rado di leggere libri così appassionanti, da restare memorabili. Quando accade, mi faccio prendere da un entusiasmo quasi infantile che spesso produce grandi delusioni. Arrivato alla fine, dovrei lasciar decantare le parole e i sentimenti. Per tentare di prolungare il piacere della lettura; e per riconoscere con me stesso il valore assoluto di ciò che ho appena assorbito, il suo inevitabile primato rispetto ad altri libri e ad altri autori. Invece, riprendo immediatamente, con voracità e con aspettative troppo elevate, con un’opera nuova.

Di recente, ho letteralmente bevuto Ti ho amata per la tua voce (Ed. e/o – tascabili), di Selim Nassib. E’ l’appassionante vicenda della più grande cantante araba del Novecento e dell’amore impossibile e crudele di uno dei suoi poeti-parolieri preferiti. Una biografia scritta su ritmi molto sostenuti, quasi col cuore in gola, con uno stile sconosciuto agli autori occidentali, pieno di sapori e di umori, e una meravigliosa capacità di mescolare privato e pubblico, incastrando le ubbie, la sensualità e gli slanci di Umm Kalthum nello sfondo dell’Islam, delle guerre anticolonialiste, del sogno panarabo di indipendenza di Nasser.

Subito dopo mi sono lasciato convincere dal grande battage promozionale per Casa rossa, di Francesca Marciano, che ha appena firmato con Gabriele Salvatores e Niccolo Ammaniti la sceneggiatura cinematografica di Io non ho paura, pubblicato da Longanesi.

Molte cose mi attiravano. Prima di tutte, l’antica masseria nel Salento da cui la storia muove. Un colpo basso per uno che non ha ancora chiuso i conti con il passato, come scrive Diego De Silva nell’ultimo bollettino di Vibrisse a proposito di un altro libro salentino (Livio Romano, Porto di mare – Ed. Sironi):
(si sente) un bisogno di ridefinizione, di espulsione di rospi. Voglio dirmi tutto, ma proprio tutto. Chi sono, dove sono cresciuto, in che modo parlo e mi atteggia, di cosa ho colpa e perché. Che cosa avevo, cosa ho lasciato che mi portassero via. Cosa ho rubato. Che cosa di me detesto con tutta l’anima e tuttavia mi rappresenta e mi condanna. Da cosa non riesco a venir fuori. E’ un conto che devo chiudere. E tanto peggio se per farlo devo inimicarmi la terra dove sono nato, con tutto quello che c’è sopra e dentro.

Dicono che abbia entusiasmato i lettori americani; dicono che sia stato scritto prima in inglese e poi in italiano. E si vede. Scritto in fretta, direi anche, e con pochi interventi di editing; quasi tirato via, con poco spessore e una sintassi che ricalca (e ricade ne) i modi dell'oralità talvolta sciatta. L’ho abbandonato dopo poco più di 100 pagine. Un’altra volta, lascerò decantare.

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Cultura digitale senza romanzo

Mi chiedo spesso che cosa possa diventare questo weblog, quale altra forma editoriale o mediatica possa assumere. E quasi sempre arrivo alla conclusione che un blog è un unicum, molto difficilmente assimilabile a soluzioni tradizionali. Non è un romanzo, non è un diario (almeno questo), non è un forum salvo rare eccezioni, non è un giornale. E' un contenitore aggiornato di considerazioni, segnalazioni, critiche randomizzate; un registro pubblico che, se si volesse traslarle dal digitale alla carta stampata ad esempio, occuperebbe già oggi (dopo nemmeno 6 mesi di pubblicazioni) alcune centinaia di pagine tradizionali. Che può vivere, dunque, solo in rete e della rete.

Sabato mi sono imbattuto nell'intervista del Corriere della sera a Franco Moretti, curatore de Il romanzo, un saggio monumentale pubblicato da Einaudi. Egli risponde così alla seguente domanda:

La cultura digitale produrrà forme nuove di romanzo?
Nell'ultimo saggio, Aspen Aarseth si interroga proprio su questo. Secondo lui, la scrittura digitale non ha prodotte forme nuove rispetto ai modelli proposti dalle avanguardie del Novecento. E' una tesi convincente. L'incontro tra fiction e cultura digitale produrrà dei giochi che coinvolgeranno molte persone, ma non mi pare che il computer abbia un futuro narrativo. Il polimorfismo del romanzo troverà altri canali più adatti alla sua diffusione.


