Elaborazione grafica di Guido Nestola

27.9.07

Bar a libri


Si chiama Classici del caffè. E' un bar a libri aperto il 3 settembre e in qualche modo ho deciso di eleggerlo a mia seconda casa (forse perché è giusto sotto quella principale...?). Mi piace la scelta dei titoli; mi piace la disposizione dei tavoli con la libreria in fondo, che non incombe bensì induce; mi piace la discrezione di chi la gestisce e ha avuto l'idea: un ex bancario e un'ex assicuratrice (o viceversa nei generi, ma importa zero); mi piace l'intenzione di farne un luogo di ritrovo e di pensam(i)ento, ad esempio tenendola aperta anche qualche domenica mattina per un corso; mi piace, un po' a sorpresa, il fatto che per freqeuentarne le serate si debba pagare una quota e la consumazione, perché non si può vivere di pagine; mi piace la gente che comincia a frequentarla per comprare i libri e non chiedere soltanto un'insalata. E mi piace l'idea che mi frulla da un po' di andare a chiedere se hanno voglia di ospitare, gratis ma con l'obbligo di bere con noi un bicchiere di vino, le chiacchiere di cultura e di sport di QuasiRete con em bycicleta, che vorrei trasformare in un appuntamento fisso almeno una volta al mese.

L'indirizzo? I classici del caffé, via Foppa 4. E' già pronto il primo calendario di appuntamenti. Fitto e abbastanza interessante.

| Home | scrivi a Carlo Annese


19.9.07

Il New York Times gratis. Intervista a Sabadin


Da qualche minuto il New York Times si può leggere quasi interamente senza pagare un dollaro. L'editore ha deciso di rendere gratuita la sezione Times Select attraverso la quale, per 7,95 dollari al mese o 49,95 all'anno, si potevano leggere i commenti degli editorialisti e consultare gli archivi del quotidiano (che ha circa 13 milioni di utenti unici al mese). I 227mila abbonamenti a quel servizio, su un totale di oltre 750mila, hanno generato 10 milioni di dollari in un anno. "Ma le previsioni per il futuro erano inferiori ai ricavi previsti dalla vendita di pubblicità online", ha ammesso il general manager del NY Times online. Insomma, si guadagna di meno dalla vendita dei contenuti piuttosto che dall'apertura del sito con il sostegno della pubblicità.

Ho rivolto a Vittorio Sabadin, vicedirettore della Stampa e autore di L'ultima copia del New York Times (Donzelli) alcune domande.

Come giudica questa decisione?
Annunciata e inevitabile. L'editore Sulzberger l'aveva in qualche modo anticipata e proprio lui aveva detto tempo fa che non si sarebbe stupito se nel 2043 si dovesse vendere l'ultima copia del New York Times su carta, soppiantato dall'informazione online. E' evidente che il meccanismo di far pagare i contenuti non funzione: oggi anche testate con contenuti molto specifici, come il Wall Street Journal e il Financial Times, stanno riflettendo sull'opportunità di far accedere gratuitamente i propri utenti. E' la dimostrazione della forza incredibile di Internet.

Il general manager del NY Times online ha ammesso che il vero problema è stato quelli di aver sottovalutato l'esplosione di accessi al sito dai motori di ricerca. In pratica, alle pagine interne del sito arrivano sempre più lettori attraverso Yahoo o Google che non dall'home page del Times: questo toglie grandi numeri che invece si potrebbero offrire a potenziali investitori pubblicitari.
Con la decisione di rendere gratuita la consultazione, il NY Times sta cercando proprio di recuperare terreno da questa concorrenza, che è molto forte. Una statistica recente indica che Yahoo e Google sono i siti preferiti dagli americani che si informano online, dunque più di media tradizionali come lo stesso Times o la Cnn. Di fatto, i motori di ricerca succhiano i contenuti dai media tradizionali e li mettono a disposizione attraverso una determinata catalogazione. Proprio il NY Times, qualche settimana fa, ha offerto ai propri utenti la possibilità di creare un profilo personale, indicando i gusti e le categorie di informazioni a cui sono interessati; in cambio, il Times si impegna a selezionare le notizie, ad aggiornarle e a commentarle continuamente.

Dunque, lo scenario che lei prospettava nel titolo del suo libro potrebbe non essere più soltanto un'ipotesa fantasiosa o catastrofica.
Credo che i grandi giornali si stiano muovendo in ritardo, in modo particolare rispetto alla concorrenza dei motori di ricerca o di siti come Drudge Report, che organizzano i contenuti. In Italia questo ritardo è ancora più evidente. Prendete Dagospia, per esempio. Che cosa fa? Produce una quantità di propria informazione, ma il grosso lo prende dai media tradizionali, selezionando il meglio e citando la fonte.

Etichette: ,


| Home | scrivi a Carlo Annese

Cronaca vera

Sembra che un buon numero di giornalisti del Tg4 sia andato in viaggio in Terra Santa e abbia prodotto un documentario amatoriale. Che, vista l'assenza del direttore, ha deciso di intitolare "Viaggio in Terra Santa senza Fede"!

Etichette:


| Home | scrivi a Carlo Annese


12.9.07

Forme di poesia

Ho già raccontato parte di questa storia, ma ricomincio ugualmente dall'inizio. Ho conosciuto Michele Marziani attraverso il web: giornalista, gourmet, dotato di una sensibilità molto particolare. Ci siamo scambiati qualche mail, come accadeva tra i blogger della prima ora, e perfino le bozze di un romanzo che lui avrebbe voluto pubblicare. Ho letto tardi, ma ho letto. E le sensazioni iniziali sono state confermate: in quel romanzo, ambientato a centinaia di chilometri dai miei luoghi giovanili, ho ritrovato tante mie cose (passioni, abitudini, forme di un'educazione antica, eccetera), un sorprendente idem sentire, come direbbe qualcuno che conosco.

Avrei voluto incontrarlo, anche perché Michele viveva anche a Milano, ma non mi è mai riuscito. Sono rimasto comunque in contatto, leggendo il suo blog nel quale ci sono ricette, incontri, suggestioni e poi l'evoluzione di quel romanzo e di altre idee molto interessanti. Qualche settimana fa, facendo parte nella sua mailing list "umana e professionale", ho ricevuto una comunicazione: ho lavorato al sito internet dell'azienda vinicola di Paolo Scavino, mi ha scritto. Proprio quel giorno avevo trovato una notizia sul vino che avrei voluto far commentare a qualche uomo di vino. L'ho proposto a Michele, perché sentisse per me Scavino, ma ho ricevuto un rifiuto garbato, ma argomentato in un modo che mi ha quasi infastidito: mi ha parlato di poesia, di persone, di una dimensione altra da quella nella quale gli chiedevo di tornare (quella dei quotidiani superficiali e tritatutto), banale e non più accettabile, anche a costo di qualche rinuncia.

Aveva ragione, probabilmente, ma non è facile riconoscerlo. Qualche giorno fa, ancora Michele mi ha aiutato a farlo, forse in maniera definitiva. Con una nuova mail circolare, mi ha fatto sapere che accompagnerà Michel Butor ("scrittore importante e inquietante, sovvertitore di schemi letterari, esponente negli anni Cinquanta del Nouveau Roman francese che spingeva all’estremo l’indagine descrittiva intorno agli oggetti e alle cose dell’animo"), autore di La modificazione, ripubblicato un anno fa da Fandango, in un viaggio in Italia tra i sapori della nostra terra e i pensieri di una cultura comune. Si comincia oggi a Milano, dal ristorante di Nicola Cavallaro. Mi è stato sufficiente dare uno sguardo al sito e al blog di quest'ultimo per capire l'importanza di certi incontri, la poesie, le persone appunto. E per trasformare il fastidio di qualche settimana fa in invidia e totale sostegno al coraggio e alla curiosità di Michele.

