Elaborazione grafica di Guido Nestola

26.9.02

Lo stile di Pontiggia
Dall'Album di agosto di Giuseppe Pontiggia, pubblicato sulla Domenica del Sole24ore dell'1/9:

"Lo stile ha avuto tante definizioni che aggiungerne un'altra non penso che crei problemi. La mia è comportamentale e si basa sulla reazione del lettore. Quando conosce quello che un autore ha scritto perché l'ha già letto e però torna a leggerlo per ritrovare le parole precise; e quando lo fa tante volte finché l'ha imparato a memoria (anche se spesso sbaglierà nel citarlo), ecco, qui c'è stile.
Più in breve: c'è stile quando si rilegge per piacere".

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La mente conservatrice e la realtà irreale
Non so se Mantellini abbia poi comprato La mente al punto, come dal commento a un mio vecchio post, né quanto abbiano inciso le citazioni che avevo tratto. Non è un libro indimenticabile, malgrado contenga qualche affermazione interessante.

Una, per esempio, avvalora l'esempio che avevo fatto su una serie di finestre popup da aprirsi sul video seguendo una figura circolare. Secondo Simone, la mente ha una tendenza naturale alla conservazione, a mettere ordine, a muoversi cioé con un destino preciso: dopo le sue peregrinazioni, torna back home. Un cerchio, appunto.

Altra affermazione interessante ma non condivisibile è questa: "Tra la realtà e noi si è frapposto lo schermo - non importa se del calcolatore o della televisione. Lo schermo ci dà una varietà di rappresentazioni di qualcosa che ci sembra il mondo, ma il mondo che vediamo potrebbe non esserci affatto". Il video sta drogando la percezione reale delle cose, sta rendendo l'informazione uno spettacolo.

Risparmio giudizi politici, mi limito a dire che semmai la diffusione degli schermi (mi adeguo alla scrittura arcaica) sta moltiplicando informazioni (e fonti) non sempre verificabili. Ma poi, come si può non fare differenza fra computer e televisione?

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25.9.02

Per i non Urban
Gabriella GiandelliChi vive a Milano, può trovare davanti o dentro numerosi locali un free magazine, Urban, sul quale è pubblicato un mio servizio-racconto sui Sotterranei di Bologna.

Per chi non è a Milano, la ditta offre la possibilità di leggere l'articolo cliccando qui.

Purtroppo, in questo modo non è possibile vedere le due bellissime illustrazioni di Gabriella Giandelli, l'autrice del Labirinto (Pinguini) che vedete qui a fianco. Gabriella è, tra l'altro, la creatrice di un personaggio, il coniglio Mino, sul quale sta realizzando per la Francia una serie di cartoni animati per la tv.



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20.9.02

Biancheri, il piacere del narratore

Ho assistito oggi alla presentazione di Ritorno a Somersee, di Boris Biancheri, alla Libreria Feltrinelli di piazza Piemonte a Milano. Rifuggo da queste occasioni (ma proprio perché le amo e, forse, un giorno vorrei che diventassero il mio lavoro e la mia vita), ma riconosco che Biancheri, diplomatico a riposo, mi ha catturato.

Capelli bianchi, eloquio tranquillo, Biancheri è quello che si definisce un narratore. Verbale prima di tutto. La sua parola parlata ha una capacità esplicativa straordinaria: appassiona, con la pura esposizione dei fatti. Si capisce che la sua intenzione esclusiva è quella di condividere ciò che ha pensato, sentito, vissuto, e non di affermare, come invece era nello spirito di Erik Orsenna, che ho ascoltato la sera precedente, autore di La grammatica è una canzone dolce, pubblicato da Salani, un libro comunque originale: una fiaba per raccontare ai propri figli come, quando e perché usare le parole e certe forme grammaticali.

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19.9.02

Scrivere per immagini - Hemingway, Testori e Calvino

Ancora Content management cita Hemingway. Alla domanda su quali fossero stati i suoi precursori letterari, gli autori da cui avesse imparato di più, rispose indicando fra gli altri Twain, Flaubert, Bach, Bosch, Bruegel, Van Gogh, Gauguin. "Ho fatto il nome di alcuni pittori - spiegò - perché ho imparato a scrivere più da loro che dagli scrittori".

In una lettera a Italo Calvino, pubblicata a corredo de Il dio di Roserio (di cui ho già scritto), Giovanni Testori scrive: "I miei interessi di lettura sono molti, ma subito frenati dal fatto che appena lette due o tre pagine, siano pure cose enormi, mi trovo infastidito dal contrasto che si determina da quello che penso debba dire per me la parola e quello che invece dice per chi leggo. In altre parole, leggo molto di più i quadri, che guardo per delle ore intere, che non i libri".

E' lo scrivere per immagini, la funzione visiva delle parole. Il web design si basa su questo: non inventare colori o aggiungere disegni e foto (che allungano i tempi di caricamento delle pagine) in un sito , ma disporre i testi per cercare un effetto. Nelle parole è contenuta un'energia visiva, che si deve sviluppare e applicare.

Esempio: in un testo vi è un certo numero di link a finestre (pop-up) predimensionate, che si dispongono sul video componendo un cerchio, una forma geometrica rassicurante. Un vero e proprio ventaglio di informazioni, note, tabelle, rimandi a siti esterni, che restano tutti sotto gli occhi del lettore, fornendogli l'idea di un'informazione compiuta, piena, che si esaurisce in quel cerchio ma può eventualmente allargarsi ancora.

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Content management: il più e il meno delle Lezioni americane - 2

La rapidità è un minus laddove costringe l’autore a scrivere velocemente, senza attenzione, senza un progetto complessivo dei contenuti (core-text e links). “Ecco riproposto l’elemento tempo come condizione per il linguaggio preciso”, dice Lucchini. E io aggiungo per la definizione di uno stile di scrittura, tanto più necessario anche nei contenuti più brevi ed essenziali.

