Elaborazione grafica di Guido Nestola

31.5.03

Lettere senza risposta

Da molto tempo sono affiliato a Vibrisse, il contenitore letterario che Giulio Mozzi spedisce via e-mail. Qualche mese fa gli scrissi per chiedergli se per caso non conoscesse l'esistenza dei weblog: mi sembrava che la sua iniziativa avesse una struttura ideale per diventarlo. In realtà, solo dopo (leggendo gli allegati a Mondo Blog de La Pizia) ho scoperto che Palomar lo aveva già evidenziato e probabilmente anche riferito di persona.

Insomma, gli proposi (senza però avere risposta: non elegantissimo...) di dargli una mano, di occuparmi io della pubblicazione se non avesse avuto tempo, comunque di fornirgli informazioni utili. Oggi mi accorgo che non ne aveva bisogno.


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30.5.03

Un incubo artistico

Vado in via Jan. Da mesi volevo visitare la Casa-Museo Boschi, una delle più grandi e belle collezioni del Novecento italiano, aperte di recente al pubblico a Milano. E oggi ho deciso. Non l'avessi mai fatto!

Più che una visita, è stato un incubo. Arrivato alle 17 (l'orario di apertura è dalle 14 alle 18, da mercoledì a domenica), ne sono uscito praticamente meno di tre quarti d'ora più tardi. Inseguito dai discorsi a squarciagola dei bidelli e, soprattutto, dei loro figli che occupano non si sa bene come né perché le stanze della Casa-museo. Così, mentre tentavo di concentrarmi sui quadri del Novecento milanese, ho dovuto sorbirmi i suggerimenti da madre (con tanto di cartellino del Comune e della Fondazione cui fa capo il museo) a figlia su come... scongelare il pollo e prepararlo per una cena a cui era stata invitata la simpatica coppia che nel frattempo le aveva raggiunte. Questa era composta da un giovanotto in pantaloncino a mezzo polpaccio e maglietta da marinaretto e signorina oltre il quintale, la cui figura, nella sala successiva, impallava del tutto un memorabile dipinto di Campigli.

Ma già a quel punto, la conversazione si era già inerpicata su vette di alta cultura, dopo aver abbandonato al suo destino la sorte del pennuto. La gentile figliola della signora cartellinata narrava, infatti, di aver visto nella vetrina di un negozio poco lontano un paio di Adidas ultima moda che moriva dalla voglia di mostrare agli astanti (forse me compreso). Così, l'affettuosa mater ha sentito l'obbligo di palesarsi all'ingresso del salone dedicato a De Chirico e Savinio per annunciare: "Le ricordo che l'orario di chiusura è alle 18. Sono le 17.30 e ha visitato cinque sale: ne ha altre cinque. Faccia lei". Così, testuale. Mortale.

Fontana, i primi concetti spaziali, i Nucleisti. Ma le Adidas tenevano sempre banco, a volume massimo, in una casa occupata in quel momento da sei persone! E lì ho cominciato a correre. Ho visto le ultime due sale con un groppo alla gola, in piena crisi d'ansia. Non c'erano Funi o Tosi che tenessero: il pollo doveva essere spellato e forse anche Le Coq Sportif meritavano uno sguardo.

Approfittando della mia accelerazione improvvisa, la santa madre ha cominciato a tirar giù le tapparelle delle sale che avevo già visitato, benché fossero ancora le 17.40. Io, nel frattempo, ero nel corridoio d'uscita e provavo a guardare le ultime opere, di cui non ricordo titolo né autore, tale era il mio stato d'animo. All'improvviso nella Casa si sono diffuse alcune note, prodotte dal pianoforte a mezza coda Bechstein, un pezzo fondamentale della casa per il valore affettivo e intellettuale: negli Anni 40, il suo suono radunava i più grandi artisti contemporanei, ieri la giovinetta senza Adidas se ne serviva per comporre solfeggi da principiante, esplosi in un'esecuzione a due dita del jingle della Barilla. Così, pentagrammatico. Oltraggioso.

