Elaborazione grafica di Guido Nestola

27.9.07

Bar a libri


Si chiama Classici del caffè. E' un bar a libri aperto il 3 settembre e in qualche modo ho deciso di eleggerlo a mia seconda casa (forse perché è giusto sotto quella principale...?). Mi piace la scelta dei titoli; mi piace la disposizione dei tavoli con la libreria in fondo, che non incombe bensì induce; mi piace la discrezione di chi la gestisce e ha avuto l'idea: un ex bancario e un'ex assicuratrice (o viceversa nei generi, ma importa zero); mi piace l'intenzione di farne un luogo di ritrovo e di pensam(i)ento, ad esempio tenendola aperta anche qualche domenica mattina per un corso; mi piace, un po' a sorpresa, il fatto che per freqeuentarne le serate si debba pagare una quota e la consumazione, perché non si può vivere di pagine; mi piace la gente che comincia a frequentarla per comprare i libri e non chiedere soltanto un'insalata. E mi piace l'idea che mi frulla da un po' di andare a chiedere se hanno voglia di ospitare, gratis ma con l'obbligo di bere con noi un bicchiere di vino, le chiacchiere di cultura e di sport di QuasiRete con em bycicleta, che vorrei trasformare in un appuntamento fisso almeno una volta al mese.

L'indirizzo? I classici del caffé, via Foppa 4. E' già pronto il primo calendario di appuntamenti. Fitto e abbastanza interessante.

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19.9.07

Il New York Times gratis. Intervista a Sabadin


Da qualche minuto il New York Times si può leggere quasi interamente senza pagare un dollaro. L'editore ha deciso di rendere gratuita la sezione Times Select attraverso la quale, per 7,95 dollari al mese o 49,95 all'anno, si potevano leggere i commenti degli editorialisti e consultare gli archivi del quotidiano (che ha circa 13 milioni di utenti unici al mese). I 227mila abbonamenti a quel servizio, su un totale di oltre 750mila, hanno generato 10 milioni di dollari in un anno. "Ma le previsioni per il futuro erano inferiori ai ricavi previsti dalla vendita di pubblicità online", ha ammesso il general manager del NY Times online. Insomma, si guadagna di meno dalla vendita dei contenuti piuttosto che dall'apertura del sito con il sostegno della pubblicità.

Ho rivolto a Vittorio Sabadin, vicedirettore della Stampa e autore di L'ultima copia del New York Times (Donzelli) alcune domande.

Come giudica questa decisione?
Annunciata e inevitabile. L'editore Sulzberger l'aveva in qualche modo anticipata e proprio lui aveva detto tempo fa che non si sarebbe stupito se nel 2043 si dovesse vendere l'ultima copia del New York Times su carta, soppiantato dall'informazione online. E' evidente che il meccanismo di far pagare i contenuti non funzione: oggi anche testate con contenuti molto specifici, come il Wall Street Journal e il Financial Times, stanno riflettendo sull'opportunità di far accedere gratuitamente i propri utenti. E' la dimostrazione della forza incredibile di Internet.

Il general manager del NY Times online ha ammesso che il vero problema è stato quelli di aver sottovalutato l'esplosione di accessi al sito dai motori di ricerca. In pratica, alle pagine interne del sito arrivano sempre più lettori attraverso Yahoo o Google che non dall'home page del Times: questo toglie grandi numeri che invece si potrebbero offrire a potenziali investitori pubblicitari.
Con la decisione di rendere gratuita la consultazione, il NY Times sta cercando proprio di recuperare terreno da questa concorrenza, che è molto forte. Una statistica recente indica che Yahoo e Google sono i siti preferiti dagli americani che si informano online, dunque più di media tradizionali come lo stesso Times o la Cnn. Di fatto, i motori di ricerca succhiano i contenuti dai media tradizionali e li mettono a disposizione attraverso una determinata catalogazione. Proprio il NY Times, qualche settimana fa, ha offerto ai propri utenti la possibilità di creare un profilo personale, indicando i gusti e le categorie di informazioni a cui sono interessati; in cambio, il Times si impegna a selezionare le notizie, ad aggiornarle e a commentarle continuamente.

Dunque, lo scenario che lei prospettava nel titolo del suo libro potrebbe non essere più soltanto un'ipotesa fantasiosa o catastrofica.
Credo che i grandi giornali si stiano muovendo in ritardo, in modo particolare rispetto alla concorrenza dei motori di ricerca o di siti come Drudge Report, che organizzano i contenuti. In Italia questo ritardo è ancora più evidente. Prendete Dagospia, per esempio. Che cosa fa? Produce una quantità di propria informazione, ma il grosso lo prende dai media tradizionali, selezionando il meglio e citando la fonte.

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Cronaca vera

Sembra che un buon numero di giornalisti del Tg4 sia andato in viaggio in Terra Santa e abbia prodotto un documentario amatoriale. Che, vista l'assenza del direttore, ha deciso di intitolare "Viaggio in Terra Santa senza Fede"!