Giorni fa, sul Corriere della Sera, Fernanda Pivano ricordava i primi incontri con Charles Bukowski. La chiave che ha aperto definitivamente la porta della loro relazione letteraria è stata una frase detta da Bukowski: “Non mi interessa quanto scrivo e per chi, quello a cui guardo è soprattutto come lo scrivo”.

E per costruire uno stile, dice Calvino, sono importanti le correzioni, continue, progressive. “Correggere ogni frase tante volte quanto è necessario è essenziale anche nel web, dove siamo indotti spesso a scrivere in fretta e male. Una notizia poco curata, uno spunto d’interazione modesto, una e-mail distratta possono costare molti malintesi”. Lo noto ogni volta che comincio a scrivere per questo blog. Mi capita spesso di riprendere vecchi post e correggerli, accorciarli. Soprattutto questo: li accorcio, provo a renderli essenziali, più efficaci, più rapidi appunto. Ciò che non mi riesce quasi mai nel lavoro quotidiano con la carta stampata. E’ raro che riprenda e corregga o riscriva frasi o interi paragrafi.

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Content management: il più e il meno delle Lezioni americane - 1

E’ interessante l’approccio calviniano di Content management, a cura di Alessandro Lucchini e pubblicato da Apogeo, laddove si prova ad applicare ai contenuti della rete i 5 concetti delle Lezioni americane: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità.

Mi soffermo sul secondo: la rapidità. E’ nello stesso tempo un plus e un minus. E’ un plus nel momento in cui Calvino, citando Leopardi (lo Zibaldone) afferma. “la rapidità dello stile e del pensiero vuol dire soprattutto agilità, mobilità, disinvoltura; tutte qualità che s’accordano con una scrittura pronta alle divagazioni, a saltare da un argomento all’altro, a perdere il filo cento volte e a ritrovarlo dopo cento giravolte”.

Questo non è altro che il concetto di ipertesto, espresso con alcuni lustri di anticipo, che contiene un’idea di totale libertà per il lettore-utente: da un lato può rimanere ancorato al sito di partenza, al primo link; dall’altro, proseguire dove lo porta la rete, con l’intento di chiudere il loop da dove si era mosso. Proprio per questo, sottolinea Lucchini, è necessario progettare gli ipertesti, creare una vera e propria struttura ad albero, sia per i rimandi interni sia per quelli esterni. “Saper condurre il lettori nei meandri dell’ipertesto – dice Lucchini –- significa coniugare libertà e rigore, essenzialità e completezza, e richiede una struttura chiara e riconoscibile”.

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17.9.02

Internet e l'idea di comunità
Ho pensato talvolta a Internet come a una sorta di luogo magico, che potesse mettere insieme (virtualmente, ma non solo) le persone più diverse e più lontane. E ancora più magico mi sembrava il fatto che a unirle fossero segni diciamo "classici", che poco hanno a che fare con la tecnologia, almeno in apparenza. Veri e propri simboli o forme antiche di comunicazione.

warchalkDei primi fa parte il gruppo dei warchalker. Riprendendo l'alfabeto dei segni creato dai vagabondi con il gesso per indicare sui marciapiedi pericoli, presenze favorevoli, animali, ecc., i "vagabondi del Terzo Millennio" ne hanno creato uno proprio, per segnare l'esistenza di fonti via radio (WLan) a cui connettersi gratuitamente in rete. Artefice di tutto è Matt Jones, autore di un blog ma soprattutto senior content manager di alcuni dei principali siti internet inglesi. Sono in tanti e soprattuto americani, si incontrano, si fotografano, aggiornano continuamente le loro mappe.

Delle seconde fanno parte i libri. Ho aderito a diversi forum sulla lettura, scambiando opinioni e anche conoscendo de visu appassionati alla mia stessa stregua, ma ora vado oltre. Da qualche giorno sono membro del bookcrossing, quella nuova tendenza, nata anche questa negli Usa ma diffusa anche in Italia grazie a un'iniziativa di Fahreneit su Radio3 durante il Festivaletterattura, meglio nota come Leggi e abbandona. I possessori di libri a cui tengono in maniera particolare li lasciano in circolazione nei posti pubblici più disparati per diffonderne la lettura: il tutto viene catalogato attraverso un sito internet, creando così non solo un registro dei trasferimenti delle opere ma soprattutto un archivio di recensioni e riflessioni personali. Per ora solo virtuali, ma presto anche reali, visto che in America sono già stati realizzati incontri mensili tra gli adepti dell'iniziativa. In Italia, a ottobre, si comincia da Roma.

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15.9.02

Due film italiani
Un viaggio chiamato amore
Un viaggio chiamato amore. Film intenso, teso, appassionato. Ma il mio premio per l'interpretazione va a Laura Morante, piuttosto che a Stefano Accorsi, troppo "respiroso" nel rappresentare i deliri di Campana del quale non sempre si coglie il legame fra ispirazione poetica e follia. Discreto.

L'imbalsamatore di Marco Vacchi. Tutto ciò che non ha forma (dagli animali riempiti perché siano imbalsamati, alle periferie napoletane e cremonesi, livide sotto cieli plumbei o avvolte dalla nebbia) è deforme (uno straordinario Ernesto Mahieux) o deforma (l'animo umano, l'idea che ci si fa dei luoghi e delle persone). Un triangolo che si trasforma in tragedia, anche questa senza una forma definita: tra i titoli di coda, riappare in lontananza la sagoma di Mahieux, che invece era stato appena ucciso. Originale, molto interessante.

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Io c'ero, comunque
Girotondo

Non ci sono andato (sabato ero a Genova per lavoro), ma è come se ci fossi stato.