Senza accorgermene, sul bordo delle labbra si è formato un sottile velo di bava bianchiccia. Ero in preda a silenziose convulsioni interiori, volevo solo guadagnare l'uscita. Raggiuntala, ho pensato a quale straordinario patrimonio artistico sia stato negato in tutti questi anni alla vista del pubblico di intenditori e appassionati. Ma anche, viste le condizioni, a quale straordinario contributo alla conoscenza e alla cultura del pubblico si potrebbe favorire ora. Se si continuasse a negarlo.

Dicono che io non accetti i limiti umani, che sia troppo esigente. Ma questa ignoranza, questa assoluta mancanza di rispetto travalicano qualsiasi limite, sono inaccettabili. Se questi sono i risultati, propongo una legge che reintroduca le case-museo chiuse.


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27.5.03

Truffe da best-seller

Non è la prima volta che sottolineo, con invidia e dispiacere, l'incredibile capacità degli americani di trasformare clamorosi autogol professionali in libri a grande tiratura. Stephen Glass, il giovane redattore del New Republic che fabbricava storie dal nulla, ha scritto The Fabulist (L'inventore di favole), appena pubblicato da Simon & Schuster (per promuoverlo, Amazon lo vende con il 30% di sconto): ispirandosi alla sua abitudine di contaballe, ha scritto un romanzo di ... fiction. Jayson Blair, da poco licenziato dal New York Times, ha un agente letterario e cerca un editore per raccontare come ha fatto a inventare dozzine di storie.

Non mi sorprenderebbe se anche sulla sospensione di Rick Bragg, che si serviva di un assistente "biondino" freelance a cui non riconosceva il diritto di firma, o sull'ultima lite all'interno dello stesso NYTimes fra Judith Miller, accusata di aver usato il leader dell'opposizione irachena Chalabi come fonte per i suoi scoop (alcuni dei quali rivelatisi privi di fondamento), e il capo della redazione di Baghdad, John Burns, diventasse presto un plot buono per un best-seller. Certo, tra le pagine dell'eventuale libro, Slate non sarebbe definito un bollettino di Internet come ha fatto Ennio Caretto sul Corriere della sera di oggi. Invidia e dispiacere.

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Tessuti iraniani
Marina Forti, di ritorno da Teheran, scrive una pagina sul Manifesto a proposito della comunicazione imbavagliata in Iran dalle autorità religiose. Conclude che quello è ormai un Paese ad alta densità di weblog. In Iran, navigare in rete non è un problema: i negozi di computer e materiale informatico abbondano a Teheran. Per gli accessi a internet compri una carta ricaricabile da pochi euro, come quelle dei telefonini. Se non hai un computer, gli internet café sono ovunque, a migliaia, a Teheran come in tutto l'Iran. Ci sarebbero tra 10 mila e 45mila weblogs e siti individuali: tanti per 65 milioni di iraniani, di cui oltre il 60% ha meno di vent'anni.

In Reading Lolita in Teheran, Azar Nafisi, professoressa alla John Hopkins University, racconta come ha fatto leggere romanzi occidentali a un gruppo di studentesse iraniane. L'autrice ne parla in un'intervista pubblicata sabato da Donna di Repubblica. Dice:
Quando scoppia una rivoluzione, perdi il controllo della realtà. Ti viene portato vià ciò che davi per scontato. Attraverso la narrativa riaffermi quel controllo, raccontando le cose a modo tuo. Tutti parlano della repressione politica della repubblica islamica, ma per me è ancora più grave il furto della quotidianità.

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Fugurine pericolose
Doppio zero è un'antologia degli articoli di Marco Belpoliti, eclettico saggista di cui avevo già scritto.

Su un vecchio numero di Ttl, ho trovato un suo scritto molto interessante sul rapporto fra immagini e pedagogia, che mi ha aiutato a comprendere i motivi dello scarso successo in Italia degli illustratori e dei cartoonist (e, più in particolare, sul concetto per niente elevato che alcuni professori che hanno insegnato alla mia generazione avevano della collezione di figurine...). Tutto nasce da Jan Amos Komenius, un filosofio nato in Moravia alla fine del '500, spiega Belpoliti. Fu lui a introdurre l'Orbis Pictus, un libro di figure, il primo testo scolastico al mondo che utilizza le immagini come strumento di apprendimento.

