![]() |
23.12.04
Non mancheròNon so quanti passeranno da queste parti nei prossimi giorni. E non so ancora bene che senso abbia fare gli auguri di Natale su un blog. Forse l'unico è quello di far sapere che ci sono ancora e che ancora vorrò esserci. Stay tuned.
20.12.04
Berlusconi who?Dario l'Americano ci ha preso gusto. Ecco la sua ultima corrispondenza: Guardi la Rai e Mediaset e ti immagini che il Cavaliere senza macchia e senza paura sia il migliore amico degli americani. Che George di qua e George di là. Che: "Very very thanks to my big friend Silvio Berlusconi". Che...
1.12.04
Parole parole![]()
24.11.04
Marshall, Texas - vol. 2Le nuove esilaranti avventure di Dario L'Americano: A Marshall, Texas, la notte non inizia mai eppure è lunghissima. Alle 9 i locali sono già vuoti, anche stasera ho cenato con un Babe Ruth che mi fissava da un poster appeso alla parete e un jump shoot di Doctor J fotografato in bianco e nero.*: Ricchiuto, pizzeria di culto dell'anziana gioventù brindisina. Da cui, l'esortazione internazionale: "Andiamo a mangiare una pizza" è diventata sul posto "Andiamo da Ricchiuto".
22.11.04
Nuove proposteDall'intervista di Fabio Gambaro a Daniel Pennac, pubblicata da Repubblica, mercoledì 17 novembre: Domanda: La critica può essere d'aiuto?Lo sottoporrò al mio futuro direttore. Accetto scommesse sull'esito della proposta.
11.11.04
Avvisi![]() Spingete. Il teatro è aperto! Da via Cadolini, un'esortazione e un proposito universali.
10.11.04
StradeOggi pomeriggio, attorno alle 3, in viale Marche a Milano. Un pullman al mio fianco si immette nella corsia preferenziale. Guardo distrattamente oltre i finestrini: bambini e bambine, seduti in maniera un po' disordinata. C'è qualcosa che mi colpisce, ma non capisco bene che cosa. Continuo a scrutare: le bambine hanno il velo; in mezzo a loro individuo alcune donne, saranno le madri, anche loro hanno la testa coperta. Ora, però, quel qualcosa addirittura mi inquieta, non già perché non riesca ancora a definirlo. Seguo una rotatoria, il pullman si allontana. Ma pochi metri più avanti mi ricongiungo, viaggiando sempre sulla corsia parallela. Non posso farne a meno, giro di nuovo lo sguardo. Due secondi, ecco: le bambine e le donne sono tutte sedute nella parte posteriore; davanti solo bambini.
Nostàlgia![]() If dreams are movies for the mind, the album is aptly titled - its atmospheres are evocative and decidedly ‘"filmic", è scritto ancora. Scelgo un solo brano, a caso. In Without visible sign, per esempio, sembra di ascoltare echi neanche tanto lontani di una versione raffinata e moderna di Nino Rota. A proposito di atmosfere filmiche, un altro disco di altissimo livello, le rievoca il Concertone di Stefano Bollani il quale, pur non rinunciando a qualche strappo ironico, fa fare la sua musica un salto indietro di 25-30 anni, alle colonne sonore di Trovajoli e Piccioni. Sia Garbarek sia Bollani, però, non spiegano quasi nulla dentro il loro bel cofanetto. Il primo non accenna neanche uno straccio di biografia dei suoi meravigliosi complici: la violista Kim Kashkashian e il percussionista Manu Katché. Il secondo concede tutto alla grafica d'effetto. Ma quei bei libretti di una volta nei quali si imparavano a memoria formazioni e collaborazioni artistiche, si comprendeva il senso del progetto, il messaggio sotteso all'idea, non esistono più?