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13.9.02

Noi che siamo balbuzienti

E' il titolo della rubrica di Beppe Sebaste pubblicata domenica scorsa su L'Unità. Ne stralcio un capoverso che mi sembra illuminante:

"La balbuzie è come la poesia: rallenta il linguaggio e introduce la vertigine del pensiero, della pazienza, dell'attesa, nonché della presenza dell'altro e del suo volto. Come la balbuzie, la poesia è antitetica al modo impersonale della tecnocrazia e alle leggi del profitto, basate sulla velocità e l'accelerazione. La lentezza è nemica, come lo sciopero (arresto del flusso dominante) di una certa conduzione d'azienda e di ogni tirannia. (...) Come la balbuzie (e come il silenzio), la poesia, secondo la linguistica, intralcia con la sua ampiezza di senso il 'canale di comunicazione' ed è irriducibile alla quantità informazionale che la uniforma alle merci".

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12.9.02

Anche i prodotti (e i pubblicitari) devono avere un'anima

Da Copywriter di Emanuele Pirella, edito dal Saggiatore.

Il pubblicitario deve immergersi nel mondo più autentico del prodotto e conseguentemente nell'immaginario del suo potenziale consumatore. "Leggere Pavese può essere utile per pubblicizzare uno spumante piemontese, così come da un romanzo di Bufalino si può trarre ispirazione per uno slogan sul Marsala". Quindi nessuna competenza, nessuna conoscenza del mercato, nessun occhio allenato, nessun calcolo statistico avranno senso ed efficacia senza una preventiva e costante vigilanza sullìaspetto narrativo, letterario e immaginativo del prodotto e del suo contesto d'uso.

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London Review of Books: la sfida della lentezza

Un anno fa interrompeva le pubblicazioni Content Spotlight, un sito sui contenuti e la scrittura in rete. Uno degli ultimi articoli riguardava la London Review of Books che dal 2000 ha un proprio sito internet: una vera sfida, considerato il tipo di contenuto: letterario, quindi lungo e poco dinamico, poco interattivo e poco disponibile a qualsiasi sviluppo ipertestuale.

La LRB mette online solo 3 articoli, un paio di racconti e la rubrica delle lettere. Non ha sviluppato nulla di particolare per Internet, anche se i forum hanno un discreto pubblico. Questo perché, come spiegava il responsabile Ben Campbell a Content Spotlight, “la risposta del pubblico ci ha convinto che la maggior parte dei lettori preferisce avere anticipazioni della rivista che comprerà in edicola”.

Una risposta ancora più significativa concerne proprio la caratteristica dei testi. Secondo Campbell, “la stragrande maggioranza della gente che legge gli articoli che mettiamo in rete lo fa a video piuttosto che stampando il testo su carta. Io stesso riconosco che la mia tolleranza alla lettura a video è cresciuta negli ultimi anni: in parte grazie ai miglioramenti della tecnologia nei display, ma anche e soprattutto perché mi ritrovo ormai familiare e a mio agio con il mezzo”.

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La credibilità si costruisce

Dal NYTimes del 2/9/02: AOL Reaches to Create Its Own Big Music Scene on the Internet). La Sezione Musica di AOL potenzia i servizi, per vendere meglio i CD attraverso il sito. Produrrà più contenuti, creando degli Studios in proprio, dove realizzare video, trasmissioni, interviste con i grandi nomi della musica. Spiegando il progetto, il nuovo boss di AOL sottolinea: prima portiamo a termine il progetto, poi potenziamo offerta e vendite.

Dovrebbe stare in cima al decalogo sulla credibilità dei siti internet. Alle spalle puoi avere il più grande editore o l’impresa più solida del pianeta, ma farai poca strada se continui a proporre Sezioni o interi siti “under construction”. Prima consolida la base, poi definisci l’obiettivo dell’attività: troppi siti non si occupano né dell’una né dell’altro. Per loro l’importante è esserci. Per gli utenti, l’importante è avere.

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10.9.02

Il ritmo del testo

La mente al puntoDa La mente al punto, di Raffaele Simone, ed. Laterza:

"Ogni testo ha un suo ritmo, cioé impone al lettore (ma anche al proprio autore) una certa velocità e un certo ordine. Un testo lento non si può leggere velocemente. E un testo veloce si presta poco a una lettura lenta".

"L'uso intenso del calcolatore, soprattutto se è collegato in rete, introduce nei ritmi di pensiero un coefficiente permanente di accelerazione e quindi di fretta. Non riusciamo più neanche a sopportare un minimo di attesa dinanzi a un'operazione che stiamo facendo col computer. Il clock della mente, il suo controllo del ritmo e della velocità, è disturbato alla radice dal clock del calcolatore".

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Le magnifiche sorti

Altro inciampo tardivo, ma significativo quanto (se non più di) Bambini nel tempo, è stato Le magnifiche sorti di Sandro Onofri, edito da Baldini&Castoldi. Una raccolta di scritti giornalistici pubblicata nel ’97 di una delle penne più nuove e curiose dell’ultimo lustro, purtroppo scomparso due anni fa, a 45 anni.

Mi è piaciuto proprio per lo stile assolutamente originale, per la scelta di punti di vista del tutto particolari per rappresentare temi e questioni altrimenti fin troppo note, per il tono disincantato di certe descrizioni. E anche per la selezione di alcune citazioni che rendono ancora più efficaci gli articoli-racconto di Onofri, dando loro un’idea di circolarità in cui non è facile stabilire se ci sia prima la cronaca o il riferimento letterario. Scrive ad esempio:

“Faulkner, in uno dei suoi racconti più belli, ‘L'orso’, affida al vecchio Sam, figlio di uno schiavo nero e di una donna indiana, il compito di distinguere tra paura e spavento. Faulkner lascia intendere che il confine tra la paura e lo spavento sta nella memoria. Chi ricorda, e dunque conosce, deve avere paura ma questo non comprometterà le sue azioni. Chi invece non ricorda, si troverà in un mondo sempre nuovo, che non può conoscere, e dunque sarà bloccato dallo spavento".