Etichette: ,


| Home | scrivi a Carlo Annese


10.9.07

Togliete quella polvere

Eravamo in quattromila, ieri sera, al PalaSharp. Tanti, un'enormità, per un concerto della Filarmonica della Scala in un vecchio scatolone adibito a palasport. Ma se dovessi prevedere quanti di quei quattromila torneranno ad ascoltare musica classica - a prezzi più alti, in una sala "dedicata" e in una situazione dunque più formale di quella - eliminerei diverse centinaia di persone. Il programma, per quanto possa essere popolare la sinfonia numero 3 e imponente la numero 5 Eroica, è risultato un macigno per molti, anche per chi come me è un appassionato abituato a maratone di suoni durissime. Malgrado il suono perfetto e uniforme dell'orchestra, reso comunque un po' cavernoso dall'amplificazione necessaria per l'ambiente, i momenti di leggerezza, di freschezza nella lettura del direttore Fabrizio Gatti sono stati rarissimi. Beethoven è apparso un antico monumento polveroso, ingombrante, pesante, al pari della forma tradizionale del concerto, da camera o sinfonico che sia, ormai superata e asfittica ma che non si riesce certo a rigenerare in questo modo.

Se si va in un palasport, generalmente lo si fa per rendere popolare la musica, per promuoverla, per avvicinare chi la considera un mattone dimostrando il contrario. Domenica sera, per quei quattromila come me, il risultato è stato l'opposto.


| Home | scrivi a Carlo Annese


6.9.07

Addio, Luciano


di Claudia Provvedini

All’alba non ha vinto, come cantava la sua voce nel pezzo d’opera che tutto il mondo ormai ha legato al suo nome. O forse sì. Solo lui, Luciano Pavarotti, sa le vie privatissime della mente e del cuore negli ultimi momenti di una vita. Una vita da grande lottatore, certo, la sua, e a lungo, almeno trent’anni, di trionfi senza confini. E una battaglia dura è stata, la più dura forse, quella contro il male dentro - il tumore al pancreas manifestatosi alla fine del 2005 - che lo ha divorato, nonostante le operazioni nelle cliniche di New York, nonostante le mani fidate degli specialisti, amici, dell’ospedale di Modena.

Con i chilometrici foulard attorno al collo Pavarotti pareva a volte un boxeur, un peso massimo negli intervalli sul ring, prima di riprendere il match non certo con quel dono divino della voce che era natura, ma con la sua ingombrante fisicità, natura anche quella, coltivata non dagli esercizi dell’ugola e del solfeggio, ma della buona, ottima tavola emiliana, delle sue origini mai messe tra parentesi, come tanti. Anzi ribadite ogni volta che parlava, il fruscio della «s», le vocali aperte, che si spalancavano però nelle romanze, nei do di petto, che lo hanno incoronato erede del tenore italiano per antonomasia, Enrico Caruso. Ma da mezzo secolo era il suo, di nome, quello di Pavarotti, ad essere usato per dire potenza di voce.

Era stato il padre il suo primo maestro. Cantava nel coro di Modena, sapeva a memoria libretti e spartiti, ma non aveva studiato. Per questo, fece studiare il figlio. «Assieme alla Mirella (la Freni, ndr) prendevamo il treno, abbiamo fatto la strada insieme». E con lei cantò Bohème a Torino negli anni Novanta, due splendide voci, lui forse un po’ meno phisique du role nel personaggio di Rodolfo, ma l’aria di Parigi e della giovinezza arrivava in platea, eccome.

Nei più grandi teatri del mondo, dal Covent Garden al Metropolitan, ha cantato Big Luciano. Un evento per tanti anni, il delirio del pubblico che lo ha atteso non solo in centinaia di migliaia sul prato di Central Park nel ’93 ma anche nei più recenti, dolorosi forfait.

Ma si poteva dare ancora molto alla musica, magari all’ambizione, alle passioni: per le donne, il lusso per sè e le persone care intorno; e per i cavalli. E queste passioni si sono unite a un certo punto, quando nella mitica scuderia del suo Club Europa alle porte di Modena, ha incontrato una timida ragazza, Nicoletta Mantovani, organizzatrice assieme al padre degli eventi pavarottiani, sportivi e artistici, come il travolgente meeting di star planetarie del «Pavarotti & Friends», allo stadio modenese. Da Liza Minnelli a Eric Clapton, da Bono a Sheryl Crow a Zucchero... Luciano faceva duetti con loro, con Liza tutto improvvisato, perchè non si poteva fare altro, ma la pioggia delle loro voci era un tonico, un elisir.

Poi, quella ragazza timida, quasi la metà di anni di lui, sessanta contro meno di trenta, Luciano l’ha sposata, con strascichi di dolore e di grane come in America succede facile, ma in Italia no, quando c’è una famiglia, una moglie come Adua Veroni a fianco da tanto tempo, che gli ha dato tre figlie, e si deve divorziare, e si è una star. Ma Pavarotti fece quel che voleva il suo cuore, ancora così giovane e un po’ bohèmien.

E dall’amore incondizionato per le creature da proteggere - visto che si hanno le spalle e il petto largo - e per i bambini soprattutto, sono nate non solo le tante iniziative benefiche - ospedali, scuole, donazioni - nei Paesi martoriati dalle guerre, ma un’altra figlia, la piccola Alice (avrebbe avuto anche un fratellino, ma lui non ce l’ha fatta a vivere) che ora ha quattro anni e mezzo, bimba amatissima alla quale il tenore aveva dedicato nell’ultimo album di canzoni l’allegra fischiettante «Io ti adoro». Non aveva paura di morire, Big Luciano, «mi ritroverò con mio padre e mia madre», diceva con serenità quando evidentemente sentiva più vicina l’ora. Non aveva paura della morte perchè la sua vita l’ha vissuta tutta, appassionatamente, fino all’ultimo. Come una romanza d’amore.

Etichette: , ,


| Home | scrivi a Carlo Annese


4.9.07

Nel laboratorio di Bob Wilson / 3


di Claudia Provvedini
terza puntata

Che tipo è Bob Wilson? Americano innamorato dell’Europa come il suo connazionale Henry James, stupefatto e stupefacente disegnatore (con la mano sinistra) di ambienti e oggetti - ci racconta - , rivoluzionario del teatro dai primi anni Settanta con quel memorabile, transreale che per il ritmo di movimenti in scena forse più lento di quel che è nella vita ricreava il concetto stesso di spazio teatrale. , dice con aria ieratica, quasi biblica. E se all’amico Giorgio Armani ha dedicato una mostra per festeggiarne i 40 anni di carriera, lui è vicino ai 50, mezzo secolo di costruzioni tracciate dalla luce che si fa colore e forma, si tratti del Woyzeck di Buchner o del poema indonesiano I La Galigo, dell’Amleto one man show o del recentissimo In the Blick of the Eye con i dervisci. E così sarà dell’imminente Opera da tre soldi al Berliner o dell’evento nella Piazza Rossa di Mosca. Un equilibrio che si legge e governa la superficie, la visione ma è trovato nel cuore della forma stessa.

3. fine

Link: la prima puntata
la seconda puntata


| Home | scrivi a Carlo Annese


30.8.07

Nel laboratorio di Bob Wilson / 2


di Claudia Provvedini

seconda puntata

Ancora sulla festa (la fauna) e sul Centro (la flora). Watermill (Il Mulino, in effetti ce n’era uno) è negli Hamptons, i quartieri dei miliardari a Long Island, due ore di pullman da Manhattan. Non è chic come East Hampton o Southampton, non è traditional come Sag Harbor, ma per Wilson, il texano più amato dagli europei, meno dagli americani, era comunque una scommessa allettante riuscire a fare lì il suo "regno": una residenza per giovani artisti di tutto il mondo, uno spazio per la sua grande collezione di sculture e sedie, un laboratorio di spettacoli da ideare e rappresentare anche per quel pubblico.