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12.9.07

Forme di poesia

Ho già raccontato parte di questa storia, ma ricomincio ugualmente dall'inizio. Ho conosciuto Michele Marziani attraverso il web: giornalista, gourmet, dotato di una sensibilità molto particolare. Ci siamo scambiati qualche mail, come accadeva tra i blogger della prima ora, e perfino le bozze di un romanzo che lui avrebbe voluto pubblicare. Ho letto tardi, ma ho letto. E le sensazioni iniziali sono state confermate: in quel romanzo, ambientato a centinaia di chilometri dai miei luoghi giovanili, ho ritrovato tante mie cose (passioni, abitudini, forme di un'educazione antica, eccetera), un sorprendente idem sentire, come direbbe qualcuno che conosco.

Avrei voluto incontrarlo, anche perché Michele viveva anche a Milano, ma non mi è mai riuscito. Sono rimasto comunque in contatto, leggendo il suo blog nel quale ci sono ricette, incontri, suggestioni e poi l'evoluzione di quel romanzo e di altre idee molto interessanti. Qualche settimana fa, facendo parte nella sua mailing list "umana e professionale", ho ricevuto una comunicazione: ho lavorato al sito internet dell'azienda vinicola di Paolo Scavino, mi ha scritto. Proprio quel giorno avevo trovato una notizia sul vino che avrei voluto far commentare a qualche uomo di vino. L'ho proposto a Michele, perché sentisse per me Scavino, ma ho ricevuto un rifiuto garbato, ma argomentato in un modo che mi ha quasi infastidito: mi ha parlato di poesia, di persone, di una dimensione altra da quella nella quale gli chiedevo di tornare (quella dei quotidiani superficiali e tritatutto), banale e non più accettabile, anche a costo di qualche rinuncia.

Aveva ragione, probabilmente, ma non è facile riconoscerlo. Qualche giorno fa, ancora Michele mi ha aiutato a farlo, forse in maniera definitiva. Con una nuova mail circolare, mi ha fatto sapere che accompagnerà Michel Butor ("scrittore importante e inquietante, sovvertitore di schemi letterari, esponente negli anni Cinquanta del Nouveau Roman francese che spingeva all’estremo l’indagine descrittiva intorno agli oggetti e alle cose dell’animo"), autore di La modificazione, ripubblicato un anno fa da Fandango, in un viaggio in Italia tra i sapori della nostra terra e i pensieri di una cultura comune. Si comincia oggi a Milano, dal ristorante di Nicola Cavallaro. Mi è stato sufficiente dare uno sguardo al sito e al blog di quest'ultimo per capire l'importanza di certi incontri, la poesie, le persone appunto. E per trasformare il fastidio di qualche settimana fa in invidia e totale sostegno al coraggio e alla curiosità di Michele.

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10.9.07

Togliete quella polvere

Eravamo in quattromila, ieri sera, al PalaSharp. Tanti, un'enormità, per un concerto della Filarmonica della Scala in un vecchio scatolone adibito a palasport. Ma se dovessi prevedere quanti di quei quattromila torneranno ad ascoltare musica classica - a prezzi più alti, in una sala "dedicata" e in una situazione dunque più formale di quella - eliminerei diverse centinaia di persone. Il programma, per quanto possa essere popolare la sinfonia numero 3 e imponente la numero 5 Eroica, è risultato un macigno per molti, anche per chi come me è un appassionato abituato a maratone di suoni durissime. Malgrado il suono perfetto e uniforme dell'orchestra, reso comunque un po' cavernoso dall'amplificazione necessaria per l'ambiente, i momenti di leggerezza, di freschezza nella lettura del direttore Fabrizio Gatti sono stati rarissimi. Beethoven è apparso un antico monumento polveroso, ingombrante, pesante, al pari della forma tradizionale del concerto, da camera o sinfonico che sia, ormai superata e asfittica ma che non si riesce certo a rigenerare in questo modo.

Se si va in un palasport, generalmente lo si fa per rendere popolare la musica, per promuoverla, per avvicinare chi la considera un mattone dimostrando il contrario. Domenica sera, per quei quattromila come me, il risultato è stato l'opposto.


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6.9.07

Addio, Luciano


di Claudia Provvedini

All’alba non ha vinto, come cantava la sua voce nel pezzo d’opera che tutto il mondo ormai ha legato al suo nome. O forse sì. Solo lui, Luciano Pavarotti, sa le vie privatissime della mente e del cuore negli ultimi momenti di una vita. Una vita da grande lottatore, certo, la sua, e a lungo, almeno trent’anni, di trionfi senza confini. E una battaglia dura è stata, la più dura forse, quella contro il male dentro - il tumore al pancreas manifestatosi alla fine del 2005 - che lo ha divorato, nonostante le operazioni nelle cliniche di New York, nonostante le mani fidate degli specialisti, amici, dell’ospedale di Modena.