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Bambini nel tempo

Bambini nel tempoLungo il mio percorso sul tempo, presente e passato, tecnologia e memoria, sono letteralmente inciampato in Bambini nel tempo, pubblicato da Einaudi anche nei Tascabili, uno dei romanzi meno cupi e crudi di Ian McEwan, tra i suoi più visionari. Inciampo tardivo, essendo stato pubblicato nell’88, ma quanto mai opportuno in questa fase.

Per l’ottimismo sulla possibilità di recuperare il tempo perduto. Non tanto rileggendolo, anche a costo di sconcertanti sorprese (come avviene nel libro-film La forza del passato di Veronesi-Gay), ma riscrivendolo da zero, ricostruendolo ex novo sulle macerie di ciò che è stato. La citazione dai Quattro quartetti di Eliott è la sintesi perfetta: “Il tempo presente e il tempo passato / Son forse presenti entrambi nel tempo futuro. / E il tempo futuro è contenuto nel tempo passato”.

Ma anche per quel concetto di intensità del tempo, insito nella descrizione dell’incidente stradale a cui il protagonista scampa lucidamente. Più di altro, sono quei cinque secondi in cui la mente agisce e fa agire i muscoli e i riflessi e gli automatismi, per evitare lo schianto e la possibile morte la vera epifania del romanzo. Tutto può accadere in un tempo brevissimo. Tutto, di una portata enorme: così grande, da rendere incredibile che siano solo cinque secondi.

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8.9.02

Il giornale in audio su CD

Quante volte ho pensato di comprare un audiolibro per i viaggi lunghi in auto! Il San Francisco Chronicle venderà via Internet un CD quotidiano con le notizie e gli articoli contenuti nel proprio sito. L'utente seleziona le rubriche che gli interessano e indica l'ora in cui generalmente si collega in rete per consentire alla MobileSoft di incidere a distanza un CD nel lettore dell'utente, non appena questi avvia il collegamento. Io, che rifletto sul tempo della scrittura e della rete, mi chiedo: questo a quale categoria appartiene?

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Il dopo 11/9: il blog cambierà la storia?

Pew Internet & American Life Project ha compiuto uno studio su come è cambiato il rapporto fra gli americani e il giornalismo (e la tecnologia) online dopo l'11 settembre.

Analizzando i risultati, Nua evidenzia l’aspetto istituzionale: il 70% degli americani eliminerebbe dai siti informazioni che possano favorire il terrorismo; il 45% crede che il governo abbia il diritto di controllare l’uso che la gente fa di Internet. E aggiunge che 19 milioni di americani, pari al 17% degli utenti Internet Usa, ha riavviato rapporti con parenti, amici ed ex colleghi mediante e-mail: l’83% ha conservato questi rapporti durante l’anno appena trascorso.

CyberJournalist punta su un tema che ci interessa da vicino: la crescita del giornalismo fai-da-te. Non sempre rispetta i canoni: verifica delle fonti, attendibilità e imparzialità. Ha nei blog le forme più diffuse, dove si trovano racconti di gente comune ma anche di celebrità. E si è rivelato un supplemento ai media tradizionali.

“Alla lunga, l’effetto più rilevante di questo giornalismo ‘in proprio’ – dice Alex Halavais, Buffalo Un. – potrebbe essere il suo valore per gli storici. Essi potranno trovare ogni tipo di racconto, dettaglio e informazione che si sarebbe potuto perdere in mancanza di un medium come Internet sul quale registrarlo”.

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A gentile richiesta

Sembrerà incredibile, ma basta un paio di persone per ridare slancio a una terza. In overdose da weblog, avevo deciso di smettere, per recuperare tempo per me. Sono andato a Venezia, a vedere un paio di film alla Mostra del Cinema (La forza del passato: modesto, italiano, con un Sergio Rubini quasi sempre adeguato al ruolo. Dirty pretty things: azione, cannibali contemporanei e buoni sentimenti in una Londra di soli immigrati e alloggi di fortuna) e quando sono tornato ho trovato due messaggi. Belli, incoraggianti. Qualcuno mi legge. Mi piace ancora l'idea che possa continuare a farlo.

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5.9.02

Due minuti fanno la differenza

Riprendo le considerazioni sul tempo della rete e della scrittura, sulla velocità “necessaria” della comunicazione e della sua elaborazione.

In occasione degli Us Open di tennis, l’Ibm ha realizzato un sistema per l’aggiornamento online dei risultati in tempo reale. “Tempo effettivamente reale”, sottolinea Daniel Sturman, senior manager alla Ibm. Questo dispositivo, infatti, aggiorna il risultato (con un playbyplay dettagliato e le statistiche corrispondenti) ogni qual volta questo si modifica, a differenza dei sistemi in uso finora, cosiddetti “polling mechanism”, che venivano invece aggiornati ogni due minuti. “Qual è il vantaggio? – si chiede Sturman – Prendete il baseballi: in due minuti può succedere di tutto!”.

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L’11 settembre e i media americani – 2

Alcuni effetti interni ai media americani si sono già verificati negli scorsi mesi. Dopo aver considerato la Politica estera poco interessante durante gli Anni 90, i network tv americani hanno massicciamente “aviotrasportato le proprie truppe” in Afghanistan nella scorsa estate, incidendo notevolmente sulla quantità dei propri contingenti al di là dell’Oceano.

  • Fox News è passata da 6 a 10 corrispondenti dall’estero

  • La NBC, che comprende anche MSNBC online, sta usando molti più freelance che in passato

  • La CNN non ha aumentato il personale, ma con 42 uffici di corrispondenza all’estero (compreso quello esistente in Afghanistan prima dell’11 settembre) ha in giro per il mondo più giornalisti di qualsiasi concorrente americano.


Eppure, al di là della prevista invasione di speciali dedicati alla memoria dell’attacco di Al Qaeda, l’International Herald Tribune osserva che lentamente le scelte editoriali siano tornate alla normalità, anzi addirittura hanno accentuato una certa vena frivola, aumentando le coverstories sui film di Hollywood o le storie d’amore fra attori e celebrità.