Quindici anni fa, sgombrato il suo quartier generale a Soho, il regista comincia a trasformare un gigantesco cubo di cemento ex Western Union nel cuore di un edificio che allunga due bracci a est e ovest, mentre a nord e sud si apre in un bosco e in un digradare di terrazze-giardino. Ai piedi di queste, inizia la scalinata su cui sono saliti personaggi della cultura e del business newyorchese, abbigliati con piume di struzzo gialle o mantelli maculati secondo il tema del benefit 2007: wild chic ispirato a una recente mostra di video ritratti di animali realizzati da Wilson stesso che dice: la mia grande passione è proteggere gli animali più cari.

2. continua


Link: La prima puntata

| Home | scrivi a Carlo Annese


28.8.07

Nel laboratorio di Bob Wilson / 1

Claudia Provvedini, inviato del Corriere della sera, ha assistito al seminario annuale di Bob Wilson, grande mago del teatro, negli Hamptons. Un happening, un'esperienza mistica, una rivelazione? Claudia, mia cara amica e sodale in tante idee... mai realizzate, lo racconta qui, in tre puntate.


di Claudia Provvedini
prima puntata

28 luglio 2007. Il Byrd Hoffmann Watermill Foundation ha tenuto un grandioso benefit a favore del Watermill Center. Mille ospiti, due milioni di dollari raccolti. Si leggeva così sul New York Times Sunday del 12 agosto. Ma che cos’è il Watermill Center e perchè il NYT se ne occupa? Lo spiego subito: ero tra gli ospiti di quella festa di beneficenza organizzata dalla Fondazione Watermill a favore dell’omonimo Centro. Questa istituzione è la creatura quindicenne di Robert Wilson, il più trasversale dei registi del secondo Novecento.

Architetto, design, regista, scenografo, i suoi spettacoli sono sempre stati il risultato di tutte queste correnti creative. Ne parlo più avanti, intanto anticipo che il Centro per cui Wilson organizza la benefica festa è una residenza per artisti e lo spazio dove lui stesso prepara eventi mondiali. Un esempio: è qui che è nato il suo recente Quartett da Müller e De Laclos con Isabelle Huppert. Mille gli ospiti, duemila i presenti. Ad accoglierli, sull’altalena a 20 metri d’altezza sotto l’immenso tendone bianco, una diafana e sparkling Dita von Teese, regina mondiale del burlesque, in reggicalze e boustier color carne. Fuori, nel bosco, spettacoli e aste di quadri e fotografie d’autore.

1. continua

Etichette: , ,


| Home | scrivi a Carlo Annese


23.8.07

Suoni di montagna



Mucche sullo sfondo, musica "leggera" (nel senso di per tutti) e uno squarcio di sole pomeridiano. Il concerto del Gomalan Brass Quintet alla Malga Caret, nella val di Genova (Parco Adamello Brenta), per i Suoni delle Dolomiti non è stato affatto male.

Buona la scelta di cominciare con West Side Story e dare comunque un ascolto qualificato di Gershwin, prima di una serie di pezzi brevi e di facile ascolto (Tenco, Moricone, un Oblivion di Piazzolla con qualche fortissimo di troppo). Meno interessante quella di insistere sui musicisti-comici nelle presentazioni dei brani: va bene sdrammatizzare, ma dopo si rischia di eccedere. Emozionante la risonanza delle montagne nella Marcia trionfale dell'Aida, eseguita finalmente con gli ottoni quasi tutti rivolti verso il granito monumentale, in mezzo al pubblico, alle cui spalle un bosco spegneva un po' il suono.

Sopra e nella colonna di destra, le foto del concerto. Qui, invece, il set fotografico di Franpiedifreddi sull'Alba con Ascanio Celestini al Rifugio Segantini sulla Presanella.

Etichette: , ,


| Home | scrivi a Carlo Annese


6.8.07

Annibale condiviso

Con grande piacere, considerata la fonte, scopro che la mia passione per Paolo Rumiz e i suoi viaggi estivi è condivisa da Antonio Sofi e altri ancora. Sto ritagliando le pagine giorno per giorno, per rileggerle da mercoledì, quando finalmente sarò in ferie. Intanto, qualche giorno fa ho declamare il pezzo introduttivo pubblicato due domeniche fa a un'astante. Esagero?

Etichette: , ,


| Home | scrivi a Carlo Annese


30.7.07

Il blog? E' una terapia

Un mese e mezzo fa, intorno a quest'ora, stavo pensando di scrivere su questo blog un post simile a quello nel quale Stefano Bonilli dava dei mentecatti a lavoratori e dirigenti delle Ferrovie. Ero in attesa da quasi tre quarti d'ora in Foro Buonaparte a Milano (pieno centro, dunque) di un autobus che sarebbe già dovuto passare almeno due volte, stando al'orario affisso sul palo della fermata, e invece non era neanche alle viste. Insomma, stavo per trovare una risposta indiretta alla domanda che Marco Lupi si pone in termini più ampi e dotti a proposito della qualità e dell'utilità (economica) dei blog: Fuoridalcoro poteva essere il mio sportello reclami personale.

Poi, però, ho pensato che:
1. la mia protesta non sarebbe mai arrivata ai dirigenti dell'Atm, se non per puro caso
2. scrivendola, sarei finito tra i fuffa-blog autoreferenziali che io per primo contesto
3. non avrei risolto certo con il blog i miei problemi di trasporto in città.

Così, mi sono incamminato verso casa, rinunciando ad aspettare. E rinunciando a scrivere. La mattina dopo ho vinto le resistenze ancestrali e ho comprato, praticamente in apnea, uno scooter di seconda mano che ha dato una svolta a una parte considerevole della mia vita quotidiana. Ora, se a Milano vedete sfrecciare un missile di color nero, con un tipo tutto nero (casco e perfino guanti...) in sella, non preoccupatevi: sono io a cavallo di Ruggine, lanciato verso il futuro.

Etichette: , ,


| Home | scrivi a Carlo Annese


27.7.07

Il mondo di Monda. In America

Foto in bianconero lievemente tirata seppia. Posa compresa, in interno metropolitano e copridivano a scacconi newyorkesi. E un lungo pezzo a firma di Rachel Donadio nell'inserto dei libri del New York Times (a pagamento). E' la celebrazione di Antonio Monda, firma della Repubblica, come simbolo dell'intellettuale italiano oltreoceano:
New York University film professor and salonnier extraordinaire, (...) arguably the most well-connected New York cultural figure you’ve never heard of.

| Home | scrivi a Carlo Annese

Al Bryant Park

Settimo giorno consecutivo di 13 ore di lavoro medio. Vorrei essere qui: stasera, all'Upper Terrace, è prevista Sugarland, la serie dei concerti di Good Morning America. Oppure qui, magari domenica, per sentire Anne Sofie von Otter

Etichette: ,


| Home | scrivi a Carlo Annese


20.7.07

Essere lì, tra Sciascia e i falsari


Altre due o tre cose che val la pena di sentire e di leggere.
Una è già stata proposta da Luca Sofri sulla Gazzetta: il nuovo disco di Cesare Picco, Light line. Non aggiungo molto, non perchè lo abbia già fatto lui quanto per pregressi interessi privati in atti d'ufficio che potrebbero incidere gravemente sul giudizio: un anno fa ho ascoltato a Brescia la prima assoluta di Bach to me, una rilettura moderna ma molto rispettosa del Concerto Brandeburghese n. 5 con una giovane orchestra berlinese, e mi sembrò una delle cose più nuove e originali degli ultimi anni, malgrado qualche autocelebrazione pianistica di troppo. Riprendo solo un'affermazione che Picco fa in un'intervista su Wuz:


Il mio approccio musicale tende verso l'essenza: preferisco togliere piuttosto che aggiungere. Di conseguenza, la ricerca della pulizia mentale va di pari passo con la pulizia del suono.