Nella concezione di Comenio, la scuola è un luogo dove si imita. (...) Il suo programma pedagogico, rimasto inalterato per secoli, possiede tuttavia una valenza sensoriale che le scuole occidentali hanno lungamente disatteso: non si insegna per via indiretta, descrivendo, bensì mostrando le cose per visione diretta - autopsia la definisce Comenio stesso - rendendo le cose presenti ai sensi.

Nonostante le persone che guardano le figure siano molte di più di quelle che leggono, nonostante le figure siano più immediate e memorabili delle parole, per secoli ha prevalsso un pregiudizio negativo verso le figure. (...) Queste immagini funzionano come una sorta di materiale di scarto della cultura visiva moderna, come un luogo in cui si addensano i detriti della figurazione di secoli passati (...) e hanno funzionato spesso in antitesi all'istituzione scolastica.

Dalle figurine Liebig ai Pokémon, questo materiale visivo di scarto, rispetto alla cultura artistica più "alta" ha funzionato come un veicolo straordinario, avendo la meglio sull'ostilità più o meno dichiarata di pedagogisti e insegnanti spaventati dalla loro "impurità"


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Musica spagnola
Su Babelia, inserto culturale di El Pais, Chantal Maillard scrive:
Ho sempre pensato che a un libro di 250 pagine o ne avanzano 200 o è musica. Per esporre una teoria, bastano 50 pagine; di più, è una mancanza di rispetto per chi legge.

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Perchè, why, pecché?
Ho visto Il cuore altrove, il film di Pupi Avati che ha rappresentato l'Italia al Festival di Cannes. Mi chiedo perché certe sere non trovi di meglio da fare.

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25.5.03

Il più bel disco del mondo
Due ore o poco più per leggere Il disco del mondo, la storia incredibile di Luca Flores pianista jazz raccontata da Walter Veltroni. Più che leggere, sembra di ascoltarlo, il sindaco di Roma, come nella bellissima intervista di lunedì scorso a Ottoemezzo su La7: partecipe, appassionato, emozionato.

A Ferrara e Sofri, Veltroni ha raccontato di aver scritto durante le notti e nei ritagli di tempi dei lunghi ponti di Natale e Capodanno, e lo si avverte. Ma forse è proprio questo tono, molto parlato, a rendere ancora più calda, viva e particolare la biografia di Flores, ucciso dai fantasmi dei sensi di colpa. Al punto da far venire voglia di comprare uno dei suoi dischi.

Per una delle solite coincidenze della vita, un’ora dopo aver chiuso con un filo di commozione il libro, ho ricevuto una mail di una mailing house che vende solo jazz e che propone tutta la discografia principale di Flores. Per chi fosse interessato, è la Contro Tempo.

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23.5.03

Il weblog come business
E mentre noi, qui stiamo a bearci sull'umanità dei bloggers, a Boston organizzano per il 9 e 10 giugno la prima convention sulle strategie per rendere i weblog un business.

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Sfondi che sfondano
Sono arrivato tardi con la mia scheda per il censimento dei nomi di Squonk. Ma sono comunque arrivato in tempo per apprezzare il nuovo logo del suo blog. Bellissimo, stile Valigia delle Indie, viaggio fine secolo, sabbia, libri, esotismo di città.

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Vivere in un Mondo Blog

Un’intera pagina-riempitivo di Affari e Finanza (l’inserto sull’economia di Repubblica) di due settimane fa era dedicata a come in cui le nuove tecnologie abbiano modificato il modo di scrivere. L’unica affermazione di rilievo era quella secondo cui nello stile di scrittura in Rete sta emergendo una forte componente emotiva. La lingua non si è impoverita, insomma, malgrado l’uso sempre più frequente di abbreviazioni nella comunicazione via sms, non è diventata pura e semplice lingua parlata trasferita su supporto digitale. Al contrario, é diventata più profonda, intima, pastosa. Più umana.