Jim Kelly, capo redattore del Time, spiega: “Il nostro cosiddetto’giornalismo di investimento’ – gli argomenti sui quali spendi un sacco di tempo e di energie – è quasi interamente dedicato al terrore e al terrorimo. Ma non possiamo fare ogni settimana una copertina sull’11 settembre, altrimenti i nostri lettori rischiano di diventare un magazine sul terrore”.

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L’11 settembre e i media americani – 1

Chiedo scusa per il cinismo, ma questi dati tratti dall’International Herald Tribune mi sembrano molto interessanti a proposito dell’effetto che l’11 settembre ’01 ha avuto sui media americani.

Da ottobre dello scorso anno, il rating dei notiziari serali è cresciuto in questa misura rispetto allo stesso periodo del 2000:

  • Abc +8%

  • Nbc +4%

  • Cbs +1%


Anche le tv via cavo hanno avuto un’estate eccellente (considerata a partire dal 27 maggio ’02):

  • Fox News Channel +111%

  • CNN +61%

  • MSNBC +13%


A proposito di copertura mediatica, per l’11 settembre di quest’anno è previsto che:

  • La Nbc trasmetterà il “Concerto per l’America” dal Kennedy Center

  • Il principale anchorman dell’Abc, Peter Jennings, modererà un dibattito cittadina per l’intera giornata

  • Scott Peley intervisterà per la Cbs il presidente Bush

  • Canali via cavo, come Discovery Channel, A&E e History Channel, offriranno programmi speciali alle principali reti di news

  • La Radio Pubblica Nazionale trasmetterà in diretta da New York per 20 ore su 24


Quanto alla carta stampata, Il Time e Newsweek hanno pubblicato dei numeri speciali. Molti quotidiani, compreso il Washington hanno previsto dei dorsi speciali. Il Newsday pubblicherà un magazine di 76 pagine sulle vittime mentre il New York Times pubblicherà i progetti di alcuni architetti sulla ricostruzione su Ground Zero.

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4.9.02

L'informazione può dividere - Il commento di Mantellini

Ricevo da Mantellini un commento al mio commento al suo articolo su Punto informatico. Con enorme piacere lo posto:

"Con tutto il rispetto per la categoria e per Carlini che stimo da sempre, non mi pare che il mediatore esperto possa cambiare di molto le cose. Anche se comprendo bene l'aspirazione professionale e sono convinto che sarebbe una ottima cosa per tutti. Io lo immagino come un problema di architettura del web: le informazioni mi pare si diffondano orizzontalmente, non passano troppo spesso attraverso un imbuto. E allora mi chiedo nell'economia generale dell'overload informativo che ruolo potrebbe avere una rivoluzione del genere del lavoro giornalistico? Piccolo e marginale.

"Oso una citazione banale (sono quelle che mi piacciono di più): Weinberger termina il suo Small Piecies dicendo che il web è nostro. Più banale di così si muore. Eppure credo che da lì si debba partire. Se il web è mio (tuo, suo, etc) ha ragione Da Empoli quando cita la necessità di andare a cercare gli strumenti altrove rispetto alle informazioni stesse. Perchè gli strumenti di comprensione miei e i tuoi e quelli di qualcun altro saranno per forza diversi ed individuali, più o meno spuntati ed efficaci ma necessariamente singoli. Quello che invece Da Empoli non dice (perchè è uno snob, perchè è un egocentrico o forse perchè conosce poco Internet) è che esistono tanti livelli e sfumature di comprensione del mondo, mille capacità diverse di leggerlo e capirlo e che tale dinamicità culturale trova nel fiume di dati online il suo ambito di ricerca migliore.

E' vero: "non basta aprire i microfoni o i computer per liberare di colpo l'informazione vera". Ed è vero che il problema del frugare in fondo al bidone per trovare qualche cosa che faccia per noi rimane. Ma se la rete è nostra e ognuno di noi è diverso immagino che dovremo continuare a sporcarci le mani. Ognuno le proprie ovviamente. A me pare che continui a valerne la pena".

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3.9.02

Un'immagine per l'11 settembre

AfghanistanCi siamo, purtroppo. Un anno è passato e giornalisticamente l'avvicinamento è forte, intenso, pesante. Com'è giusto che sia. Immagino come saranno aperti i telegiornali. Immagini nel silenzio, al rallentatore, montaggi di Osama bin Laden, dei pompieri di New York City, degli aeroporti americani vuoti. E sui giornali, una foto enorme, a centro pagina, delle Torri gemelle in fiamme o avvolte dal fumo.

Io voglio ricordare l'11 settembre con questa immagine. L'Afghanistan della guerra, l'altra faccia della della ferocia umana. E' una delle Foto dell'anno premiate da Editor&Publisher: Thomas Lee Bozeman - Daily Chronicle, Bozeman, Mont. Il mio silenzio in un blog di parole.

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Giornalisti, razza da blog - 2

Ho già citato in un altro post il pezzo di Infocity sui blog dei giornalisti. Mi chiedevo se fossi più triste per lo scarso numero di colleghi in rete o per la forzatura del titolo.

Mi è stato sufficiente fare un giretto online di un quarto d'ora, per stabilire che l'articolo era incompleto. In realtà, sono diversi i giornalisti, più o meno occulti, che tengono un proprio blog. Pochi quelli affermati, come Pino Scaccia, inviato del Tg1; più numerosi quelli meno noti, come Michele Marziani e Laura Bogliolo. Se non ci aiutamo fra di noi...

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Internet in Italia: traffico raddoppiato in 2 anni

Un'altra cascata di dati dal Sole24ore di oggi ricavata dalle previsioni dell'istituto internazionale Idc contenute nell'annuale relazione dell'Authority per la comunicazione.