E allora, a proposito di sottrazioni, Being there del Tord Gustavsen Trio è insuperabile anche da parte del nostro Cesare: nitore assoluto del suono e della forma; una impostazione jazz molto rigorosa a cui non si rinuncia mai e che non rinuncia alla melodia. Quasi un esercizio Zen, con atmosfere cupe ma mai sinistre. Draw wear è un capolavoro di questa sintesi.




Il falsario di Caltagirone
di Maria Attanasio. Sellerio editore


Piccola deliziosa e documentatissima ricostruzione di una vita vissuta davvero e, mi dice il catanese "Arci", mitizzata in molte zone della Sicilia. Quella di Paolo Ciulla, socialista a cavallo tra Ottocento e Novecento, artista di talento straordinario ma provinciale, falsario, perseguitato per matterìa, melanconico e "maledettamente" gay, compiuto con uno stile che, come molti altri prima di me hanno sottolineato, ricorda quasi sempre quello di Leonardo Sciascia. Un personaggio avvolto "in una nube d'ossidiana interiore" che lo rende gradevole malgrado il carattere torvo e silenzioso. Una lettura leggera, rapida e per questo molto piacevole.

Etichette: ,


| Home | scrivi a Carlo Annese


17.7.07

Dodici giri di vento

Un paio di cose viste e sentite di cui vale la pena di parlare.

I dodici violoncellisti dei Berliner Philarmoniker
Ascoltati in concerto a Ferrara, in piazza san Francesco. Foto accanto, la mia prima su Flickr (era anche ora!)

Una meravigliosa macchina da guerra. Suono strepitoso (con una sola sbavatura: troppa testa alla ricerca della perfezione e poca pancia nella Milonga del Angel, subito prima però di una Muerte da strapparsi le vene per la commozione), intesa assoluta, ma soprattutto un programma da concerto mirabile: farebbe rivoltare i puristi e invece, tra Piazzolla Bach e Morricone passando per Shostakovic Jorge Ben e Gershwin, è uno dei più riusciti spot promozionali per la musica classica, in senso ampio.
Dei tre sostituti dell'ensemble originario, due (Solène Kermarrec e Stephan Koncz) avevano meno di 25 anni. Il talento, ad altissimo livello, non ha età. Ciò che in Italia dimentichiamo spesso.


Il vento fa il suo giro
Film di Giorgio Diritti, al cinema Mexico di Milano in esclusiva

Vento, aria, ossigeno. C'è ancora chi sa fare ottimo cinema con attori non professionisti, raccontando storie che servono a capire persone, luoghi e tradizioni. Quelli occitani, ad esempio, che ancora sopravvivono in piccole dosi nelle valli piemontesi del Monviso, chiusi e diffidenti. Un pastore francese, ex insegnante, decide di installare lì la sua attività di formaggiaio di qualità, ma viene via via respinto e cacciato via da chi non coglie il nuovo e le opportunità che questo porta con sé. "La cultura è confronto" dice il protagonista principale, che a sua volta pretende d'imporre a una comunità intera regole anarchiche di una vita agricola d'altri tempi; per gli abitanti del piccolo villaggio di Chersogno, invece, la cultura è solo difesa strenua del proprio campo, reale e figurato, che si spaccia per identità.
Naturalmente, essendo un film di qualità, non trova distributori e, al pari di Come l'ombra,si diffonde grazie al passaparola.

Etichette: ,


| Home | scrivi a Carlo Annese


24.6.07

Com'è vuota Milano d'estate

Andare a vedere un film alle tre del pomeriggio è molto istruttivo. Ascolti gli anziani russare o, di fronte a una pellicola che nei primi 10 minuti non ha dialoghi, commentare acidi: "Questi sono i film che piacciono a me!" Li senti agitarsi nell'oscurità, avvelenati con l'amica che ha consigliato questa cosa che proprio non capiscono. E, finita la proiezione, li senti commentare con la bocca impastata che non gli è piaciuto. Una signora non meno che ottantenne, per esempio, uscendo da Come l'ombra ha detto a un'altra, con un tono di disprezzo: "Mah, io non so perché vogliono fare tanto gli intellettuali".

Aveva ragione, ma per me quella frase ha un significato opposto. Come l'ombra è un bel film da intellettuali, nel senso che è stato pensato costruito e girato con la testa per gente che ha voglia di vedere con la testa. E' un documentario in forma di fiction su quel che c'è, invisibile, dietro l'esteriorità luccicante di Milano: la solitudine dei singoli, la ripetitività che li spersonalizza, il vuoto dei sentimenti, l'attesa di un contatto umano.

una foto di Basilico, tratta da GatesE' un film architettonico: il deserto delle strade milanesi d'estate, che la regista Marina Spada inquadra animando le fotografie di Gabriele Basilico aggiungendo il sordo rumore di fondo di una strada trafficata, rappresenta il deserto della socialità, così come l'appartamento al pianterreno con vista sul tram e sfondo d'Esselunga in cui abita la protagonista, una trentenne single che lavora in un'agenzia di viaggi e ha lasciato la famiglia nell'hinterland settentrionale di Affori con tanto di antico passaggio a livello.
E' un piccolo saggio di cinematografia minimalista: poche inquadrature; molti piani sequenza altrettanto "architettonici", con finestre porte e architravi che diventano quasi più significativi dei personaggi reali, i quali a loro volta entrano ed escono senza troppe rigidità; e poche misurate citazioni (Wenders, un po' di provincia chimica tedesca, ecc.).
E' un reportage di cronaca sul mercato degli ucraini a Milano e sul sottobosco di quei cittadini di serie D che sono gli immigrati irregolari.
Ma è anche una storia sui rapporti umani: le debolezze, le furbizie, il passato da nascondere e il presente che non si sa, la necessità di avere in qualunque modo qualcuno accanto a cui voler bene, l'amore che non arriva.

Per fortuna, ogni tanto qualcuno vuol fare l'intellettuale. E ci riesce.


| Home | scrivi a Carlo Annese


23.6.07

Vorrei... ma non posso / 1

Tra poche ore partirò per una breve vacanza (meritata!) sull'ultima isola italiana che non conosco. Da giorni cerco di programmare i libri da mettere in valigia, dividendoli tra:
  • libri da leggere
  • titoli-coperte di Linus
  • libri di scorta, se i primi non fossero all'altezza delle aspettative

La selezione tiene conto di: stato d'animo, luogo nel quale andrò a riposarmi, spazi e occasioni di lettura che prevedo di trovare, variabile "incontri", probabili escursioni. Spiegato in questo modo, sembra il pensiero di un paranoico, invece applico solo su di me il metodo che avrei sempre desiderato seguire con altri, conoscenti e sconosciuti. Per anni, ho pensato di aprire una libreria, in realtà credo che la mia vera aspirazione sia quella di fare il sommelier di libri. Come gli assaggiatori di vini, vorrei sentire sapore, gusto e profumo di certi titoli e associarli ai lettori e ai loro momenti di vita.