Ripensavo a questo, leggendo Mondo Blog de La Pizia, in vendita da oggi in libreria, che avevo comprato alla Fiera di Torino. Un libro pieno di emozione, vissuto, intimo e umano appunto. Un libro onesto, in cui non traspare mai un calcolo o una provocazione, com’era invece per Diario di una blogger di Francesca Mazzuccato: né dietro l’idea di scriverlo, tanto meno dietro la volontà di aprire il weblog che ha reso famosa l’autrice (è raccontata quasi per caso: “La cicogna arrivò il 28 marzo 2001, portandomi in dono il mio primo, tanto atteso, piccolo blog”).

Non conosco La Pizia, non sono citato nel libro né i nostri blog sono vicendevolmente linkati fra i preferiti. Anche per questo non mi sembra il caso di scomodare paragoni roboanti con Hemingway o Verga o di indicare Mondo Blog fra i primi capolavori di un’eventuale NeoVerismo tecnologico, come ha fatto Marie Marion. Ma ne riconosco comunque il valore. E’ un libro generoso, genuino, che unisce dettagli tecnici e momenti di vita vissuta, network di rete e relazioni sociali, sia pure con qualche discontinuità che un buon editor avrebbe potuto evitare, sempre con la stessa capacità di tenere alta l’attenzione, già caratteristica del weblog da cui trae spunto. Perché, come scrive la stessa Eloisa, il bello del blog non è nella tecnica, e nemmeno nella straordinarietà dei contenuti. (…) I blog sono un ritorno al minimalismo. Contro la pomposità dei siti web che la new economy ha voluto vuoti e asettici, i blog parlano la lingua di casa, raccontano cose familiari, sono disinteressati e senza secondi fini.

Ma per parlare questa lingua, è necessario che sia elaborata. Trovo una straordinaria coincidenza con alcuni miei vecchi post, quando La Pizia scrive che il blog non è un semplice diario ma è il risultato di un artificio narrativo (il che vale anche per i siti non diaristici). Si scrive un blog sapendo di essere letti, quindi essendo consapevoli di dover catturare e conservare l’interesse di chi lo frequenta. In che modo? Ricorrendo a una dissimulazione della realtà, che è l’arte dello scrivere, e trasferendo in forma leggibile e veritiera l’urgenza della comunicazione che molti di noi sentono.

Tra gli strumenti di questa arte, c’è soprattutto il senso della misura, l’abilità di rendere pubblico ciò che è privato senza alterare la verità e incidere nei rapporti interpersonali. Il rischio è consistente, essendo insito nella natura spersonalizzante della tecnologia. Ne leggevo qualche giorno fa in un articolo del New York Times, intitolato Dating a Blogger, Reading All About It, nel quale tra l’altro era scritto:
In the rush to publish, many bloggers are running headlong into some of the problems conventionally published memoirists know too well: hurt feelings, newly wary friends and relatives, and the occasional inflamed employer.
"All writing is a form of negotiation between the reader and writer over what constitutes responsibility," said David Weinberger, author of "Small Pieces Loosely Joined," a book about the Internet. "Because blogs are a new form, the negotiation can easily go awry."
Mr. Weinberger said the confessional nature of many blogs had "redrawn the line between what's private and public."


La Pizia non concepisce questo rischio, poiché umanizza la Rete e i blog. Lo confermano le citazioni di altri blogger, l’idea che traspare di una condivisione di sentimenti e di contenuti, di una comunità effettiva che si sviluppa dietro e attraverso questi siti. Ma ne fa fede soprattutto l’ultimo paragrafo, dedicato al quartiere di Roma nel quale vive l’autrice: uno scarto improvviso, intenso. In apparenza, non ha nulla a che vedere con i blog e invece li inserisce in una geografia umana reale, come piccole o grandi tracce su una mappa che ha ben poco di spersonalizzante e di virtuale.

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21.5.03

Un Espresso? No, grazie

Fai un blog, mi hanno detto minacciosi gli uomini on line del mio giornale.
Come inizio, non è male. E' l'incipit del blog di Roberto Cotroneo, uno dei sei aperti sul portale dell'Espresso. Come si vede, non esattamente per spontanea volontà dei rispettivi autori. Mi chiedo perché: per togliere gli ultimi dubbi sui rapporti fra weblog e giornalismo/giornalisti o per crearne di nuovi?