Alla fine del 2002, il mercato del traffico internet in Italia sarà più raddoppiato rispetto al 2000:

  • 2100 euro al minuto

  • 90 milioni di euro in un mese

  • oltre 1 miliardo di euro in un anno


Grazie anche alla diffusione dell'Adsl, nel 2001, i minuti che gli italiani hanno trascorso online sono stati 48 miliardi, 20 miliardi in più del 2000.

Sempre nel 2001, in Italia gli utenti unici (le persone che si sono collegate almeno una volta nell'ultimo trimestre dell'anno, al netto delle duplicazioni dovute all'uso di internet da due o più luoghi di accesso) sono stati 17.9 milioni.

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L’informazione può dividere? – 4

Cultura, comunque, se ne fa a monte. Che cosa sono, altrimenti, tutti gli studi teorici sull’evoluzione della scrittura, dello stile, sull’usabilità, la credibilità, l’accessibilità? Il problema, semmai, è che questa elaborazione culturale ha trovato scarsa applicazione pratica. E, come dice ancora Carlini, le vittime principali di questo processo sono giusto i valori nuovi che internet sembrava portare: l’ipertestualità e l’interattività.

Le cause sono molteplici: una discrasia fra teorici e pratici, fra lo studioso (Nielsen, padre della web usability, è ormai sopportato, se non odiato dai web designer: si veda il commento di Simone a un mio post) e l’operatore quotidiano; una forma di pigrizia da parte di chi, soprattutto i giornalisti, ha accettato a fatica l’idea di dover acquisire competenze grafiche e visive. Carlini ne propone un’altra: “Ci sono dei poteri da difendere, ma anche il modello ‘libera bacheca’, ampiamente sperimentato nei gruppi di discussione tematici, è risultato spesso deludente e noioso”. Insomma, non basta aprire i microfoni o i computer per liberare di colpo l’informazione vera, di base e magari alternativa.

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L’informazione può dividere? – 3

Il dibattito diventa molto elevato dal momento che Attilio cita Eysenck, Maturana, Varela, Stoll. Tento comunque di inserirmi, sulla base di qualche riflessione e di altre opinioni che condivido, anche a costo di perdermi un po’, mescolare troppi campi e fare confusione.

Quello che scrive Da Empoli si ritrova anche in La mente al punto, edito da Laterza, di Raffaele Simone, un altro libro molto interessante: “Le informazioni sono diventate torrenti, fiumi inondazioni, una piena continua e inarrestabile. Tanto che siamo diventati incapaci di dominarle, di tenerle a mente, di valutare se sono di buona qualità oppure no”.

C’è un sovraccarico di informazioni che vengono fornite in maniera sempre più rapida (il che, per Simone, ha provocato una “malattia, una specie di delirio del ritoccare, del modificare che non spinge a pensare prima di scrivere, ma a pensare al più mentre scriviamo. O a non pensare affatto”). Quindi, all’incapacità degli utenti di verificarne la qualità si aggiunge l’impossibilità di farlo anche e soprattutto da parte di chi le fornisce.

Per questo, a mio avviso, più che della capacità personale auspicata da Da Empoli, è necessario quello che Franco Carlini definisce mediatore esperto: “un professionista esterno che faccia capire, orienti nella lettura e nell’interpretazione delle fonti. E’ colui al quale è affidata ‘l’intelligenza della scelta’: si comincia navigando, si accumulano selezioni intelligenti di informazione e poi si impacchettano nei formati che servono”. Un po’ quello che, in origine, dovevano essere appunto i weblog: “Ti do notizia che si sta dando notizia”, in base a un rapporto fiduciario.

Per Carlini, il mediatore esperto “è una clamorosa rivalutazione del negletto lavoro dei giornalisti al desk (quelli, cioè, che stanno in redazione) rispetto a quello nobile dell’inviato o dell’opinionista”. Per me, è la figura che si sarebbe dovuta affermare sin dall’avvento di internet.

Sei anni fa, una case history di un convegno su “Internet e carta stampata”, a cui ho partecipato, era stata quella del quotidiano britannico The Guardian. Secondo il suo responsabile, la funzione del sito doveva essere di ponte fra gli utenti e il mondo dell’informazione online, di filtro intelligente appunto: il deep linking allora era considerato giustamente il fondamento di un’attività giornalistica on line, il giornalista un ricercatori della/nella rete.
Bene, ieri volevo raggiungere il sito del Festival del Cinema di Venezia, non conoscendone l’indirizzo. Sono andato sul sito di Repubblica, convinto di trovarlo, ma non ce n’era traccia, come di alcun altro link ipertestuale.

E’ solo un esempio di una pratica ormai diffusa: ogni fonte di informazione, più o meno autorevole, è sempre più autoreferenziale, preoccupata di non essere cannibalizzata, superata, abbandonata. Dimentica di quella che potrebbe essere invece una funzione culturale nella rete.

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L’informazione può dividere? – 2

Nel forum seguito all’articolo, Attilio sostiene il pensiero di Da Empoli, affermando nettamente l’esistenza di un primato occidentale e liquida il “terzomondismo” di Mantellini. Per lui, il vero problema non è l’equivoco tra Cultura e informazioni, ma il fatto che troppo spesso le informazioni reperibili su internet sono inutili, false, distorte o strutturalmente incomplete, e fingere di ignorarlo è una consapevole mistificazione.
“Ed ecco che le considerazioni sul digital divide basato sulla capacità personale – scrive - non sono altro che una pacifica presa d’atto dello status quo. Elargire un fiume di informazioni sconnesse e contraddittorie non è certo sufficiente a soddisfare l’utopia di portare la Cultura in tutte le teste, in misura eguale”.

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L’informazione può dividere? – 1

Antefatto: Massimo Mantellini recensisce su Punto informatico Overdose, un libro di Giuliano Da Empoli, edito da Marsilio, la cui tesi centrale è:
L’evoluzione tecnologica ha rubato tempo all’elaborazione culturale dell’informazione privilegiando la quantità e la continuità dei flussi di notizie alla loro comprensione. Si profila, così, un nuovo digital divide basato sulla capacità individuale di comprensione e filtraggio dei dati piuttosto che sulla possibilità di accedere o meno ai dati stessi. Finora si pensava che il digital divide fosse basato sulla esclusione dell’informazione, mentre nella realtà il rischio che oggi si corre è opposto: l’esclusione attraverso l’informazione.

