Elaborazione grafica di Guido Nestola

19.10.09

Andiamo bene!

Il New York Times ha appena annunciato che taglierà 100 posti di lavoro in redazione. (via Twitter by Riccardo Luna)

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Le mani di Furyo

Arriva con qualche minuto di ritardo. Indossa una sciarpa turchese. Ha baffetti cortissimi, appena accennati, e chiari, che si confondono con la carnagione. Si scuote spesso i capelli imbiancati e, soprattutto, sorride spesso, a volte ride addirittura mentre, per rispondere alle domande dei giornalisti, si rivolge alla giovane interprete che gli siede accanto. Può sembrare bizzarro, ma in realtà Ryuichi Sakamoto è meno ascetico di quanto mi aspettassi, anzi è molto umano, anche nella ricerca delle risposte più diplomatiche affinché esprimano un giudizio sufficienemente asettico.

Dice di non sentirsi un pianista, anche se porta in giro un tour per piano solo e la Decca vende da oggi un disco che, appunto, si intitola Playing the piano. Ed è bellissimo.
Dice di non sentirsi un compositore di musiche da film, perché la sua musica è sempre andata oltre i fotogrammi che avrebbe dovuto commentare.
Dice di essere preoccupato da Internet, perché mette tutto, troppo, gratuitamente a disposizione.

Dice che un brano musicale è una forma di espressione troppo complessa perchè sia rappresentata da un solo strumento e per questo in concerto sovrappone il suono live a quello di un pianoforte registrato al computer.
Gli dico: "Come Bill Evans nel '63".
Dice: "Sì, come in Conversation with myself".
Gli dico: "E' il mio disco preferito, un capolavoro".
Mi strizza l'occhio e mi tende la mano. Una mano scura.


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8.10.09

Grande maledetto United



Oggi questo film esce negli Stati Uniti, tra una settimana esatta si vedrà anche nei nostri cinema. Si intitola Maledetto United, come il libro di David Peace dal quale è tratto, e forse nella versione doppiata non renderà neanche lontanamente l'intercalare pesante del protagonista. Ma basta il nome di quell'attore, Michael Sheen (Tony Blair in The Queen e poi lo sprovveduto intervistatore di successo in Frost vs Nixon), per garantirmi a scatola chiusa che il film in qualche modo a riuscirà a rendere l'eccezionale qualità del romanzo dal quale è stato adattato.

Recensisco spesso libri sportivi. Cerco di leggerli sempre, per quanto è possibile, fino in fondo. Quando ci riesco, otto volte su dieci li accumulo subito in una catasta di volumi che, prima o poi, regalo a qualche libraio di seconda mano o a persone che amano leggere. Dei due titoli che trattengo, a uno concedo qualche giorno, a volte qualche settimana, in più: il beneficio del dubbio, se sia il caso di tenerlo a casa, prima di cominciare proprio con quello una nuova pila da fare fuori. Solo in un caso su dieci ho la certezza che sia un libro da conservare. Il maledetto United è uno di questi, anzi è tra i migliori in assoluto, accanto per esempio a Baghdad Football Club di Simon Freeman e al recente Ama il tuo nemico di John Carlin.

Racconta la storia di Brian Clough, che a metà degli Anni 70 è stato uno degli allenatori più amati e più odiati del calcio inglese, un personaggio eccentrico, ambizioso e con un carisma straordinario che vinse titoli inattesi con il Derby County e il Nottingham Forrest. Un personaggio, per intenderci, che si presenta alla sua nuova squadra con un discorsetto del genere (immaginatelo sulle labbra di uno degli allenatori italiani):


"Domani si ricomincia da capo; la prima partita della stagione. Io ho vinto un campionato e voi avete vinto un campionato, quindi senza dubbio pensate di sapere come cazzo si fa a vincere un fottuto campionato. Be', invece non lo sapete, perché i vostri titoli li avete vinti con la truffa e con l'inganno. Questa stagione vincerete il campionato a modo mio; onestamente e correttamente. La stagione scorsa avete giocato quarantadue partite di campionato e ne avete vinte ventiquattro, pareggiate quattordici e perse quattro; bene, in questa stagione giocherete quarantadue partite e ne perderete solo tre. La stagione scorsa avete segnato sessantasei gol e ne avete subiti trentuno; bene, in questa stagione voglio che ne segnate più di settanta e ne subiate meno di trenta. E se lo farete a modo mio, non solo conquisterete il titolo, non solo lo conquisterete onestamente e correttamente, ma conquisterete anche il cuore del pubblico, una cosa che non siete mai riusciti a fare, cazzo".
Peace si concentra sui 44giorni di Clough alla guida del Leeds United, una delle squadre più vincenti e più difficili. Lo fa con uno stile inconsueto per un libro di sport e in generale per qualsiasi cosa assomigli a una biografia: pieno di strappi, di flashback imprevisti, di piani narrativi giustapposti, interrotti da classifiche di campionato, urla che durano due righe intere, e via di questo passo. Il maledetto United è una novità assoluta, un lampo di genio che rompe lo schema classico della memorialistica sportiva, a metà fra il noir e l’Ulisse di Joyce in versione calcistica.