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Giornali su Internet: business antico

Anna Masera, su La Stampa, fa il punto sull’editoria online, partendo dall’osservatorio annuale dell’Online Publishers Association e arrivando, non senza qualche errore di rotta e alcuen eccessive semplificazioni, al fenomeno dei weblog. Si scopre che i giornali scandinavi sono all’avanguardia nei servizi sul web e che ancora oggi Bruno Patino, responsabile di Le Monde Interactif, afferma:

le previsioni sono di un raddoppio dei collegamenti a banda larga, che offrono più velocità e migliori prestazioni, entro i prossimi due anni. «Questo allarma i vecchi giornali ancoràti al modello cartaceo, ma sbagliano: perché mettono in alternativa i mezzi, mentre il giornale del nuovo millennio è un marchio - con un contenuto doc - che si può consultare su tanti media diversi»
Ma è possibile che certe ovvietà si possano dire ancora oggi? Evidentemente sì. Chi le proclamava cinque o sei anni fa, sperimentando ma non senza logica, veniva preso per matto o per cannibale.


Ma è possibile che certe ovvietà si possano dire ancora oggi? Evidentemente sì. Chi le proclamava cinque o sei anni fa, pensando di sperimentare ma non senza logica, veniva preso per matto o per cannibale.

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5.2.03

Sala Borsa, la piazza della cultura

Ho visitato velocemente la nuova Biblioteca di Bologna, che ha sede in Sala Borsa. Sono rimasto affascinato, oltre che dal luogo e dalle sue valenze storiche (si sorvolano gli scavi dell'antica Bononia attraversando la piazza coperta con spalti contenenti fregi Decò e Nouveau), dall'organizzazione dei servizi: l'autoprestito, i chioschi multimediali per navigare gratuitamente in Internet, la consultazione sul posto di libri e cd.

Straordinario, come le iniziative e gli eventi promossi. Tra questi, Nel cassetto segreto - Grandi libri per piccoli lettori: lezioni su 22 classici della letteratura per ragazzi. Non mi è piaciuta soltanto l'idea, ma colui il quale l'ha promossa e soprattutto quello che fa: il professor Antonio Faeti, infatti, è docente di Grammatiche della fantasia presso l'Accademia di Belle Arti.

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Soru: "Tiscali sta diventando una vera telecom company"

Su Affari & Finanza, allegato a Repubblica di lunedì 3 febbraio, Renato Soru rivela con evidente soddisfazione la nuova deriva presa da Tiscali. In sintesi, questa
Tiscali è semplicemente una Telecom al tempo di Internet. (...) Le vecchie telecom partono per trasportare la voce. Adesso trasportano sia la voce che i dati. Noi, Tiscali, abbiamo fatto il percorso inverso: abbiamo cominciato trasportando dati e stiamo arrivando a trasportare la voce.

Deriva puramente tecnica, insomma: Tiscali, dice Soru, possiede oggi 60mila chilometri di cavi in tutta Europa. E non ha più alcun interesse nella produzione dei contenuti, quella che invece ha causato i danni più gravi all'interno della bolla della new economy, esplosa un anno e mezzo fa. Allora, non c'era Internet Service Provider che non avesse il proprio notiziario simil-Ansa, i giochi, lo sport, gli approfondimenti, trasformandosi in un mega portale, proprio a partire da Tiscali. Solo un anno fa, ad esempio, Soru sponsorizzò le Final Eight di coppa Italia di basket promettendo una copertura statistica e giornalistica che naufragò dopo la prima giornata di partite.

Bene, oggi Soru afferma:
Chi più chi meno, un po' tutti siamo caduti nella trappola dei contenuti. Se devo essere sincero, io non mi sono mai esaltato tanto di fronte a questa realtà. Fra l'Aol che forniva accessi e l'Aol che cercava di destreggiarsi fra case editrici, reti tv e case di produzione cinematografica, ho sempre preferito la prima, quella originaria, più internettiana.

Che sia la volta buona?