Con i chilometrici foulard attorno al collo Pavarotti pareva a volte un boxeur, un peso massimo negli intervalli sul ring, prima di riprendere il match non certo con quel dono divino della voce che era natura, ma con la sua ingombrante fisicità, natura anche quella, coltivata non dagli esercizi dell’ugola e del solfeggio, ma della buona, ottima tavola emiliana, delle sue origini mai messe tra parentesi, come tanti. Anzi ribadite ogni volta che parlava, il fruscio della «s», le vocali aperte, che si spalancavano però nelle romanze, nei do di petto, che lo hanno incoronato erede del tenore italiano per antonomasia, Enrico Caruso. Ma da mezzo secolo era il suo, di nome, quello di Pavarotti, ad essere usato per dire potenza di voce.

Era stato il padre il suo primo maestro. Cantava nel coro di Modena, sapeva a memoria libretti e spartiti, ma non aveva studiato. Per questo, fece studiare il figlio. «Assieme alla Mirella (la Freni, ndr) prendevamo il treno, abbiamo fatto la strada insieme». E con lei cantò Bohème a Torino negli anni Novanta, due splendide voci, lui forse un po’ meno phisique du role nel personaggio di Rodolfo, ma l’aria di Parigi e della giovinezza arrivava in platea, eccome.

Nei più grandi teatri del mondo, dal Covent Garden al Metropolitan, ha cantato Big Luciano. Un evento per tanti anni, il delirio del pubblico che lo ha atteso non solo in centinaia di migliaia sul prato di Central Park nel ’93 ma anche nei più recenti, dolorosi forfait.

Ma si poteva dare ancora molto alla musica, magari all’ambizione, alle passioni: per le donne, il lusso per sè e le persone care intorno; e per i cavalli. E queste passioni si sono unite a un certo punto, quando nella mitica scuderia del suo Club Europa alle porte di Modena, ha incontrato una timida ragazza, Nicoletta Mantovani, organizzatrice assieme al padre degli eventi pavarottiani, sportivi e artistici, come il travolgente meeting di star planetarie del «Pavarotti & Friends», allo stadio modenese. Da Liza Minnelli a Eric Clapton, da Bono a Sheryl Crow a Zucchero... Luciano faceva duetti con loro, con Liza tutto improvvisato, perchè non si poteva fare altro, ma la pioggia delle loro voci era un tonico, un elisir.

Poi, quella ragazza timida, quasi la metà di anni di lui, sessanta contro meno di trenta, Luciano l’ha sposata, con strascichi di dolore e di grane come in America succede facile, ma in Italia no, quando c’è una famiglia, una moglie come Adua Veroni a fianco da tanto tempo, che gli ha dato tre figlie, e si deve divorziare, e si è una star. Ma Pavarotti fece quel che voleva il suo cuore, ancora così giovane e un po’ bohèmien.

E dall’amore incondizionato per le creature da proteggere - visto che si hanno le spalle e il petto largo - e per i bambini soprattutto, sono nate non solo le tante iniziative benefiche - ospedali, scuole, donazioni - nei Paesi martoriati dalle guerre, ma un’altra figlia, la piccola Alice (avrebbe avuto anche un fratellino, ma lui non ce l’ha fatta a vivere) che ora ha quattro anni e mezzo, bimba amatissima alla quale il tenore aveva dedicato nell’ultimo album di canzoni l’allegra fischiettante «Io ti adoro». Non aveva paura di morire, Big Luciano, «mi ritroverò con mio padre e mia madre», diceva con serenità quando evidentemente sentiva più vicina l’ora. Non aveva paura della morte perchè la sua vita l’ha vissuta tutta, appassionatamente, fino all’ultimo. Come una romanza d’amore.

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4.9.07

Nel laboratorio di Bob Wilson / 3


di Claudia Provvedini
terza puntata

Che tipo è Bob Wilson? Americano innamorato dell’Europa come il suo connazionale Henry James, stupefatto e stupefacente disegnatore (con la mano sinistra) di ambienti e oggetti - ci racconta - , rivoluzionario del teatro dai primi anni Settanta con quel memorabile, transreale che per il ritmo di movimenti in scena forse più lento di quel che è nella vita ricreava il concetto stesso di spazio teatrale. , dice con aria ieratica, quasi biblica. E se all’amico Giorgio Armani ha dedicato una mostra per festeggiarne i 40 anni di carriera, lui è vicino ai 50, mezzo secolo di costruzioni tracciate dalla luce che si fa colore e forma, si tratti del Woyzeck di Buchner o del poema indonesiano I La Galigo, dell’Amleto one man show o del recentissimo In the Blick of the Eye con i dervisci. E così sarà dell’imminente Opera da tre soldi al Berliner o dell’evento nella Piazza Rossa di Mosca. Un equilibrio che si legge e governa la superficie, la visione ma è trovato nel cuore della forma stessa.

3. fine

Link: la prima puntata
la seconda puntata


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