9.11.04
Milan, TexasCi sono diversi modi ugualmente efficaci per esprimere concetti importanti che riguardano la propria vita, i luoghi di nascita o di elezione, le trasformazioni di quei luoghi e di noi con loro. Uno è quello adoperato da Ginevra Bompiani, che ha fondato con un'altra figlia d'arte, Roberta Einaudi, una piccola casa editrice (Nottetempo), in un'intervista pubblicata sull'ultimo numero di Ventiquattro, l'inserto mensile del Sole24ore: La Milano di ora è una Milano sedata, senza fermenti. Il mio quartiere, dove sono nata e cresciuta, ormai è fatto di costosissime boutique. Sembra che si viva solo di vestiti. Non è contemplato altro. Le serate sono tranquille e noiose. Il solo guizzo di vita è dato, ora come allora, dagli adultéri. Nessun fermento politico o letterario, niente ironia. Le stesse case editrici esistono ancora, certo, ma non ci sono più gli editori, salvo pochissimi. Un altro, che trovo esilarante e fantasioso nella sua assoluta aderenza alla realtà è quello di Dario Cananzi, un mio amico dell'adolescenza (sono nato a Brindisi, mi sembra di averlo già detto, ma di seguito si capirà ancora meglio) e un "socio" delle mie primissime esperienze giornalistico-televisive (avevo 15 anni, lui qualcuno di più) che con (e de)i vestiti incombenti di cui parlava Ginevra Bompiani vive e lavora. Da pochi giorni è in Texas e queste sono le sue prime impressioni, molto crude: io sono nato a Brindisi, dove il sole sorge 1 ora prima che a milano, figurati qnt tempo prima che qui.
Cronache, voci e non smentiteProvo a ricostruire la vicenda in estrema sintesi. Io riporto un brano del diario veneziano di Guido Chiesa sulla presentazione del film Lavorare con lentezza, in cui il regista critica la critica, e un estratto da un intervento di Wu Ming 4 (tra gli sceneggiatori) che spiega senso, sfondo e intento del film. Nei commenti al post, Svaroschi sottolinea l'eccesso di "snobismo alternativo" dei Wu Ming, citando una presunta rissa con un fotografo che sarebbe avvenuta a Bologna durante la presentazione della pellicola. Subito dopo, Franco la smentisce, raccontando una versione dei fatti diversa, avendovi assistito direttamente, e accende un mini dibattito. La situazione mi sembra un interessante esempio (con molta presunzione, lo definisco addirittura esperimento sul campo) di cronaca attraverso i weblog e in un post successivo, nel segnalarlo, chiedo che siano i Wu Ming a dirimere la questione. Nei nuovi commenti, si scopre che Svaroschi ha saputo della presunta rissa solo per interposta persona, non era presente insomma, a differenza di Franco. Qualche giorno più tardi, ricevo anche una mail cortese da parte di Wu Ming 1 che solo oggi, con vergognoso ritardo, pubblico di seguito: Mi hanno testè segnalato la discussione sul tuo blog. Mi dispiace, Carlo, ma noi non possiamo intervenire a smentire una notizia così inverosimile, che figura ci faremmo? Sarebbe come dichiarare: "Non è vero che facciamo i sacrifici umani" o: "Non è vero che veniamo da un altro pianeta". Se dovessimo occuparci delle idiozie di qualunque matto, non vivremmo più. Non nego che quel fotografo uno scapaccione lo meritasse (e forse se avesse continuato a insultare, e il personale della Cineteca non gli avesse chiesto di alzare i tacchi, se lo sarebbe pure preso, e forse nemmeno da noi), ma la realtà come l'ha vista una sala stracolma è che noi non ci siamo mai allontanati dal tavolo sul palco e il suddetto è sempre stato molto discosto da noi, finché non se n'è andato. Wu Ming, insomma, non smentisce nulla, perché non c'è nulla da smentire. Ma mi fa riflettere, senza nulla di personale nei confronti dei protagonisti di questa vicenda né l'intenzione di trasformare Wu Ming in vittime della curiosità dei media, in generale sulla relativa accuratezza nella comunicazione da parte delle persone (blogger o non blogger, non fa differenza) e sull'uso molto facile (blogger o giornalisti, fa ancora meno differenza) di voci, dicerie, rumors, senza che siano prima verificati. E' il vecchio discorso sull'attendibilità e sulla credibilità che non si ricevono con una tessera di giornalista, tanto meno con un esame professionale, ma si costruiscono con la pratica quotidiana e il rispetto di un'etica universale e particolare.