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Happy hours
La London Review of Books, una delle più note e accreditate riviste sui libri, il 28 aprile ha aperto una libreria nel centro di Londra, a poca distanza dal British Museum: due piani, doppia esposizione e un gran numero di venditori-commessi scelti in base all'esperienza nel settore e alla capacità di guidare la scelta degli acquirenti-lettori. Un po' come se La Gazzetta dello Sport mettesse in piedi un negozio di articoli sportivi.

L'intento è illustrato in queste poche righe:
The London Review Bookshop hopes to be one of the very best independent bookshops in London, a place you will come away from with a couple of books you hadn't planned to buy as well as the ones you had in mind all along.

Ma il dettaglio che mi ha letteralmente entusiasmato è scritto poco oltre, a proposito degli eventi e degli incontri con gli autori che è previsto si tengano negli spaziosi locali della libreria:
Free wine and nibbles after each event.

Sul free wine, credo non ci siano dubbi. Mi soffermo su "nibbles". Il Dizionario Sansoni lo traduce così:
rosicchiare, rodere, mordicchiare per il verbo
bocconcino, piccolo morso per il sostantivo maschile.

Vino libero e bocconcini con il tuo scrittore preferito.

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Definizioni dal campo
C'è di tutto nell'articolo-compendio di Martina Zavagno su ProHtml.it. Ci sono anche io, a parlare ovviamente di blog.

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20.5.03

Cercando l’orso
Operai che finiscono in una strada, combattono per difendere il posto del lavoro, (alcuni) si industriano per creare un’alternativa, si scoprono deboli di fronte al potere delle multinazionali e della politica e soprattutto al cospetto delle proprie vite, delle proprie famiglie, del proprio passato che identificano facilmente in una parola: “merda”. E poi la vita dei paesi piccoli, le voci che corrono, il privato che si fa pubblico nel tempo di un sussurro.

Il posto dell’anima è un bel film. Italiano, avendo trasferito in Abruzzo un compendio di quello che inglesi e spagnoli hanno girato negli ultimi tempi (da Ken Loach allo splendido I lunedì al sole), anche per la leggera recitazione sopra le righe dei suoi protagonisti principali. E’ quello che si definisce un film onesto, completo, pieno di storie, sentimenti e situazioni, capace di stimolare riflessioni profonde e amare, pur non perdendo mai il sorriso. Per essere italiano, appunto, è un grande risultato.

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19.5.03

Una fiera senza bestiame
Italic 1.0, in realtà, non è l'unico libro del genere. Penso alle pubblicazioni della casa editrice Sylvestre Bonnard, che oggi ho cercato inutilmente tra gli scaffali dello stand alla Fiera del libro di Torino. Inutilmente, perché lo spazio era poco ma anche l'entusiasmo dell'editore rispetto a questa occasione mi sembrava scarsissimo. Lo avevo percepito ascoltando un suo intervento a Fahreneit, la trasmissione di Radio3 che mi ha fatto da guida per nonvedente finché non sono entrato al Lingotto, e l'ho sentito dalle sue parole proprio mentre curiosavo fra i pochi titoli del suo spazio.

Non è piacevole sentir dire, a ogni pie' sospinto e non solo dall'editore di cui scrivo: "Finalmente è finita". Capisco la ressa, comprendo i bambini-cavallette, ma del mestiere di editore fa parte anche il contatto con quel pubblico che non fa ressa né divora tutto al suo passaggio.

L'impressione, confermata anche da poche battute volanti con altri editori realmente presenti negli stand (Fanucci, Pequod, ExCogita), è che questa edizione sia stata scarsa per volume di affari e reale interesse di pubblico, malgrado qualche giornale abbia provato a soffiare sul fuoco delle cifre degli ingressi e sulle poche polemiche sorte durante l'esposizione. Si legge poco, ahimé, ma se sono gli editori per primi a concepire la propria presenza in una Fiera del libro solo riproducendo l'antica logica del banchetto del mercato rionale, il respiro sarà sempre molto corto.

