Elaborazione grafica di Guido Nestola

3.10.10

La pecora nera, i matti da vedere


Il giudizio è influenzato dalla mia passione per Ascanio Celestini e per il fatto che circa sei anni fa ho assistito, da spettatore di un laboratorio al Dams di Bologna, di una parte del materiale che ha portato a La pecora nera, in teatro e poi al cinema. Il film mi è piaciuto per il tono poetico e per la delicatezza, per aver rappresentato il mondo dei matti in maniera tutt'altro che mortificante, preoccupante, umiliante, spaventosa, rivoltante. Non un capolavoro, ma sicuramente un film da vedere, molto di più, per esempio, di La Passione (di Carlo Mazzacurati) che ho visto subito dopo. Rappresenta bene i non luoghi italiani, quella terra di nessuno tra campagna e supermercati nella quale vivono in tanti e non solo i matti; la scelta di delegare a suore e infermieri stanchi e svogliati il rapporto con i pazienti (non appare un solo medico in tutto il film, se non il direttore dell'istituto, rigorosamente senza camice, in occasione di un tentativo di suicidio). Risponde con tenerezza finale alla domanda: a che servono i matti? Evita per una volta di farci sentire matti (siamo tutti matti, in fondo...), anche se ce lo fa capire con un paio di battute sottili.

E' comunque un film una tantum, nel senso che Celestini si è giocato un bonus per i prossimi tre anni, anche per conto di altri registi, soprattutto italiani, per un film del genere.

Bravissima Maya Sansa, indiscutibilmente la migliore (oltre al mitico Ascanio) del gruppo. Recita ormai con qualsiasi dialetto: qui in romanesco, in L'uomo che verrà in emiliano stretto; in ogni caso, sempre molto credibile.

Ne ha scritto: Il Fatto-Quotidiano.

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4.6.10

I Diavoli in libreria


Da lunedì è possibile acquistare il mio libro, I Diavoli di Zonderwater, in tutte le librerie. Anche quelle virtuali, naturalmente.

Lontani da casa, dagli affetti. Ma anche lontani dalla battaglia, dall'adrenalina del fronte. Erano soldati nel pieno della giovinezza, quelli che fra il 1941 e il 1947 si ritrovarono esiliati a Zonderwater, in Sudafrica. Un'intera generazione rinchiusa nel campo che ospitò il maggior numero di prigionieri di guerra italiani, quasi centomila su un totale di oltre seicentomila: una prigione a cielo aperto, talmente remota da aver lasciato poche tracce persino nei libri di storia. In un paesaggio lunare, arido e bersagliato dai fulmini, gli italiani dovettero inventarsi un modo per sopravvivere alla fame, alle malattie, alla noia, alla nostalgia del proprio Paese (e alla mancanza di donne). Li aveva accolti un altipiano brullo disseminato di tende: alla loro partenza, sei anni più tardi, lasciarono una vera città, con edifici in muratura, due ospedali, trenta chilometri di strade, quindici scuole, ventidue teatri, un monumento. Fu un capo illuminato, il colonnello Hendrik Fredrik Prinsloo, a capire che a quei giovani uomini doveva prima di tutto restituire una vita normale. Così scelse lo sport come alleato: promosse gare di scherma, atletica, ginnastica, oltre a un campionato di calcio vissuto con tale passione da trasformare in divi i più bravi fra i prigionieri.

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20.4.10

Io Il Post e tu?


E' nato nottetempo, pulito, essenziale, classico nel suo essere moderno. Il Post può essere una grande novità, da seguire assolutamente e da sostenere ogni giorno. Da grande, potrò dire con orgoglio: quella notte avrei potuto esserci anch'io, ma sono contento lo stesso, soprattutto per Luca. Buon lavoro.