8.11.04
Mangiarsi le paroleE' il titolo di un festival letterario e gastronomico che si svolgerà nel fine settimana a Livorno. Originale in sé, ma anche nelle proposte di letture, azioni sceniche e degustazioni. Ne segnalo alcune: venerdì 12,ore 18.30, Emeroteca Comunale, via del Toro 8 Francesco Niccolini + Andrea Purgatori Teatro civico. 5 monologhi per Report (Einaudi) Gli autori presentano il libro dei monologhi scritti per Marco Paolini per la trasmissione-culto di Rai3 Report. Al termine, videoproiezione dell'intervento sulla strage di Bhopal al termine: Tè indiano venerdì 12 ore 21.30. Sala AgipPetroli, v.le I. Nievo 38 Il costo della vita, di Philippe Le Guay Destini che s'incrociano come in un film di Altman, ma in forma di commedia, con un montaggio serrato, toni leggeri e scene nelle quali si ride di gusto, merito anche di un cast eccezionale. Il piatto forte è un fantastico gattuccio al vino rosso, citato così tante volte che si esce dal cinema con l'acquolina in bocca. al termine: Pesce di tonno sabato 13 ore 18.30. Centro Donna, via Strozzi 1 Margherita Dalle Vacche Aperitivo... stregato www.manidistrega.com, la rivista web nata a Livorno e dedicata alle donne della Toscana, compie due anni: due parole e un brindisi "stregato"! Introduce M. Giovanna Papucci. Margherita Dalle Vacche, ideatrice del portale, racconta come è nato e cresciuto, e presenta alcune delle molte affezionate che lo hanno sostenuto al termine: Stuzzichini, e aromi e gusto di vini domenica 13 ore 16.30, Centro Donna, via Strozzi 1 Susanna Cappellini con Carlo Bornaccini Un amico tra le nuvole (La Scuola) Dalla vincitrice del Bancarellino un altro romanzo per i più giovani. La storia di un ragazzo vittima del bullismo, che non si sente accettato né dagli amici né dai genitori. Ma qualcuno lo aiuterà a recuperare l'autostima. Vincitore del premio Antonella Castellano al termine: Pane e Nutella
Last minuteMosca, martedì notte, intorno all'una. "Eccola! Vedi quella ragazza con il giaccone bianco? E' il segnale che lì c'è un gruppo di prostitute*. Ti avvicini con la macchina, abbassi il finestrino e chiedi quali tariffe trattino. A volte, capita, come con questa, che rinvii a un altro "palo" perché la strada è trafficata e c'è il rischio di controlli della polizia. La sua... collega è quella lì, vestita di nero, accanto al semaforo. Tratti con lei le prime tariffe, le chiedi quante ragazze vuoi e lei ti fa entrare in una strada più piccola e nascosta. Andiamo, ma teniamo accese solo le luci di posizione. "Guardale! Sono lì, tutte in branco, aspettano. Saranno una ventina. Una mezzana si avvicina alla tua macchina e ricomincia la trattativa. Ti chiede quanto vuoi spendere, quante ne vuoi... Io ne ho chieste cinque, da duecento dollari. Mi ha detto comunque che ne ha anche per meno, ma io ho insistito che voglio vedere quelle da duecento. Si è girata, ha alzato il braccio destro, indicando il numero 2. Adesso le chiama, senti?: Duecento, dice. Spuntano da non so dove, qualcuna era in un'auto, altre erano nascoste in un portone. Queste otto ragazze valgono duecento dollari. Si mettono in fila davanti alla nostra macchina, io accendo gli anabbaglianti. "Visto? Vabbè, adesso andiamo, se no qui rischiamo che ci trovi la polizia e poi è una rottura di coglioni. La mezzana torna vicino al finestrino e tu le dici che non te ne piace neanche una. Via, metto la retromarcia e andiamo a bere qualcosa". Terribilmente istruttivo, d'accordo. Mi chiedo, però: è possibile che, se vai a Mosca, non ti fanno più visitare la piazza rossa o il mausoleo di Lenin, ma ti portano solo a un "Puttan Tour"? *: il termine realmente adoperato è naturalmente più crudo ed efficace.
31.10.04
Io non ti guardo negli occhiRicevo da Claudia Provvedini (che si sta entusiasmando all'idea di bloggare, attraverso Fuori dal coro) e molto volentieri pubblico, a proposito di uno spettacolo teatrale in scena a Milano fino a questa sera: Con i libri osannati dalla critica è sempre successo: il pubblico dei lettori poi ne salva un capitolo e sarebbe pronto a bruciare il resto. Con le rappresentazioni teatrali è un fenomeno relativamente nuovo e comunque più difficile è esprimere una reazione analoga da parte dello spettatore. Insomma, non si può buttare via o bruciare una sala (se è successo, finora, è stato per dei teatri interi e per altre ragioni, vedi Petruzzelli e Fenice). Dunque, se uno spettacolo non funziona, che fare? Stiamo parlando del lavoro Io ti guardo negli occhi, ma soprattutto della mancata comunicazione in esso tra gli attori e il regista. Da una parte, infatti, c'è un'idea diciamo strategica di far muovere un gruppo di persone in uno schema, più che in una storia: quella sembra secondaria, sembra affiorare qua e là, come se improvvisamente sia il regista sia gli attori si ricordassero di appartenere ad una traccia, come su un disco. Dall'altra, ci sono questi uomini e donne, tipicizzati al massimo, come in certe favole dell'Est. Che fare? Sull'impiantito inclinato e provvisorio del Teatro Studio il pubblico cavalcava verso l'uscita: un'emorragia. Bravi! Gli spettatori, naturalmente, liberi di non essere borghesemente educati.