Negli ultimi tempi, per esempio, ho consigliato e regalato spesso Mal di pietre di Milena Agus, del quale mi sono innamorato (ho chiesto alla casa editrice Nottetempo un contatto con l'autrice, approfittando del fatto che sia un'insegnante delle superiori, per due battute sugli esami di maturità, purtroppo senza successo: è troppo intervistata, specie dopo la selezione nelle cinquine dei premi Strega e Campiello; meglio più avanti. Peccato). La trama, la scrittura e il personaggio della protagonista sono l'ideale per chi - non solo donne - non sappia quanta creatività comporti l'amore, non riesca ad andare oltre le schermaglie iniziali e rinunci a scoprire che cosa c'è dopo, a fare appunto uno sforzo di fantasia, oltre che di responsabilità; oppure a chi crede di avere troppa fantasia nel sentimento amoroso e se ne senta frustrato, specie quando venga respinto dall'altra persona. Un libro perfetto per chi ha appena deciso di tirarsi indietro o per chi continua a sperare d'essere amato, anche a distanza, in un'attesa piena di sogni e di auspici che rischiano di diventare fantasmi.


| Home | scrivi a Carlo Annese


14.6.07

L'Italia fuorirotta è come una fiaba


C’è un’Italia laterale, lontana dalle autostrade, dalle rotte dei viaggi organizzati e dai gas di scarico. E proprio per questo splendida, piena di luoghi nascosti e di gente ospitale e genuina. Un’Italia che concilia il viaggiare lento su due ruote di uno dei primi maestri della nostra letteratura di transito. Emilio Rigatti fu compagno di Rumiz e Altan nella rotta verso Istanbul che anni fa creò il genere della narrazione a pedali: ora ricostruisce il percorso da Ruda a Gambarie, dal Friuli alla Calabria, lungo sentieri, strade di orti clandestini, fiumi che finiscono sepolti sotto grandi città. Incrocia fantasmi di briganti davanti a piatti di pasta al pomodoro, lupi aggressivi che mordono il figlio dodicenne al debutto in bici, viandanti e turisti sulle stesse strade polverose che nei secoli passati accolsero migliaia di viaggiatori da “Grand Tour”. Dovunque trova un bicchiere, spesso offerto per simpatia, e storie e racconti. “Agli altri i viaggi favolosi delle agenzie – scrive -. A noi la fiaba”. Bellissima.


Emilio Rigatti, Italia fuorirotta
Viaggio a Pedali attraverso la Penisola del tesoro
Ediciclo. Pagine 320. Euro 16.50


| Home | scrivi a Carlo Annese


11.6.07

Pellegrini contemporanei: penitenza o moda?

Cambiare scenario; abbandonare Londra l'Inghilterra e mettersi in viaggio attraverso l'Europa come un vagabondo o uno studioso errante!... D'un tratto non era più soltanto ovvio, ma era l'unica cosa da fare. Avrei viaggiato a piedi, dormito sui covoni d'estate, mi sarei riparato nei fienili quando pioveva e nevicava e avrei familiarizzato soltanto con i contadini e i viandanti. Se fossi riuscito a vivere di pane e formaggio e mele con cinquanta sterline l'anno come Lord Durham con qualche zero di meno, avrei conservato anche qualche spicciolo per carta e matite e un boccale di birra ogni tanto. Una nuova vita! Libertà! Qualcosa di cui scrivere!
Patrick Leigh Fermor

Il low cost? Superato. La nuova vacanza è a costo zero, se non quello delle proprie energie muscolari. Sempre di più si mettono in viaggio a piedi o in bici; dormono in abbazie, ostelli o stanze spartane; e coprono chilometri lungo antiche vie sacre, riscoperte con un vago senso di penitenza e anche un po’ per moda. Pellegrini contemporanei, attorno ai quali sta fiorendo un'industria dell'abbigliamento tecnico e una letteratura di viaggio di grande qualità. Da Patrick Leigh Fermor, che a 92 anni sta scrivendo a Kardamyli, nel Peloponneso, nella casa accanto alla quale volle farsi seppellire Bruce Chatwin, il terzo capitolo della sua vita da studioso errante (dopo A time of gifts, che Adelphi pubblicherà il prossimo anno, e Between the woods and the water), a Paolo Rumiz, i loro libri si riconoscono dalle mappe inserite nelle prime pagine: edizioni storiche da rigattieri oppure altimetrie scientifiche di straordinaria precisione con migliaia di appunti scritti in grafia minuscola accanto a ogni tappa: diari di viaggio, in cui la descrizione dei luoghi s’intreccia a quella delle persone. Ma proprio questi spazi e questi incontri hanno il potere di restituire valore e vigore alla parola scritta, al racconto.

Lungo le mille miglia da Canterbury a Roma – sulla via Francigena che Sigerico percorse nel X secolo per visitare Giovanni XV - Enrico Brizzi, ora 32enne, autore a vent’anni forse del primo romanzo generale (Jack Frusciante è uscito dal gruppo), ha trovato lo spunto per una fiction on the road, che diventa appassionante con lo sviluppo della storia dopo un avvio lento e malgrado la scelta di rivolgersi con il tu all'alter ego protagonista principale che rende un po' ostica la narrazione, parallela al resoconto del cammino, pubblicato un anno fa su L’Espresso in pieno Mondiale di calcio. Tra il Lago Lemano e il confine italiano, con tre compagni s’imbatte in un pellegrino tedesco controverso e inquietante, pieno di tatuaggi (le braccia d’inchiostro del titolo) e sentimenti contradditori, da cui cerca di fuggire con esiti spesso comici. Tra le nevi delle Alpi, i quattro partecipano loro malgrado a un fatto di sangue, che, come il viaggio, sconvolgerà le loro certezze e mostrerà una realtà diversa da quella a cui si crede per abitudine, se si resta fermi.



Enrico Brizzi, Il pellegrino dalle braccia d'inchiostro
Mondadori-Strade Blu
Pagine 316. Euro 15.50

Etichette: ,


| Home | scrivi a Carlo Annese

La cultura dei libri e della legalità

Gherardo Colombo, uno dei pm di Mani pulite, è stato da poco nominato vicepresidente della Garzanti. Spiega a Simonetta Fiori, su La Repubblica di sabato:
Vado a svolgere un lavoro in continuità con quel che ho fatto finora. Sono convinto che la giustizia sia prima una questione culturale, e che soltanto poi intervenga la sua amministrazione. Lo sostengo da tempo: ci vuole ben altro, rispetto alle sentenze dei giudici, perché dal sistema e dalla cultura dell'insofferenza alle regole si passi al sistema e alla cultura della legalità. Le sentenze possono aiutare, ma da sole non bastano. (...)

In fondo mi muove la stessa esigenza che mi trascina tra i ragazzi: il desiderio di dare un'informazione corretta e documentata sul mondo che mi è più vicino ossia quello delle regole. Intorno ad alcune nozioni fondamentali - giustizia, istituzioni, Stato, solidarierà, arbitrio, libertà - impera una superficialità assurda. Mi piacerebbe stimolare una riflessione profonda, non conforme al pensiero dominante.

Qual è il pensiero dominante?

E' il conformismo prodotto dalla semplificazione del pensiero. In questo Paese si pensa poco, si dimenticano pezzi del ragionamento. Tutta l'analisi dello sviluppo economico si gioca intorno ai numeri, che fanno dimenticare la precarietà del lavoro, gli omicidi bianchi, il disagio giovanile.

Etichette: , ,


| Home | scrivi a Carlo Annese


5.6.07

Il judo di Klein, disciplina dell'arte e della vita

“Ho sempre pensato che fosse molto meglio sfondare le porte piuttosto che perdere tempo a cercarne le chiavi e non riuscire, per mancanza di calma e sangue freddo, a trovare il buco della serratura”. Yves Klein, l’autore di questa frase, nella sua breve vita tra il 1928 e il 1962, ha sfondato molte porte nel mondo dell’arte, di cui è una figura mitica. Ha divelto quello della grande Avanguardia, a metà del Novecento, ha sperimentato ogni messo espressivo, compresi i corpi femminili, nudi e imbrattati, usati come pennelli su grandi tele, diventando infine celebre per il Salto nel vuoto (la celebre foto del pittore dello spazio che si lancia nello spazio), i quadri dipinti con un solo colore, e per un particolare blu, l’International Klein Blue, che brevettò. E’ stato così fino a quando, in un lungo soggiorno in Giappone, ha scoperto l’essenza della sua arte, e cioè della sua vita, attraverso il judo.