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19.3.10

Mine leccesi

All'inizio stenta a decollare, ma appena il film prende quota, la mano di Ozpetek rassicura, rendendo credibili certe sottolineature grottesche e accettabile l'improbabile illuminazione del gay Scamarcio sulla strada dell'innamorata Grimaudo. Mine vaganti è un buon film, ben concepito e recitato a cui contribuisce la bellezza di Lecce e delle sue antiche case dei signori. Una mina pericolosa per i nostalgici, come me.

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9.3.10

Dagli Appennini alle Ande

Dalla newsletter di Identità Golose, di Paolo Marchi:
Un giorno Giorgio Gandola, allora al Giornale e oggi direttore della Provincia a Como, intervisto Nils Liedholm, il barone del calcio, svedese di nascita e prima parte di carriera calcistica, poi italianissimo per via del Milan (giocatore e allenatore) e Roma (solo allenatore) e della vita (e la morte) tra le colline e i vigneti di Cuccaro nel Monferrato. Ricordo ora una domanda e la relativa risposta: “Cosa vede all’orizzonte? Le Ande”.
Ecco, a volte bisogna anche sapere sognare.

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7.3.10

La forma e la sostanza

Prendete nota di questo editoriale di Giovanni De Mauro sull'ultimo numero di Internazionale che sottoscrivo in pieno:
Tecnicamente si può già parlare di dittatura. Forse non ce ne siamo ancora accorti perché siamo abituati ai colonnelli greci o alla giunta militare cilena. Ma quello che conta è la sostanza, non la forma. Oggi è inutile mandare i carri armati per prendere il controllo delle principali reti televisive, basta cambiare i direttori. Non serve far bombardare la sede del parlamento, è sufficiente impedire agli elettori di scegliere i parlamentari. Non c’è bisogno di annunciare la sospensione di giudici e tribunali, basta ignorarli. Non vale la pena di nazionalizzare le più importanti aziende del paese, basta una telefonata ai manager che siedono nei consigli d’amministrazione. E l’opposizione? E i sindacati? Davvero c’è chi pensa che questa opposizione e questi sindacati possano impensierire qualcuno? Gli unici davvero pericolosi sono i mafiosi e i criminali, ma con quelli ci si siede intorno a un tavolo e si trova un accordo. Poi si può lasciare in circolazione qualche giornale, autorizzare ogni tanto una manifestazione. Così nessuno si spaventa. E anche la forma è salva.

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Fuori dalle orecchie


Non so se riuscirò mai a finirlo. Mi esce dalle orecchie, dalle dita, dal naso. Ha invaso ogni attimo vuoto della mia vita, come se ne avessi in quantità. E soprattutto ha prosciugato la mia già povera riserva di parole: voglio scrivere vuoto e viene fuori cupo, mi piace desolato e scelgo indeterminato. No, non so proprio se riuscirò a finirlo. Sono alla seconda stesura del nono capitolo, su 14. E mi sembra di avere davanti a me due Ottomila che ci vorrebbe Messner. Quasi quasi chiamo il vecchio Reinhold e gli chiedo se mi dà uno sguardo al capitolo dieci. Magari qualcosa di meglio la trova.

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6.1.10

Se Google vuole sgranocchiare Apple

Piccola variante al concorso per il titolo dell'anno. Oggi è un'intera prima pagina a partecipare, quella di Liberation, con un enorme Nexus One che occupa più di due terzi, infilando nel display la testata del giornale e il titolo:
Google veut croquer Apple

Alla lettera, croquer vuol dire sgranocchiare. Dunque, sarebbe: Google vuole sgranocchiare l'Apple. Un bel modo per rappresentare il tentativo di erodere lentamente, di tirar via dei pezzi o forse delle briciole.

Cercando sul sito l'immagine della prima pagina, mi sono imbattuto su un titolo altrettanto efficace:
La petite boutique de Google(La piccola bottega di Google).

L'assonanza con la Piccola bottega degli orrori, un celebre film musicale, serve a raccontare che cosa sia il negozio online attraverso il quale Google venderà il suo telefonino. Niente male.

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