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Sognare su un libro da tipografi
Su un vecchio numero di Alias, inserto settimanale di cultura del Manifesto, ho trovato una recensione molto interessante di Marco Belpoliti su Italic 1.0 Il disegno di caratteri contemporaneo in Italia, edito da Aiap. Scrive:
La tipografia è l'ancella di tutte le altre arti, eppure senza di lei non ci sarebbe alcuna comunicazione. Il suo carattere principale è quello di imprimersi così tanto fino a divenire trasparente: la scrittura è un mezzo attraverso cui vediamo molte cose, ma quasi mai vediamo la scrittura stessa nel suo aspetto visivo, come carattere.
(...)Si può dire che la scrittura sia tornata a dominare il campo, anche dal punto di vista visivo. Italic 1.0 è un libro dei sogni, dove la passione per ciò che è singolare, individuale - il carattere come unicità - si sposa con lo strumento più universale e flessibile, che oggi abbiamo a disposizione: il pc. In questo volume (...) sembra realizzarsi il sogno di Roland Barthes di una mathesis singularis: avere una scienza per ogni singolo oggetto. Una scienza, o meglio un "sapere", inteso come conoscenza ed esattezza: una matematica del concreto. E questo è possibile perché il computer consente di sposare insieme la mano e l'occhio. Al contrario, si può pensare, le nuove tecnologie non hanno disincentivato la progettazione manuale degli alfabeti o la loro realizzazione artigianale. Diversi dei progettisti censiti nel libro vengono dal mondo della calligrafia, dal disegno minuzioso e paziente della mano.


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Grazie, Giovanna
Back home, dopo un lungo silenzio dovuto al lavoro e a qualche giorno di mare (dove non ho portato il pc: sto invecchiando!).
Metto a posto un po' di cianfrusaglie e cosa trovo? Un intervento a firma Giovanna, tra i commenti a Fronte del video, in risposta ad alcune considerazioni di Céline che io peraltro non condividevo. E' proprio lei, Giovanna Botteri! Per chi non lo avesse ancora letto, il contenuto è questo:
in due mesi di servizi credo di non aver mai fatto uno stand up. ho fatto e continuo a fare un sacco di errori, probabilmente i miei pezzi sono tutto meno che sobri.ma vi prego, non accusatemi per quello che non faccio....

In effetti, il termine pashminated, che avevo coniato a proposito delle inviate televisive italiane, riguardava anche lei ma in misura decisamente inferiore rispetto alle altre. Alla Botteri devo riconoscere di aver fatto il lavoro migliore tra le nostre anchorwomen al fronte. Sobrio, corretto, giustamente emozionato e per questo molto emozionante. Mi ha ricordato il titolo di un bel libro-intervista con Kapuscinski, il grande inviato polacco, a proposito degli inviati di guerra: Il cinico non è adatto per questo mestiere.

E a questo punto devo anche riconoscerle una modestia e una disponibilità inusuali per chi, come lei, ha fatto quel che ha fatto. Le ho scritto una mail privata e qui aggiungo: Grazie, Giovanna.

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12.5.03

Ciambelle senza buco
E' in rete il nuovo sito di Diario. Più di qualcosa non funziona e la prima impressione non è entusiasmante. Chiedono pazienza, noi ne avremo.

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8.5.03

Quello che le rose non dicono
Sono stato nei giorni scorsi ad Atene, città che adoro (come i suoi abitanti), in giro per siti olimpici. L'idea che mi sono fatto non è molto confortante, ne ho scritto altrove e per questo all'Athoc, il Comitato organizzatore, non mi amano molto.
Qui vogliate gradire quello che mi è rimasto, come dire..., nella penna. Un tentativo di giornalismo parallelo, complementare, ovvero quello che non mi sarebbe mai piaciuto fare: far defluire in rete ciò che non trova altro spazio. Vediamo che effetto fa.