Klein era cintura nera 4° dan. Ma in Giappone è entrato in contatto con i fondamenti del Kodokan, i sei kata, le chiavi di quelle porte, definiti come “il colore dei pini, né antichi né moderni”, il cui spirito era poco compreso o alterato in Europa, a vantaggio del randori, la composizione o l’esercizio libero. Tornato in Francia, nel 1954 ha pubblicato un vero e proprio manuale, con un’infinità di immagini e di spiegazioni talmente minuziose da sembrare quasi maniacali. Quel libro è stato riscoperto da poco in Francia e pubblicato da Isbn come una rarità, non solo per appassionati di arti marziali.

Per Klein, il judo è disciplina mentale e spirituale, è rigore assoluto dei movimenti, da far ripetere migliaia di volte ai suoi allievi dei corsi al Centro americano di Parigi. Quel rigore e quella disciplina sono alla base della sua pratica di artista. Il movimento ripetuto dei kata è la chiave per accedere all’arte assoluta della vita.


Yves Klein, I fondamenti del judo
Traduzione di Stefano Valenti
Isbn. Pagine 225. Euro 17


| Home | scrivi a Carlo Annese


4.6.07

La letteratura è morta. E le riviste letterarie?

Domanda di Silvia Grilli a Vendela Vida, moglie di Dave Eggers e condirettrice di The Believer: Non è anacronistico pubblicare una rivista lenta come la vostra, nell'epoca delle comunicazioni veloci e delle comunità online?
- Io stessa ottengo molte informazioni da Internet, ma mi piace tenere qualcosa di fisico tra le mani. The Believer è in un certo senso quello che era per me, quando ero piccola, il National Geographic che trovavo sugli scaffali dei miei genitori: qualcosa senza tempo.

SG - A chi può interessare un servizio sulla letteratura del Polo Nord, come quello pubblicato sull'ultimo numero di The Believer?
VV - Noi trentenni siamo così sopraffatti dalle notizie e da Internet, che abbiamo il desiderio di evadere in posti completamente differenti dall'ambiente urbano in cui molti di noi vivono.

SG - Eppure anche lo scrittore Philip Roth sostiene che la letteratura è morta, uccisa dal continuo saltellare dallo schermo della tv a quello del computer.
VV - Negli ultimi quindici anni ho sentito sempre dire che i libri erano morti. Ma continuo a vedere ragazzi sugli autobus, sulle metropolitane, sugli aerei, che vogliono stare soli con un libro.


| Home | scrivi a Carlo Annese


31.5.07

Gli splendidi soli non sono affatto male


Sono generalmente scettico di fronte a libri che hanno un successo troppo vasto e popolare. Così ho rinviato sempre la lettura del Cacciatore di aquiloni, pur avendo sentito amici e amiche parlarne con commozione. Fin quando, qualche settimana fa, ho dovuto prenderlo per prepararmi a un'intervista, poi purtroppo saltata per un malaugurato qui pro quo, con Khaled Hosseini in prossimità della pubblicazione del suo nuovo romanzo, Mille splendidi soli. L'ho bevuto rapidamente, con discreto piacere, nonostante qualche lentezza nella parte centrale, nella quale Amir, il protagonista che narra, prova a ricostruirsi una vita negli Stati Uniti.

Subito dopo ho ricevuto le bozze di Mille splendidi soli e l'effetto è stato ancora migliore. La storia, in fondo, non si discosta molto da quella del Cacciatore di aquiloni. Ha un taglio femminile, rispetto a quello esclusivamente maschile del debutto. Ma c'è sempre una figlia bastarda, un legame tra due persone che oscilla tra l'odio e l'amore, la morte, la sofferenza, il disprezzo di un certo potere per gli essere umani, ecc. Questa volta, però, la narrazione è molto più politica; l'Afghanistan, e Kabul in particolare, non rimane sullo sfondo, ma diventa una chiave fondamentale nello sviluppo della trama, poiché incide sulle vite dei protagonisti, ora non più in fuga. E lo stile è molto più secco, diretto, meno ampolloso della prima uscita. Credo che Hosseini abbia trovato la cifra perfetta per colpire al cuore: un linguaggio semplice, un ritmo sempre sostenuto, le piccole storie degli individui strettamente intrecciate alla grande Storia del mondo. Popolare, ma almeno di qualità.

| Home | scrivi a Carlo Annese


30.5.07

Com'è stato bello quel nostro carnevale


Per quanti, per puro caso, lo avessero perso nella mia casa più grande e istituzionale o magari su Sportweek di tre settimane fa.


A Geca, bella da commuovere

Che cosa non si fa per riconquistare un amore perduto. Si piange, si strepita, si mette in saldo la dignità, magari continuando a sbagliare. Rigoberto Aguyar Montiel ha attraversato il mondo e il '900 per inseguire l'icona del suo amore: la coppa Rimet, fusa a immagine e somiglianza di Consuelo, l'angelica andalusa che riempie i suoi sogni. Dopo Messico '70 e vari tentativi falliti, Rigoberto ruba finalmente la Diosa de la victoria, così fu ribattezzata dagli spagnoli, e il 31 dicembre 1999 racconta la propria vita a una giornalista, nel villaggio più a Sud del mondo. Qui Aguyar Montel depone la Coppa tra i ghiacci e fischia a lungo nel fischietto di un arbitro radiato: più che un finale di partita, la speranza d'un nuovo inizio.

Questa è la storia di E' finito il nostro carnevale, un libro bellissimo, che sembra scritto dal miglior Soriano, riconcilia con la lettura e fa emergere lo sport dai confini angusti del sottogenere. Ma il libro di Fabio Stassi, un 45enne che scrive ogni giorno in treno mentre raggiunge il suo posto di bibliotecario, è ben più di una trama avventurosa. Il suo Rigoberto, nero di sangue misto, nipote d'un garibaldino e figlio d'un rivoluzionario zapatista, racchiude il sogno eterno, la passione per le idee, l'opposizione a qualsiasi dittatura. Affronta la guerra civile spagnola e il nazifascismo, la repressione brasiliana e la rivoluzione di Cuba. Scrive su giornali dai nomi evocativi (La Esperanza Perdida) firmandosi Arthur Rimbaud. Conosce artisti, musicisti e poeti, e ogni incontro - da Hemingway a Django Reinhardt, da Chaplin a Vinicius de Moraes - sembra reale, inevitabile. E soprattutto scopre fenomeni e alleva campioni, quelli del grande Brasile, Pelé e Garrincha a cui dedica righe commoventi. Vive, scrive e lotta per evitare che "i registri del destino" siano "ordinari protocolli di occasioni mancate", proprio come i grandi amori perduti.

| Home | scrivi a Carlo Annese


29.5.07

Una panchina, per favore


Si definisce mobiquità. I suoi strumenti sono il pc portatile, il telefono cellulare che si trasforma in videofonino, l'iPod, la rete wi-fi (quando ci sarà e sarà per tutti). Il suo destino è quello di rendere inutile la carta, magari a cominciare da quella dei giornali: Maurizio Ferraris afferma che stiamo per diventare una generazione di sans papier. Ma tutto questo si sta sviluppando in città assolutamente inadeguate ad accoglierlo, almeno da noi, "ancora concepite - scrive Franco La Cecla - per una società che deve prima di tutto circolare velocemente a piedi o in macchina, mentre i cittadini che hanno voglia o bisogno di fermarsi devono farlo in luoghi di consumi appositi: bar, ristoranti, negozi.

Salvo rarissime eccezioni, non esiste nelle grandi città, Milano per prima, uno spazio pubblico in cui fermarsi a scrivere, leggere sms, comunicare con gente lontana, sfogliare videoquotidiani, cercare e ricevere informazioni. Siamo costretti a pascolare in strade senza panchine o a elemosinare sedie promiscue in locali nei quali un caffé è da bere maledettamente bollente e in fretta. Una generazione di sans papier, in piedi.


| Home | scrivi a Carlo Annese


28.5.07

Fuoridalcoro, al cinema




immagine da it.movies.yahoo.comCerco di essere fuori dal coro di nome e di fatto. E dico che Mio fratello è figlio unico è di una superficialità fastidiosa e il commosso gran parlare di Le vite degli altri mi ha fatto rivalutare gli ultimi barlumi di lucidità di Tullio Kezic.