27.10.04
In cerca di Pedro![]() Nel dicembre del 1948 ricevetti dalla Svizzera - dove l'avevo depositata durante la guerra - una valigia piena di carte di famiglia e lettere di dieci anni prima. Sedetti accanto al fuoco per venire a capo di quella sorta di orribile inventario post mortem. Trascorsi così, tutta sola, parecchie sere. Aprivo pacchi di lettere prima di distruggerle, scorrevo quel mucchio di corrispondenza con persone dimenticate e che mi avevano dimenticato: alcuni vivevano ancora, altri erano morti... ![]() La coincidenza, in realtà, non si ferma qui. L'omosessualità che pervade pesantemente il film di Almodòvar è la stessa che tocca delicatamente Le Memorie della Yourcenar nel rapporto eletto e disperato fra l'imperatore - uomo moderno per eccellenza nella Roma classica e poi trasformatosi in modello classico di virtù, in quanto amante della cultura e della pace, della libertà e della democrazia - e Antinoo. Non vorrei sembrare pedante, ma tra l'una e l'altra c'è un abisso di sensibilità, di misura, di equilibrio. Nel merito e nel metodo. Nel merito, perché quella de La mala educacion conduce al nulla, all'annichilimento per interesse, al vuoto che vanifica anche il sentimento eventualmente più puro, quello che rimane fra la vittima e il suo primo oggetto d'amore, il regista al quale il fratello (un Gael Garcia Bernal clamorosamente tozzo) consegna il racconto che diventa sceneggiatura, spacciandolo come proprio. Il legame che unisce Adriano al suo più giovane amico è invece l'espressione piena della natura, della purezza, dell'essenza dell'uomo anche nel suo desiderare un altro simile dello stesso sesso. Così, se nel film la morte è uno strumento da usare senza guardarne gli effetti direttamente (i due assassini consegnano la dose letale alla vittima, che chiede di essere lasciata sola non conoscendone gli effetti tragici), a teatro e nel capolavoro letterario della Yourcenar va "accolta a occhi aperti". Nel metodo, perché il film di Almodovar, a cui evidentemente piacciono i melodrammi e non fa più nulla per nasconderlo anche in un film come questo nel quale raggiunge livelli di doloroso distacco dalla materia che tratta, è incostante; neanche tanto originale quando sovrappone la realtà alla fiction, riproducendo il cinema nel cinema; si perde nel tentativo di usare tanti spunti (la pedofilia tra i preti, l'innamoramento tra bambini, il rapporto edipico, i fratelli-coltelli, l'antierotismo dei rapporti sessuali così marcati da non essere né visti né tantomeno immaginati, ecc.) perdendoli per strada, a volte per scelta, altre per discontinuità.
26.10.04
Dannati senza confiniNon un capolavoro, tale da giustificare l'Orso d'oro all'ultima Berlinale, ma comunque una pellicola da vedere. Soprattutto per la straordinaria faccia segnata, alla Mickey Rourke, di Birol Unel, il protagonista maschile, redento dall'amore e dal desiderio nei confronti di una donna molto più giovane e libera di lui. Così libera, da promettergli di aspettarlo all'uscita da una prigione nella quale era finito a causa sua, e non tener poi fede all'impegno, poiché ingabbiata in quella morale borghese (avendo una figlia e un nuovo compagno) tipicamente nordeuropea da cui era fuggita chiedendogli di sposarlo dopo averlo incontrato in un ospedale psichiatrico a seguito di un tentativo di suicidio, e che sembra invece sopravviva anche in Turchia. Tutto con una colonna sonora, quella sì, eccezionale.
In casa miaNon so se ci sia ancora qualcuno, in Italia o da queste parti (che non è la stessa cosa...), che si interroghi sui rapporti tra weblog e giornalismo. Mi sembra, però, utile segnalare quel che si è verificato, mio malgrado, su questo blog nel commento a un post. Due frequentatori si sono confrontati su un avvenimento, ciascuno riportando una versione. L'episodio è lo stesso, ma viene descritto in due maniere differenti, a seconda dell'esperienza di chi vi ha assistito: la conoscenza diretta dei protagonisti del fatto, la conoscenza di talune loro abitudini, ecc.. Senza che io lo volessi, si è fatta cronaca; a questa è seguita un'opinione; e anche a quest'ultima ha corrisposto una contropinione. Interessante esperimento sul campo, a cui però mancano alcune condizioni sostanziali perché si giunga a conclusioni efficaci e credibili: le dichiarazioni dei diretti interessati. Non conoscendo il nome del fotografo, non sarebbe utile che, per purissimo caso, i Wu Ming coinvolti lasciassero a loro volta una traccia?