C’è una parola che ha convinto i tanti ateniesi scettici sui Giochi del 2004: eredità. Quello che resterà dopo le gare: le strade, i ponti, i tram, il restauro di 4000 palazzi costruiti in totale anarchia urbanistica ed estetica, la circonvallazione che dovrebbe decongestionare il traffico del centro, i greci li aspettavano da sempre. Anche se da anni comporta disagi, viali chiusi, piazze transennate, cantieri in tutta l’Attica, con cui i c.t. azzurri in visita ad Atene hanno fatto pazientemente i conti.

Il Kalimarmaro, lo stadio di marmo ricostruito nel 1896 per la prima Olimpiade moderna sul modello di quelli antichi, dove si concluderà la maratona notturna, è piena di gru. Intorno, si cerca di finire entro l’anno la grande passeggiata che toccherà l’Acropoli e l’Agorà. La piazza centrale di Syntagma, rifatta a fine Anni 90, presto sarà rioccupata dai martelli pneumatici: i lastroni di marmo si sono rivelati scivolosissimi nei giorni di pioggia. Piazza Omonia, poco distante, dopo 7 anni di lavori, dovuti alla scoperta di migliaia di reperti archeologici che hanno costretto a realizzare un vero e proprio museo nella fermata del metrò, subirà un lifting di altri due mesi. All’interno dello stesso Villaggio Olimpico (che sarà poi convertito in area di edilizia popolare agevolata) sono state trovate tracce di un acquedotto del 171 a.C.: saranno illuminate per diventare un parco di attrazione per gli atleti di tutto il mondo.

«Abbiamo affrontato e stiamo affrontando problemi e rinvii — ha detto Gianna Angelopoulous, la presidentessa del Comitato organizzatore —, ma si deve riconoscere che l’imponenza e la complessità dei progetti sono qualcosa che tutta la Grecia affronta per la prima volta». E’ utopia pensare di risolvere in 6 anni, da quando Samaranch ha assegnato l’Olimpiade, i problemi di secoli. Ma questa è comunque una grande opportunità per creare un clima diverso, in un Paese di 10 milioni di abitanti che vuole ridurre il gap con gli standard occidentali. Sempre che dopo i Giochi non cada la pioggia sul marmo.


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Entusiasmi

Su Repubblica di oggi un'entusiastica recensione (condivisa da me con entusiasmo) sul Il libraio di Kabul da parte di Paolo Rumiz. Che scrive, tra l'altro:
Nel tempo eccezionale della guerra, ha cercato la normalità, la quotidianità. Ha visto matrimoni combinati, punizioni corporali, le confidenze private, il panico dei bambini a scuola durante la lezione coranica. Ha visto talmente bene che alla fine, al momento di scrivere, ha rinunciato a ciò di cui nessun giornalista di guerra oggi farebbe a meno: se stesso come io narrante. Nel suo libro parlano solo i personaggi, in una storia scarna, asciutta, senza commenti. Una tecnica che non serve a far risaltare solo i protagonisti, ma anche la condizione di annichilimento di chi scrive. Uno che accetta di rinunciare a tutto di sé, pur di condividere una condizione deprivata. E capire.

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2.5.03

Fronte del video
Intervista sull'Unità del 1° maggio a Giovanna Botteri, inviata-scooper del Tg3. A proposito di Testimoni e chiosatori, si legge:
Unità - Si discuteva in Italia sul ruolo degli embedded, i giornalisti al seguito degli eserciti: così dopotutto sono nati cent'anni fa gli inviati di guerra.
Botteri - Io sono convinta che l'ingresso delle donne nel giornalismo ha dato un contributo anche in questo. Non segui l'esercito se non ti interessa la strategia militare, se invece vuoi racconta i civili, le donne, le famiglie. Un'idea di guerra subita, non fatta. Io ho cominciato nei Balcani, c'erano pochissime donne tra i giornalisti, allora. Quando noi abbiamo avuto i primi contatti con i profughi - giornalisti donne e uomini con una personalità più acuta - abbiamo raccontato piccole storie e non grandi strategie: come si riesce a trovare da mangiare in guerra, come vincere la paura, o le mamme che raccontano, come è successo ra, che danno il valium ai bambini per farli dormire la notte. Avendo bimbi, ti viene naturale chiedere: come fai a farlo dormire? Forse un uomo è più portato invece alle strategie, ai movimenti di truppe


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I minori che ballano in rete
Leggendo l'intervento di Mantellini sul caso di Stella Magni e del suo libro di esordio che ha finalmente trovato sui blog una vetrina critica, mi è tornato alla mente un articolo pubblicato su Repubblica di qualche giorno fa a proposito di Memorie lontane, di Guido Nobili (pubblicato da Sellerio), rilanciato anche da Zoooom.