Non c'è stato uno che non abbia detto quanto fosse bello Mio fratello è figlio unico. La critica di sinistra, poiché il film è figlio della scuderia di Moretti (che ora si ama sempre e comunque, lui che è stato tra i grandi in fila sul palco di Cannes); la critica di destra, perchè per la prima volta si affronta con indulgenza il neofascismo attraverso un personaggio, quello di Elio Germano, che ispira simpatia. Essendo nato nel 1964 in una piccola città del Sud, ho sempre pensato di essere stato sfigato, perché non ho vissuto nulla da dentro: nel '68 tiravo i capelli alla figlia della maestra d'asilo; nel '69 ho fatto l'esame per la "primina"; nel '77 tenevo una delle due copie del Male distribuite in città sotto il banco della scuola media e mia madre mi vietava di andare alle riunioni del Centro sociale perché "in quei posti non si va e basta". Così, da lontano, ho idealizzato quel periodo, le manifestazioni, il Movimento: mi sembrava tutto eroico, straordinario, di grande profondità intellettuale.

Se dovessi giudicarlo oggi, sulla base di questo film, direi che non ho capito niente, che non mi sono perso niente, che le assemblee si risolvevano in discussioni rumorose nelle quali nessuno sentiva l'altro e si finiva irrimediabilmente con i pugni alzati, che le manifestazioni erano un'accozzaglia di slogan imparati a tiritera, che quelli di sinistra erano degli snob un po' stronzi che prendevano il microfono per far colpo sulle ragazze e poi, per fuggire dalle responsabilità, si davano alla lotta armata. Quegli "anni formidabili" sono stati questa enorme banalità? Quei dibattiti era giusto che finissero, trent'anni dopo, in un copione pieno di battute facili e di personaggi che fanno ridere con tenerezza, come si fa con i parenti un po' picchiati, ma simpatici e carini? Mi ostino a pensarla diversamente.


immagine tratta da trailer.mymovies.itAllo stesso modo, non c'è stato uno che non abbia detto quanto fosse bello Le vite degli altri. La critica di sinistra, perchè la Stasi è stata la Stasi e noi il Muro l'avremmo sempre voluto abbattere, anche se poi quelli della Germania Est non è che ci stiano proprio simpatici, in fondo sempre tedeschi col calzino canettato bianco sono; la critica di destra, perché beh noi l'avevamo sempre detto che dietro il comunismo si nascondeva la dittatura moderna più sottile e avanzata.

L'unico a non pensarla così è stato Kezich, appunto: troppo spesso proprio questa critica militante dell'una e del'altra parte ha messo il contenuto davanti alla tecnica, il messaggio politico davanti al cinema. Se penso che questo film ha vinto l'Oscar per il miglior film straniero, facendo fuori Nuovomondo di Crialese, un po' mi incazzo. Per me, cinema è suggestione dell'immagine, che a volte ripete la realtà ma molto più spesso si deve creare; è costruzione di un pensiero attraverso inquadrature, tagli di luce, dialoghi. Nuovomondo era tutto questo, sicuramente molto di più di Le vite degli altri, che aveva peraltro dei buchi nella ricostruzione di un clima molto più plumbeo di quello nel quale la storia dei due amanti e del loro "orecchio elettronico" si svolge. Uno era un film, poetico, visionario, immaginifico; l'altro è un documento, elaborato con grande qualità, sensibilità e passione, sconvolgente per gli aspetti storici e umani che porta in evidenza, ma sempre un documento.


| Home | scrivi a Carlo Annese


27.5.07

Giovani nel Partito Democratico. Io sottoscrivo


Luca Sofri mi ha inserito nella sua mailing list per promuovere un appello, firmato da molti, perché il Partito Democratico consideri "saggi" anche uomini e donne al di sotto dei 40 anni. Io, di anni, andrò presto a farne 43, ma non mi considero né vecchio né border line rispetto a questa specificazione generazionale. Mi sento profondamente dentro quel 20-40 a cui Luca (e gli altri) si riferiscono, tanto più dopo aver letto e scritto dell'età giovanissima di alcuni ministri del nuovo governo Sarkhozy: al di là della trovata propagandistica o populista, un trentanovenne responsabile dell'Istruzione superiore è qualcosa di impensabile nel nostro Paese. Il senso di appartenenza deriva anche dalla sorpresa di non trovare, tra i nomi dei "saggi" che stanno provando a mettere insieme ciò che comunque appare incomprimibile prima ancora che se ne cominci a parlare, quello di Filippo Andreatta, che pure alcuni mesi fa mi sembrava tra i più attivi nel tracciare teoricamente la strada per la formazione del Partito Democratico. Ho conosciuto Filippo in una occasione e, al di là di ciò che scrive e pensa (che ho condiviso da subito), mi è sembrata una splendida persona: probabilmente continuerà a lavorare dietro le quinte, non so, ma se si fosse trovato il modo per farlo apparire sulla scena, sarebbe stato di sicuro un buon segnale.

Di seguito, l'appello che sottoscritto in toto e a cui alcuni giornali hanno già dato, per fortuna, un buon risalto.

Care persone del Comitato per il Partito Democratico,Ci risolviamo a scrivervi perché abbiamo letto nelle parole di alcuni di voi un disagio in cui ci siamo riconosciuti sui primi passi del Partito Democratico.Noi siamo italiani tra i venti e i quarant’anni, che investono molta speranza nelle possibilità di cambiare le cose della politica italiana, la cui “crisi” è ultimamente sottolineata anche da molti di voi che la frequentate da tempo. E il Partito Democratico ci sembra un’occasione unica per lavorare a questo cambiamento: persa questa, non ne capiterà un’altra molto presto. Per questa ragione, i modi della composizione del comitato di cui fate parte hanno un po’ gelato le nostre speranze, e ci sembra di capire che alcuni di voi condividano questo spaesamento. Senza voler sindacare sui singoli nomi e sulla loro rappresentatività nell’Italia del 2007, ci sembra però inevitabile la meraviglia per la totale assenza in questo comitato di persone che abbiano meno di quarant’anni, e per la presenza di sole quattro persone nate dopo gli anni Cinquanta. Accidente assai spiacevole, per un organismo che ha come priorità il rinnovamento e la sfida con il futuro. In Italia ci sono 28 milioni di persone che hanno meno di quarant’anni. Tra di voi, neanche una. Perciò, intuendo di poter trovare presso molti di voi la stessa volontà di superare questa distrazione e di dare un segno anche di capacità di emendamento rispetto a meccanismi che i cittadini finirebbero per leggere come retaggio di ciò che si dice di voler superare, vi offriamo una proposta. Aggiungiamo subito altri dieci nomi al Comitato per il Partito Democratico, scelti tra i molti che nella politica e nella società hanno già dimostrato capacità o sostegno popolare ampi e convincenti, e che siano per anagrafe e sensibilità rappresentativi anche dell’altra metà degli italiani: dieci sono pochi, ma è qualcosa. Fatto 45, si fa 55. Se doveste immaginare ragioni per trovare questo numero stonato, vi suggeriamo allora di valutare l’ipotesi che il ruolo da voi ricoperto nel Comitato non sia insostituibile, e che le persone del centrosinistra giudicherebbero molto positivamente quelli di voi che lo cedessero a una persona più giovane. Ma anche 55 è un bel numero: è un numero di Fibonacci, e un numero di Kaprekar. Comunque decidiate, quelli che seguono sono alcuni suggerimenti che – nelle differenze – ci pare possano corrispondere ai criteri di cui abbiamo detto:
Mario Adinolfi, giornalista
Sandra Savaglio, astronoma
Matteo Renzi, Presidente della Provincia di Firenze
Anna Maria Artoni, imprenditrice
Ivan Scalfarotto, dirigente d’azienda
Alessandro Mazzoli, Presidente della Provincia di Viterbo
Marta Meo, architetto
Giuseppe Civati, consigliere regionale della Lombardia
Carlo Fayer, consigliere comunale a Roma
Michela Tassistro, Istituto Nazionale di Fisica della Materia
Eleonora Santi, staff del Sindaco di Roma
Giovanni De Mauro, direttore di Internazionale
Pierluigi Diaco, giornalista
Marco Simoni, economista
Lorenza Bonaccorsi, Capo della Segretria del Ministero delle Comunicazioni
Gianni Cuperlo, deputato
p.s. no, non siamo solo persone tra i venti e i quarant’anni: escludere delle generazioni è una sciocchezza.

| Home | scrivi a Carlo Annese


27.2.07

Quarant'anni fa, oggi


L'edizione del Festival di Sanremo del 1967, quarant'anni fa dunque, si ricorda per il suicidio di Luigi Tenco. Vinsero allora Claudio Villa e Iva Zanicchi con "Non pensare a me".