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A bottega da Dario Fo e Franca Rame

Si respirava aria buona, ieri sera, a Milano. Da una parte, Roberto Saviano, blindatissimo (anche i posti!), con la Bellezza e l'inferno; dall'altra parte (della strada), Dario Fo e Franca Rame con la Storia di sant'Ambrogio. Aria di "gente utile", come ha voluto definirsi Fo commentando con qualche imbarazzo le notizie appena arrivate sul lodo Alfano.

Posso dire, per una volta, che c'ero anch'io. Dalla parte di Dario e Franca, perché da Saviano ho trovato posto solo per la ripresa di febbraio al Teatro Grassi. Sì, Dario e Franca, confidenzialmente. Perché più che uno spettacolo, è stato un incontro tra vecchi amici, dentro un laboratorio un po' polveroso o un salotto nel quale marito e moglie si concedono generosamente agli ospiti, con battibbecchi e carezze affettuose, ma che fa sempre bene andare ogni tanto a scoprire, come si fa con certi rigattieri che periodicamente partono per rifornirsi nei mercatini di Londra o della Costa Azzurra. Se non fosse un cliché, come direbbe l'ultimo Woody Allen, direi di aver assistito alla dimostrazione che la vita è teatro e viceversa: antichi saltimbanchi, che intendono il teatro come una metafora universale, un luogo e una formula per raccontare ciò che accade oggi attraverso le storie di ieri, un punto di partenza per tutto il resto che è venuto dopo e che inevitabilmente li ha superati. Da onorare, una volta ogni tanto, per non perdere l'abitudine con la bellezza.

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6.10.09

E meno male che Silvio non c'è

Foto dal New York TimesGli americani non ci amano molto negli ultimi tempi, e stavolta il premier non c'entra niente. Il New York Times solleva più di qualche dubbio sul fatto che affidare a Fabio Trabocchi, 35enne chef marchigiano, la cucina del Four Seasons di New York sia una buona scelta. In più, l'altra sera i loggionisti del Metropolitan di New York hanno riservato un coro di buuu a Daniele Gatti, alla fine di un'Aida per la quale invece hanno mandato in trionfo i cantanti.

Osannato due giorni prima come salvatore della patria perché aveva sostituito in extremis, con ottimi risultati e dopo essere stato praticamente imposto dagli orchestrali, James Levine alla guida della Boston Symphony nel concerto di apertura della stagione della Carnegie Hall, sembra che Gatti sia stato vittima di una protesta mirata, un complotto direbbe qualcuno, ordita già da diverso tempo. Scrive il critico del NY Times:

So what did Mr. Gatti do to offend the loggionisti? They didn’t say, though there was precedent: Mr. Gatti was similarly booed for “Aida” at the Bavarian State Opera in Munich in the spring, seemingly for overrestraint, to judge from blog reports. What do Metgoers want, Riccardo Muti? Well, they’ll finally get him too, in February in Verdi’s “Attila,” to dispose of as they will.






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5.10.09

Un libro da sentire

Un libro si può leggere e si può sentire. Quando non riesco a fare l'uno, avendo tempo faccio l'altro: sento il Libro del Giorno di Fahreneit in podcast. Non sempre, lo ammetto, è un ascolto che mi emoziona o mi deconcentra, per esempio, mentre guido lo scooter per le strade della città. Ma quando mi accade di imbattermi in una conversazione come quella con Suad Amiry, autrice di Murad Murad, vorrei che l'iPod non si spegnesse più.

L'intervista di qualche giorno fa si trova su iTunes e non sul sito di Fahreneit. Mi ha colpito per la partecipazione straordinaria della Amiry nel raccontare, per l'ennesima volta e in un inglese perfetto dal forte accento arabo, come abbia fatto a travestirsi da uomo e a seguire un gruppo di giovani palestinesi che si mettono in viaggio per cercare lavoro a 35 chilometri dal muro del confine con Israele. "Trentacinque chilometri in un Paese come il vostro - dice Suad Amiry - si coprono in venti minuti. Lì ci vogliono otto ore e si deve passare un numero incredibile di posti di blocco, senza nemmeno avere la certezza di trovarlo, il lavoro".

Solo per quell'entusiasmo, mi verrebbe voglia di comprare Murad Murad e di ascoltare ancora la Amiry. Da oggi a giovedì, il suo tour promozionale prevede ancora 4 date: chi può, non se la perda.

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3.10.09

Le parole che non ti ho detto

Ho trovato il libro che fa per me. Si intitola Homer and Langley, di E. L. Doctorow. Edito da Random House, racconta la vera storia del fratelli Collyer che morirono letteralmente sommersi da cumuli di carta stampata, in una casa di Harlem, trasformata in discarica al coperto.

Ne scrive oggi Daniela Daniele sul Manifesto, in un'intervista (lettura per abbonati) con Victor S. Navasky, editorialista del NY Times e direttore emerito di The Nation, nella quale rivela il nome di un disturbo compulsivo che impedisce di disfarsi di oggetti (applicandolo all'informazione digitale). Si chiama disposofobia.

Adesso so quale nome dare a quella sorta di dolore o di languore che mi prende quando sto per buttare nella differenziata un blocco di ritagli dai giornali di settembre del 2007.

P.S.: Del libro hanno già parlato Luca Sofri e Matteo Bordone a Condor, corredando il sul blog della trasmissione con una della casa dei Collyer.



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