Mantellini obietta che questa è una visione fortemente occidentale e che anticipa eventuali scenari futuri, senza occuparsi di quello che è oggi il problema: solo una piccola parte del pianeta può accedere a internet o alla tecnologia in generale. Condivide invece uno dei rimedi prospettati da Da Empoli: il diritto alla disconnessione, quella capacità di superare la retorica dominante secondo la quale essere connessi è un valore assoluto di per se stessi.

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2.9.02

Oddio, mi era caduto il server

Chi ha frequentato questo weblog nella giornata di oggi, ha sicuramente notato la scomparsa del link alla finestra dei commenti. Appogiandomi ad Haloscan per questo servizio, anch'io sono stato travolto dalla caduta dei due server. Come si dice: we apologize.

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Scrittore ti voglio applaudire

Mauro Covacich su Io Donna del Corriere della Sera dà un paio di risposte, naturalmente indirette, alle mie perplessità sull'incredibile successo di pubblico del Festivaletteratura. Naturalmente non sciogliendole.

Cita Tiziano Scarpa: "Credo che questa popolarità live di scrittori non proprio popolari si spieghi in parte con una specie di meccanismo proiettivo: quello non è un superbig, quello è uno come me, e ce l'ha fatta con un po' di parole, andiamo a vedere come se la cava".

E Raul Montanari: "Il pubblico è curioso della persona dello scrittore, dei suoi gusti, dei suoi tic, poco importa se è uno scrittore famoso. Ciò aiuta chi scrive libri a sentirsi gratificato, a tenere duro e lavorare nei momenti in cui, come diceva Patricia Highsmith, la meschinità del quotidiano ti assale con una violenza da tale da farti venir voglia di mandare tutto al diavolo".

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Giornalisti, razza da blog

Pagine personali di giornalisti: ormai è un "must" è il titolo di un articolo di Infocity. Per chi non l'avesse capito, faccio il giornalista, ma questo non comporta certo che mi aspettassi di essere citato. Anche perché, quel "must" riguarda solo un paio di blog ben noti tra gli appassionati: quelli di Sabelli Fioretti e Luca Sofri. Non so se mi dispiaccia di più il numero limitato di colleghi (grandi e piccini) o la forzatura del titolo.

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Rischio diffamazione

Ho seguito a distanza tutta la vicenda del post di Simone.blogs sull'articolo del Gazzettino con replica, minacce, ecc. ecc.

Ecco quello che scrive oggi Punto informatico. In una opportuna conclusione molto displomatica, in cui si auspica "il ricorso ad un pacato dialogo pubblico o alla rettifica". Giustissimo. Ma si da il caso che, non essendo un blog una testata giornalistica depositata, non è possibile applicare le leggi sulla stampa: quindi, ad esempio la richiesta, come previsto dall'articolo 8, di pubblicare una rettifica nella stessa posizione e con lo stesso risalto dell'articolo "incriminato".

Tutto è affidato al buon senso degli individui e alla loro capacità di adeguarsi alle caratteristiche del mezzo.

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1.9.02

Un processo mentale

Dice Gyorgy Konrad a Ulf Peter Hallberg, autore di Lo sguardo del flaneur, edito da Iperborea: "La scrittura è un processo mentale, un modo di fare esperienze. Faccio esperienza delle cose attraverso la scrittura".

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Sapere/Velocità - Informazione/Tempo

Già nel post sul libro di Goody era stato espresso un concetto che ho ritrovato in un articolo di Michele Mezza, apparso sul Manifesto del 3/6/01: l'accoppiata sapere-velocità ha modificato radicalmente la struttura produttiva del mondo, il ruolo, la funzione e il contenuto del rapporto fra i produttori di informazione e i mediatori del sistema.

Secondo Paul Virilio, "il messaggio oggi non è più il medium, come diceva McLuhan, ma la sua velocità. L'informazione diventa inseparabile dalla sua accelerazione energetica, un'informazione non è attualmente più nemmeno un'informazione degna di questo nome ma un semplice rumore di fondo".

Un concetto al quale si può associare quello che Andrea Piersanti scrive su .com del 27/8/02, recensendo il libro Il continente digitale, edito dal Sole24ore, di Pier Giorgio Valente: "il tempo della nuova comunicazione non corrisponde più al tempo delle persone". Esiste, cioé, un 'tempo unico collettivo globale' per gli oggetti, le cose, gli affari e tanti 'tempi individuali e locali' per i soggetti, le persone e gli affetti. Il tempo 'corporeo' s'inchina a quello incorporeo di Internet, gli si sottomette. Il presente della realtà - scrive Valente - è assoluta atemporalità, concepita non fuori dal tempo ma senza tempo, ove passato e futuro si intersecano".

"Dall'intuizione teorica alle sue applicazioni concrete - aggiunge Piersanti -, il 'cyber tempo' sta diventando la nuova discriminante sociale e culturale del Terzo millennio. Tutto ciò che è gratis o poco costoso può durare tantissimo. Tutto ciò che vale e che dev'essere pagato in modo salato dura pochissimo".

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Il libro: ricchezza, profondità, durata

Provo a riprendere il filo del discorso su scrittura, tempo e memoria, che ho avviato in post precedenti. Scrive Giuseppe Pontiggia sull’inserto domenicale del Sole24ore di inizio marzo:

“Il libro, come il giornale, vede quotidianamente eroso un predominio che alla fine dell’Ottocento aveva probabilmente raggiunto l’estensione maggiore. La sua difesa non deve però diventare la difesa di una esclusiva impossibile, ma di un’idea di cultura nll quale la nostra civiltà si riconosce.