La logica delle paroleAncora a proposito di Parola, scrive Piero Bianucci, su un Ttl di non so più quanto tempo fa, a proposito di Le menzogne di Ulisse di Piergiorgio Odifreddi: La logica ha il ruolo di smontare quelle sublimi trappole che il pensiero e il linguaggio costruiscono, rimanendo poi prigionieri di concetti, come essere, infinito, verità. "Fino a quando la cosa si mantiene nel sano ambito della logomachia e della logopaidia, cioé della battaglia o del gioco di parole, tutto va bene - conclude Odifreddi -. Ma quando si soffre di logopatia o di logolatria, cioé di ptologia o di adorazione del linguaggio, allora diventano necessarie una logopedia o una logotomia, una rieducazione o una asportazione del logoso, che solo la logica ha dimostrato di saper effettuare".
25.10.04
La parola alla ParolaAvrò avuto sette o otto anni. Non ricordo in quale occasione, la mia famiglia andò a Roma e una delle prime tappe del viaggio fu quella alle Fosse Ardeatine. Nella memoria, riappare l'immagine di una lapide su un muro di mattoni a vista, in un luogo un po' tetro, e il racconto di mio padre di quello che accadde lì. Non so se quella lapide esista e se quel luogo fosse davvero tetro, ma le Fosse Ardeatine rappresentano una delle prime lezioni dal vivo di Storia a cui abbia partecipato. ![]() E sarà per questo che Ascanio Celestini mi appassiona, quasi mi entusiasma, anche oltre Radio Clandestina. Scenografia minima (una lampadina, lo scheletro di una porta, una sedia), accento romano, Celestini è la parola che si fa scena, l'oralità che diventa spettacolo civile, la drammaturgia che nasce dalla verità dei fatti. Qualche mese fa, ho assistito al saggio finale di un suo laboratorio al Dams di Bologna. Con alcuni studenti, Celestini voleva realizzare una drammaturgia attraverso l'uso delle fonti orali, per rispondere alla seguente domanda: E' possibile costruire una storia a partire dalla storia di una persona? L'argomento era la vita nell'ospedale psichiatrico di Bologna prima e dopo la legge Basaglia, ricostruita attraverso le testimonianze di una ausiliaria, uno psichiatra che aveva lavorato in quel manicomio e ora presta servizio in un Centro di salute mentale e un'infermiera che aveva assistito quel medico. Attratto dalle questioni della Parola, gli chiesi quali usasse, quali preferisse, come si potesse compiere nella sua esperienza la trasposizione dalla testimonianza individuale al testo teatrale pubblico. Ho ritrovato gli appunti che raccolsi durante le sue risposte:
![]() Domanda: Non è un bel momento, Professore. Le parole sembrano perdere sempre più il loro significato: e così le vittime si fanno carnefici, in guerra muoiono ormai quasi solo civili, i mercenari passano per eroi e chi si impegna per la pace è deriso e insultato. Che ne pensa il Poeta di questo tempo capovolto? Celestini ha presentato un estratto dell'ultimo spettacolo, Scemo di guerra, andato in scena al Teatro Verdi di Milano fino a questa sera (ma altri suoi testi saranno presentati nei prossimi giorni), durante Outis, un festival della drammaturgia contemporanea, dedicato quest'anno in buona parte alla traduzione. Poche sere prima della sua lettura scenica, avevo assistito a Epistola ai giovani attori - sottotitolo Perché sia resa la parola alla parola - di Olivier Py, con un bravissimo Giancarlo Dettori. E' una lunga arringa in difesa della parola, recitata da un Poeta abbigliato come un'antica Tragedia (un vestito lungo da donna tempestato di strass), che si difende dall'accusa di un gruppo di pericolosi agenti moderni: l'Addetto alla Cultura, il Poliziotto del Desiderio, il Ministro della Comunicazione, ecc. A metà della piéce, la Tragedia afferma: Angeli del cielo, salvateci.