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Lo stile degli amici di Mailer

Irene Bignardi ha riportato su Repubblica alcune anticipazioni da The Spooky Art, autobiografia letteraria dello scrittore ottantenne Norman Mailer. Segnalo questa:
Hemingway non era capace di scrivere una frase lunga e complessa con una buona architettura della sintassi. Ma ha fatto diventare questa incapacità la sua abilità personale a scrivere frasi brevi e assertive, o lunghe frasi collegate da congiunzioni. Faulkner, al contrario, non era capace di scrivere semplicemente, ma le sue frasi ultraricche, congestionate, producevano un’atmosfera straordinaria.

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Lo stile degli amici di Mailer

Irene Bignardi ha riportato su Repubblica alcune anticipazioni da The Spooky Art, sorta di autobiografia dello scrittore ottantenne Norman Mailer. Segnalo questa:
Hemingway non era capace di scrivere una frase lunga e complessa con una buona architettura della sintassi. Ma ha fatto diventare questa incapacità la sua abilità personale a scrivere frasi brevi e assertive, o lunghe frasi collegate da congiunzioni. Faulkner, al contrario, non era capace di scrivere semplicemente, ma le sue frasi ultraricche, congestionate, producevano un’atmosfera straordinaria.

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La gente di Bill Gates

Ho letto su La Stampa la trascrizione di ampi stralci della conferenza tenuta in Senato da Bill Gates. Sorvolo sull’enorme spot che ha inscenato gratuitamente per i rappresentanti anziani del popolo italiano (una considerazione per tutte: il tema dell’intervento era Decennio digitale, il buon vecchio Bill l’ha affrontato partendo dai suoi tablet pc di prossima produzione, il nesso era evidentemente fortissimo), quindi sul merito. Piuttosto mi ha colpito la forma del discorso, quello che sul Corriere della sera ha indotto Gianni Riotta ad aprire la sua intervista in questo modo quasi elegiaco:
E’ possibile che sia timidezza? E’ possibile che dietro gli occhi azzurri e le lenti da miope, Bill Gates, l’uomo più ricco della nostra generazione, il Creso più opulento della storia, sia rimasto lo studente fuori corso dell'’Università di Harvard, perplesso, un po’ a disagio? Così sembra: non c’è arroganza nelle sue parole, se mai la fatica di questi anni incredibili della rivoluzione informatica, di Internet, dello scontro ciclopico contro il governo degli Stati Uniti, che accusava la sua azienda, Microsoft, di violazione della legge antitrust.

Gates ha avviato la maggior parte dei capoversi del suo intervento con la formula:
Spesso la gente mi pone domande sull’economia…
Spesso mi chiedono quali siano i limiti dell’informatica…
Mi viene spesso chiesto come si presenteranno i computer negli anni a venire…
Spesso la gente mi chiede…


Una forma, assai ben studiata, di understatement? O non piuttosto lo speech di un relatore, atteso come uno dei guru dell’economia e della tecnologia mondiali, che arriva all’appuntamento col pubblico preparato poco e male e deve ricorrere a forme di interrogazione indiretta per tenere in piedi un discorso che altrimenti non ha correlazioni interne, né uno sviluppo logico-formale, come invece sarebbe opportuno per occasioni di questo genere?

Basta leggere le risposte ad alcune di queste domande fondamentali e indirette:
Internet sarà il futuro. Le aziende che ci hanno perso hanno sbagliato tempi e modi...
Non sono un economista, essendo specializzato nel campo del software. Penso però che nei prossimi anni l’economia sarà abbastanza stabile. Però nei prossimi anni, a mano a mano che verranno utilizzati sempre di più sistemi così sofisticati da parte di piccole, medie e grandi imprese, si determineranno anche grandi incrementi della produttività, per cui potremo aspettarci una crescita economica sostenuta...

E via banalizzando.

Mi chiedo: sarà Gates (che ha comunque il buon gusto di definirsi alla fin fine un programmatore... in grande) limitato o non saranno i suoi ascoltatori e promotori ad averne ingigantito le qualità oratorie e oracolistiche?

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Meglio tardi…

Arrivo sicuramente tardi su alcuni argomenti che saranno stati trattati da altri. Ma l’influenza non si può programmare. E almeno ha un effetto positivo: ti fare una rassegna stampa amplissima, per tre giorn di fila, in un luogo caldo e piacevole.


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