“Non parlo del libro come oggetto perfetto (non ho dubbi in proposito), del quale siamo tutti innamorati: e mai come in questo caso l’aggettivo tutti, che abbraccia generalmente una parte, ne individua una tanto piccola. Né voglio cadere nella tentazione di evocarne la bellezza, la piacevolezza al tatto, il fruscio delle pagine, i profumi afrodisiaci, le delizie di cui i bibliofili tessono gli elogi, oggi prossimi ad assumere i colori crepuscolari della nostalgia, comunque prematura. Io non credo che il libro cesserà di essere una fonte di felicità.

“Noi piuttosto dobbiamo difendere l’immagine della cultura che il libro esprime rispetto ad altre fonti di sapere. E la lettura come esperienza che non coltiva l’ideale della rapidità, ma della ricchezza, della profondità, della durata. Una lettura concentrata, amante degli indugi e dei ritorni su di sé, aperta, più che alle scorciatoie, ai cambiamenti di andatura che assecondano i ritmi alterni della mente e vi imprimono le emozioni e le acquisizioni.

Solo quando pretende di essere sostitutiva del libro, l’informazione elettronica rivela limiti fuorvianti. Ma quando assolve una funzione integrativa o parallela, non costituisce un ostacolo, ma un aiuto”.

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Credibilità o persuasione?

Tutto (o quasi) nasce alla Stanford University, dove è stato istituito un corso di Captologia, lo studio dei computer come tecnologia persuasiva (“un computer persuasivo è una tecnologia interattiva disegnata per modificare abitudini e costumi delle persone”).

Per essere sufficientemente persuasivi, si dev’essere prima di tutto credibili. Ed ecco, allora, che a Stanford compilano un decalogo su come rendere un sito credibile:

  1. Fa’ che sia facile verificare l’accuratezza delle informazioni del tuo sito

  2. Mostra che alle spalle del tuo sito esista una reale organizzazione

  3. Metti in evidenza la competenza esistente nella tua organizzazione, nel contenuto e nei servizi che metti a disposizione

  4. Mostra che dietro il tuo sito stanno persone oneste e affidabili

  5. Fatti contattare con facilità

  6. Disegna il tuo sito in modo che appaia professionale (o appropriato alle tue intenzioni)

  7. Crea un sito facile da usare e che sia utile

  8. Aggiorna spesso il contenuto del tuo sito (o quanto meno dimostra che è stato aggiornato di recente)

  9. Limita il ricorso a contenti promozionali, come pubblicità, offerte, ecc.

  10. Evita errori di qualsiasi genere, non importa quanto siano piccoli o poco significativi



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Un rigo, un treno

A proposito di americani e di abitudini diffuse e globalizzanti, leggevo ieri su Ttl de La Stampa questi Fulmini di Nico Orengo:

“E’ allettante questa idea che dall’America sta arrivando anche da noi. Se in treno stai leggendo un libro, ti è piaciuto, quando l’hai finito lo lasci sul sedile per qualcun altro. E’ il ‘book crossing’. Ma è praticabile? Qualche generoso esempio si è verificato. Generosissimo per uno, un libro, se gli è piaciuto proprio tanto se lo tiene, lo vuol rileggere, c’è una frase che può aiutarlo ancora, una parola che vuol ripetere.

"Avrei mai lasciato in treno ‘Le memorie di Adriano’ della Yourcenar, ‘Rien va’ di Landolfi, ‘Triste, solitario y final’ di Soriano, ‘Le città invisibili’ di Calvino? Sinceramente no. Li ho tenuti, consigliati, regalati, riletti. Più facile scendere dal treno, comprare una seconda copia, risalire e lasciarla sul sedile”.

Sante parole. E quattro ottimi consigli di lettura.

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Il coraggio di disconnettersi e una moleskine virtuale

Girando tra i blog, trovo questo post di Mantellini in cui di queste tre soluzioni:

  • il coraggio di essere sintetici e chiari

  • il coraggio di disconnettersi

  • il coraggio di recuperare una dimensione narrativa e lineare


si fa il tifo per la seconda.

Questo è il commento che ho lasciato:
Disconnettersi, recuperare l'aria, la luce, i suoni e i colori. Una necessità assoluta, sono d'accordo con te. Ma come si può fare? Io, ad esempio, usavo una moleskine, questa sì ante litteram, per raccogliere pensieri, riflessioni e citazioni. Adesso raccolgo tutto, ritaglio e metto da parte, in attesa di collegarmi e scaricare tutto nel mio blog. Una moleskine virtuale.

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Usabilità, accessibilità, credibilità. Ma noi siamo indietro

Quello che mi stupisce degli americani, è la loro straordinaria capacità di codificare tutto, di definire per ogni sottoscienza, settore o ambito possibile un decalogo. Così è stato in principio per l'usabilità dei siti web, poi per l'accessibilità (progettazione e realizzazione di un sito Internet accessibile, indipendentemente dalla dotazione tecnologica degli utenti, e che tenga conto delle loro difficoltà visive, uditive, motorie o cognitive), infine per la credibilità (di cui scriverò appena possibile).

A una teoria gli americani fanno corrispondere una serie di principi. Che però non tutti applicano. Gli italiani, per primi. Leggete cosa dice Patrizia Bertini, esperta di web-usability ed accessibilità su I-dome.

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Una giusta precisazione

Partendo da un mio post, Cavedoni su Blogorroico chiarisce in un suo post la distanza fra le sue considerazioni sulle ultime tendenze tipografiche ormai nauseanti e l'ennesimo decalogo di Nielsen sull'usabilità delle fonts.

Giustissimo chiarimento, che mi era ben presente dall'inizio. Diciamo che ho voluto forzare un po', partendo da Cavedoni per collegarmi a Nielsen, e ho sbagliato. Scrivere per la rete richiede precisione e soprattutto non passa inosservato: lo scambio è continuo, la possibilità di rendersi conto delle proprie imperfezioni anche.

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