16.10.04
L'arte del recensire - 3 / Sedici righeHo assistito alla prima di La Scimia, il nuovo spettacolo teatrale di Emma Dante. Non mi ha entusiasmato e lo stesso era accaduto a molti dei critici che ne avevano scritto dopo la presentazione alla Biennale di qualche giorno prima, evitando però di essere troppo diretti. Avendo ancora negli occhi lo strepitoso Carnezzeria della stessa compagnia e della stessa autrice, ho avuto la sensazione di un deja vù, senza però il mordente dell'originale, come se il tentativo di scavare nei tabù di certa borghesia siciliana avesse già raggiunto il fondo senza trovare nuove soluzioni, se non quella di stupire fine a sé stessa. Fin qui io. Ho chiesto alla mia amica Claudia Provvedini, cronista teatrale del Corriere della Sera, di regalarmi la sua critica dello spettacolo, peraltro mai pubblicata. Il risultato è questo piccolo capolavoro: Uno spettacolo diviso, La scimia: linguaggi diversi che parlano per conto proprio non creano dialettica, ma divisione. La "famiglia" di attori di Emma Dante costruisce all'inizio una concentrata visione di oscurantismo, bigotteria, carnalità clandestina e repressa nel quartetto delle due zitelle e dei due preti. Il loro alternarsi sulle sedie - seduti, in piedi, scambiandosi i posti freneticamente - ha il ritmo di un Crave della Kane, anche se non genera combinazione di storie tra le figure. La prepotenza degli oggetti, dalle croci alle noccioline, è figlia del teatro espressionista dell'est e di quello barocco di Barba, con una pepatura marcata sud italiano, Sicilia in particolare, che mette in evidenza il rapporto fisico tra l'attore-uomo e l'attore-oggetto, stressandolo fino al punto di farlo diventare astratto. Ma quella tensione quasi metafisica si spacca con l'ingresso dell'uomo-scimia. Concessione al voyeurismo, esibizione, virtuosismo, mimesi realistica: è il pene esposto che fa ridere il pubblico? È l'immedesimazione nell'animale? Fatto sta che arretrano sullo sfondo l'ironia beffarda, la sofferta architettura delle relazioni umane distorte, l'angoscia che trasmetteva Carnezzeria, e già Mpalermu. Perché Emma Dante ci è andata giù così pesante nella descrittività da suscitare persino noia. Non avremmo voluto vederla la scimia, lo scimio: la violenza, il sesso sono il terremoto sotterraneo del lavoro di Sud Costa Occidentale e, nel nuovo, non esplodono né fanno tremare la scena: disturbano.Spero solo che Claudia prenda la buona abitudine di farmi altri regali del genere.
L'arte del recensire - 2 / La critica della critica![]() Verso le 0.40 (proiezione stampa ritardata di mezz'ora perché il film precedente era iniziato con un'ora di ritardo perché quello prima…) ci giunge notizia che i critici hanno applaudito il film, a dispetto del fatto che, prima dell'inizio, ci fosse in sala chi andava dicendo che il film era una merda, prima ancora di averlo visto… Certo non perché sia spaventato da queste considerazioni, alcune delle quali anche abbastanza banali e inutilmente qualunquiste, a me il film è piaciuto. Perché è un film onesto, militante ma senza eccessi, schierato ma con juicio. Perchè, partendo da Radio Alice e dal movimento degli studenti bolognesi del '77 con tutto il suo portato politico e filosofico, sviluppa una storia universale, di ragazzi e ragazze di ogni tempo che misurano sulla propria pelle il conflitto tra la ricerca della libertà sessuale e la necessità di conservare la proprietà dei sentimenti, propri e della persona che amano e vorrebbero possedere. Perché è originale nell'uso di alcuni accorgimenti narrativi (i siparietti da film muto, stile corazzata Potomkin, per descrivere il processo di costruzione politica della radio, per esempio). E soprattutto perché, pur badando molto all'unviersalità di cui sopra, conserva una cura ammirevole per la ricostruzione, storica e soprattutto degli ambienti e del clima (anche se, per esempio, è stato notato che i libri, e le intere collane Einaudi di cui fanno parte, che i protagonisti leggono non erano ancora stati pubblicati nel '77) in cui si svolge la vicenda: gli interni da Centro Sociale, il cuore universitario di Bologna che spesso, nella mia immaginazione, ha continuato a pulsare nelle mie recenti continue visite come allora. ![]() Eppure, nella stessa newsletter, Wu Ming 4 mi stronca al primo respiro. Scrive: Nonostante il sottotitolo imposto dalla distribuzione, quello che abbiamo scritto insieme a Guido Chiesa non è un film su Radio Alice.