Non pensare a me,
continua pure la tua strada
senza mai
pensare a me.

Tanto - cosa vuoi-
c'è stata solo
una parentesi
fra noi.

Forse piangerò,
ma in qualche modo, bene o male,
tu vedrai,
mi arrangerò

anche se mai più
sarò felice
come quando c'eri tu.

La vita continuerà
il mondo
non si fermerà.

Non pensare a me,
il sole non si spegnerà
con te.

| Home | scrivi a Carlo Annese


9.2.07

Le biblioteche ai tempi di Internet

Dice che nelle nuove pagine dell'attualità della Gazzetta dello Sport c'è troppo spazio dedicato a internet. E dice anche che io sia la causa principale.

Stamattina sono andato alla Biblioteca Braidense, per consultare un libro e prenderne un altro in prestito. Richiedo il primo compilando un modulo cartaceo e il secondo via intranet. Per sicurezza, frequentando una volta ogni due mesi circa la biblioteca, riempio la richiesta su carta anche per il secondo. Vado allo sportello della distribuzione dei libri, dove una signora, vedendo la doppia richiesta, mi fa un cazziatone vero e proprio. Ora, io ho 42 anni, la barba e parecchi capelli bianchi; non amo andare in banca perché riesco a incartarmi regolarmente con i moduli da compilare e firmare per versare i soldi, figurarsi se ho voglia di farmi trattare così per prendere un libro in prestito!
Per una volta, rinuncio alla mia vena polemica e aspetto che mi vengano consegnati i libri. La signora della distribuzione, però, mi sembra in gran vena. Torna con due volumi strappati, nessuno dei quali è quello che mi interessa per il prestito. "Non esiste il libro che cerca. Deve aver sbagliato qualcosa", mi dice dopo aver strappato sdegnosamente il modulo sbagliato. "Il libro esiste per due motivi - le spiego con olimpica serenità -. Il primo è che l'ho già preso, e restituito un mese e mezzo fa: ma questo, per lei, può non essere sufficiente. Il secondo è che la richiesta del prestito è automatica, io non ho digitato niente, ma ho solo pigiato il bottone Ok". La distributrice mi guarda con disprezzo. Intanto mi tende l'altro libro, da consultare, per il quale ho già compilato un'altra richiesta per poter fotocopiare alcune pagine. Mentre lei si inabissa di nuovo nell'area degli scaffali, mi rivolgo alla giovane commessa addetta alle fotocopie e le chiedo di riprodurre ciò che mi serve. Mi risponde: "Lei ha fatto richiesta di consultazione. Dunque deve andare in sala lettura e farsi autorizzare dai responsabili della sala lettura".
Le respiro in faccia, riprendo il libro che le avevo teso sotto il naso e torno a sedermi alla postazione intranet da dove ho fatto partire le richieste precedenti. Niente fotocopie, mi dico, copio a mano le poche cose che mi servono.
Nel frattempo, la distributrice (per chi si fosse messo in visione e all'ascolto solo adesso, ricordo che siamo alla Biblioteca Braidense, un tempo dello studio silente) mi urla dall'altra parte del salone: "Centonoveeeeeeeee". E' il mio numero di carta d'ingresso. Ce l'ha con me, ma io la ignoro. Preferisco finire di copiare a mano, poi tornerò ad affrontarla. Intanto sudo copiosamente a causa di un caldo irragionevole
Fatto. Torno al banco della distribuzione. Il libro, giusto quello che avevo già preso e restituito un mese e mezzo fa guarda caso, ha scavalcato un'ideale recinzione ed è nella zona dei Prestiti, presidiata da un signore distributore di prestiti che indossa un pile! Ha altro da fare, evidentemente, e non mi considera. Una collega, intenerita, mi chiede se possa aiutarmi. Le dico di sì: "Vorrei prendere quel libro". E' un tometto, abbastanza pesante alla vista. La signora è visibilmente scocciata, s'alza lentamente, a fatica. Prende il libro e con disgusto effettua le operazione necessarie. Mi chiede tutti i moduli che ho in mano: ne timbra uno, firma il secondo, scarta il terzo. Dopo cinque minuti, il libro è finalmente mio. E mi azzardo a chiedere: "Posso restituirle l'altro, che ho finito di consultare?" Apriti cielo.
La signora aspira pazienza da non so dove. Se potesse mi ucciderebbe sul posto per aver commesso un così grave delitto di lesa maestà. Ma è clemente e mi spiega: "Deve tornare in sala lettura (dando per scontato che io ci sia stato, illusa!) e chiedere a loro l'autorizzazione per farlo". Cioé, per lasciare un libro che non voglio più, devo chiedere l'autorizzazione! Rinuncio a discutere e prendo la strada dell'uscita con i miei trofei. Davanti ai miei occhi si profila finalmente la porta della Sala consultazione. La spingo in avanti ed entro. Spiego a una gentilissima signora occhialuta che devo restituire il libro che non ho neanche formalmente consultato (ricordate?, ne ho trascritto a mano alcune righe) e lei mi ferma subito. Perché? Perché forse voi non avete fatto caso, presi dal vortice della narrazione, ma io sono appena entrato nella Sala consultazione e invece sarei dovuto andare nella Sala lettura. Ma dico, come si fa a sbagliare in maniera così grossolana? La signora occhialuta mi accompagna nel luogo giusto, dove un signore stempiato mi guarda torvo. Prende nota del libro, lo trattiene e mi chiede, duro: "E quell'altro, dove l'ha preso?" guardando il tometto preso in prestito. Potrei appellarmi alla legge sulla privacy oppure al quinto emendamento, ma ve l'ho detto oggi è la giornata intitolata "no polemic" e rispondo con garbo: "Di là, nella sala prestiti". Ho dato la risposta giusta e l'uomo abbassa le palpebre con soddisfazione, lasciandomi andare.
Ora sono nell'atrio. Una commessa vidima la mia carta d'ingresso e la tiene con sè. Poi mi dice: "Può andare, ma... se suona l'allarme quando passa si fermi". Ovviamente l'allarme suona, lei sorride entusiasta. "Che cosa le dicevo? Ha suonato". "Eh, le dico, e adesso cosa devo fare". "Deve tornare in sala prestiti e deve farlo smagnetizzare meglio". La guardo incredulo. "No polemic" sento battere in testa. E poi dice che sulle pagine dell'attualità della Gazzetta c'è troppo spazio dedicato a internet.

| Home | scrivi a Carlo Annese


Home

Il weblog di
Carlo Annese


. Le foto .


www.flickr.com
Carlo Annese Suoni delle Dolomiti photoset Carlo Annese Suoni delle Dolomiti photoset

. Il libro .


Acquista

. L'archivio .


. I blog .


[Powered by Blogger]

Un solo click, tanti blog.

Blog Aggregator 3.0 - The Filter

BlogItalia.it - La directory italiana dei blog