Esiste per fortuna una letteratura "minore", che delizia chi vorrebbe aver letto tutti i libri, e ha imparato che nessuno ci riuscirà mai. Il lettore abituale non rispetta soltanto i grandi libri canonici, ci mancherebbe. Anzi, i minori che valgono non li definisce tali, se li sceglie con cura e li considera irrinunciabili. Come sarebbe impositoria, monumentale, ieratica, insopportabile una letteratura di soli "maggiori"! I minori non s'infiltrano tra i monumenti, ballano loro intorno.

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1.5.03

Le testimoni e i chiosatori

La guerra è finita o sta per finire: su una portaereri, si brinderà, augurandosi che non ci sia troppo mare. I giornalisti embedded tornano a casa (o restano, dice il Ministero della Forza, pardòn della Difesa, americano a loro rischio, pericolo e spese) mentre le principali inviate televisive nostrane fanno qualche giro d'onore nei talkshow delle reti di appartenenza. Anche per loro, come è stato per embedded, si potrebbe coniare una definizione. La prima che mi sovviene è: pashminated.

A questo riguardo, Anna Maria Crispino, elabora un'interessante e acuta analisi sessista sull'informazione italiana in occasione della guerra. Lo fa su Global, in vendita dal 7 maggio, e Zoooom lo anticipa con ampi stralci.

Tante donne, ma molto diverse tra di loro, a raccontare la guerra sui nostri schermi - meno sui quotidiani, con l'eccezione soprattutto de il manifesto e poco più - tanti uomini, "esperti" di tutte le risme, a volte le peggiori, a commentarla.
Forse, la prima linea di discrimine sta qui: nella differenza tra raccontare e commentare. Un crinale su cui l'informazione italiana non ha esattamente una tradizione aurea da rivendicare.

(...) Di tessiture le donne sono grandi esperte. Come di narrazioni. Che significa sapere ascoltare le voci degli altri, farsi tramite del riconoscimento dell'altro, accettare la propria parzialità per lasciarsi interrogare da ciò che accade, dall'imprevisto, dal non ancora. Il che non vuol dire essere obiettivi/obiettive: nessuno sguardo lo è davvero. E' la capacità, la volontà e la sapienza, in alcuni casi, di saper uscire dalla trama predisposta, infilarsi nelle fessure, allargare gli interstizi. E allora, forse, la differenza tra i giornalisti italiani che hanno seguito questa guerra non è tanto tra donne e uomini: ma tra chi è andato sul terreno per cercare di capire e raccontare, e chi invece, ovunque fosse, cercava conferma ad una storia di cui conosceva in anticipo il copione. Chi ha raccontato il kolossal hollywoodiano con i suoi effetti speciali e la messa in scena dello scontro tra buoni e cattivi: trama rassicurante sin dal tempo dei film sulla guerra contro gli indiani pellerossa perché si sa dall'inizio che a vincere non potranno essere che i buoni. E chi invece ha lavorato come per un film del cinema indipendente, scavando anche nelle storie minime, magari nel dolore e nella sofferenza, nella sporcizia e nella rabbia, senza censurare i morti, la morte e le sue ragioni.


Il Venerdì di Repubblica in edicola oggi racconta chi è Asne Seierstad, la stella della tv norvegese autrice del meraviglioso Il libraio di Kabul, di cui ho scritto su Letture e riletture. Trentadue anni, figlia di una leader femminista e di un militante socialista, Asne ha iniziato la carriera a 23 anni come corrispondente a Mosca. Ha vissuto in Francia, Messico, Cina, Germania. Parla cinque lingue ed è appena tornata da Baghdad. Vive senza radici e senza una sua famiglia perché, sostiene, "non ho ancora trovato pace in nessun posto".

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