L'arte del recensire - 1 / MaestriBinario loco, bontà sua, mi ha invitato a far parte di una futura iniziativa dedicata al cinema. A lui interessano le mie fugaci considerazioni su alcuni dei film che vedo e, in nome della libertà di critica concessa dalla rete, vuole coinvolgermi in un progetto indipendente a più mani. Mi sono chiesto se io sia davvero in grado di sostenere un ruolo, sia pure secondario e defilato, come questo. Se, cioé, un semplice spettatore quale io mi considero abbia il diritto e soprattutto gli strumenti, culturali e tecnici, per esprimere una critica compiuta, per poter dire in modo credibile: "Questo mi piace, questo no". E' la solita vecchia storia, sulla quale mi sono già espresso a proposito del rapporto fra blog e giornalismo: è la conoscenza e l'uso del mezzo a fare la differenza, non il mezzo in sé. Naturalmente, mi sono anche chiesto quanto un eventuale nuovo ruolo (diciamo, pomposamente) ufficiale avrebbe potuto incidere sul mio modo di scrivere. B.George, agli albori del fenomeno weblog, mi allineò tra i tessitori di pensieri e parole: in questa definizione continuo a trovarmi, poiché cerco sempre collegamenti, allargamenti, occasioni trasversali. Il commento su un film, per me, s'incastra in una riflessione più ampia, la sfiora, diventa una causa oppure un effetto. Mentre ero alla ricerca di risposte, mi sono imbattuto in due articoli-recensioni che mi hanno illuminato. Uno è quello di Bernardo Valli sull'ultimo libro di Rosetta Loy, pubblicata da Repubblica il 3 ottobre, dal titolo Con gli occhi sul passato. Comincia così: Nero è l'albero dei ricordi, azzurra l'aria (...) spinge a considerazioni preliminari, introduttive, tutt'altro che superflue. Anzitutto il lettore, poiché di lui si tratta, del lettore, testimonia che le bozze, suddivise in tanti quinterni al fine di distribuirle in varie tasche (giacca, impermeabile) e quindi di poterle manovrare con facilità fuori dalla poltrona domestica, durante gli spostamenti, anche i più scomodi (in taxi, in piedi nella metro o nelle code d'attesa, nelle pause davanti al computer, al ristorante), hanno avuto su di lui un effetto ormai raro. Anzi rarissimo. Vista l'odierna avarizia dei romanzi. Le pagine della Loy gli hanno creato quell'isolamento dalla realtà circostante di cui, come lettore, è alla costante ricerca. Una ricerca affannosa e spesso vana, nelle librerie e nelle rubriche culturali dei giornali, condott con l'ansia di un disperato cane da tartufi perduto nell'asfalto della città. La caccia a una droga? Se lo è, è una droga leggera che dà una magica sensazione di solitudine. E via riflettendo. Uno splendido esempio dell'uso di categorie generali e considerazioni personali come uno specchio per esprimere il valore dell'oggetto della recensione. L'altro articolo è a firma di Marco Di Capua, pubblicato sull'Unità dell'8 ottobre, sulla conferenza stampa di Moi! Autoritratti del XX secolo, una mostra che si terrà alla Galleria degli Uffizi di Firenze fino al 9 gennaio 2005. Anche in questo caso, l'attacco, originalissimo, è autoreferenziale eppure straordinariamente ecumenico: La fila. Non sai esattamente di cosa si tratta se prima non l'hai vista formarsi e snodarsi, paziente e silenziosa come un animalone da preda, davanti a un museo. Quella è la fila. Davanti agli Uffizi non è impressionante come in certi giorni ai Musei Vaticani, quando non sembra nemmeno che la processione inizi a Roma ma in qualche altra città, però sembra proprio che non si muova mai. A Firenze la fila è immobile. Poi capisci perché o almeno ti dai una spiegazione, quando salti la fila uno (di quelli senza prenotazione) e salti anche la fila due (di quelli con la prenotazione) ed entri e sali le scale per andare alla conferenza stampa dove devi andare, e passi per le sale più stupefacenti del mondo, e ti accorgi che tutti si muovono al rallentatore come sulla luna, e capiti davanti ai capolavori beato e stremato e decidi, se hai fatto la fila, che da lì non te ne andrai mai più. Con i miei occhi: ho visto una signora che di fronte a ogni quadro leggeva lentamente, pesando le parole, tutte le pagine che gli avevano dedicato i manuali e poi, con le amiche, apriva il dibattito. Proprio così: "l'Argan" dice questo, il "Briganti" quest'altro... Nulla passa in second'ordine, al contrario tutto ciò di cui si vuol parlare (e successivamente si parlerà) viene riportato a una dimensione reale, fruibile da chi legge, poiché vicino, non accademico, non calato dall'alto.
8.10.04
RisvegliAscoltato a Radio3, ieri pomeriggio, Alessandro Bergonzoni mi ha entusiasmato due volte. Prima per l'iniziativa che ha sostenuto con energia, la sua energia, l'apertura di una Casa dei risvegli, dedicata ai pazienti in coma. Poi per il modo in cui ne ha parlato, rendendola letteraria, intellettuale, filosofica. Dal 19, se non sbaglio, sarà in teatro a Bologna con un nuovo spettacolo. Andarci, mi sembra un'ottima idea.
6.10.04
Propositi per il futuro![]() La scorsa settimana, ho cercato inutilmente tra i blog che frequento abitualmente qualche commento alla trasmissione su Retequattro dell'ultima intervista di Tiziano Terzani, Anam. Il senza nome, realizzata da Mario Zanot (oggi si proietta all'Odeon Cinehall di Firenze alle 20.30). Avrei voluto condividere la commozione che mi ha provocato quel documentario. Mi sarebbe piaciuto condividere la sensazione di pace interiore, di tolleranza e di apertura verso il mondo, verso l'altro, di qualunque genere, colore e pensiero sia, che Terzani era riuscito a trasmettere. Avrei desiderato confrontare l'idea di curiosità, il piacere per la scoperta, per la comprensione della diversità che quell'uomo con la barba bianca e un male dentro che lo avrebbe portato via di lì a poco emanava come una luce. Nella vana attesa di un segnale, ho ripreso un libro che negli ultimi giorni mi ha appassionato, come non mi accadeva da tempo, Scrittura cuneiforme, di Kader Abdolah, edito da Iperborea. E mi sono imbattuto in queste due pagine: ![]() Ma mio padre sapeva cosa fosse l'amore? Era consapevole del suo "essere innamorato"? Intendo dire: era in grado di capire di essere entrato nel mondo dell'amore? Il desiderare profondamente un'altra persona: avrebbe saputo spiegarlo? Il voler stare con lei, tenerle la mano, respirare l'odore dei suoi capelli, possederla. ![]() "Propositi per il futuro: non sottovalutare le conseguenze dell'amore" annota appunto Titta De Girolamo, il protagonista. Lo stesso proposito che dovrebbero fissare anche i due protagonisti di La vita che vorrei, operina un po' stanca di Giuseppe Piccioni che non ritrova nella coppia Sandra Ceccarelli - Luigi Lo Cascio l'intensità che aveva dato un senso al precedente Luce dei miei occhi, malgrado la buona idea di partenza di intrecciare il film nel film, trasformando la controversa storia d'amore dei due personaggi in una prosecuzione della loro recita in una fiction in costume, anche abbastanza improbabile. Tra i silenzi, le pause, gli sguardi vuoti eppure così pieni di Servillo e i primi piani insistiti sul sentimento inespresso e inesprimibile, prigioniero dell'egoismo e della vanagloria, di Lo Cascio e della Ceccarelli, un pochino più espressiva nel ruolo di un'attrice che lascia adito all'equivoco, corre una differenza che, in tempi di magra per il cinema italiano, mi fa gridare appunto all'eccellenza. Non siamo nella Persia antica, del resto, e sembra che per i nostri registi sia proprio impossibile trovare spazio in una storia d'amore per quello splendido gesto con il quale Terzani si è congedato dal suo ultimo intervistatore e dalla vita: una risata.
5.10.04
AmiciHo sempre considerato Gianmaria Vacirca, che conosco da quando era il tuttofare di Telebasket, un talento inguaribile. Uno di quelli con tante belle idee che fan presto a diventare troppe. Sa scrivere, è appassionato, attento, curioso. Credo che nel suo blog, aperto da qualche giorno, lo farà sentire, vedere e provare.
Chez AlbertiniAlla fermata dall'autobus, un paio di giorni fa, in una via del centro di Milano, a poca distanza dal Tribunale. Mi si avvicina un uomo, uno di quelli che ormai per comodità definiamo "albanesi" nella migliore delle ipotesi, "zingari" nella peggiore. Ha la barba lunga e uno sguardo che ormai per comodità definiamo "equivoco" nella migliore delle ipotesi, "da delinquente" nella peggiore. Bofonchia qualcosa, sollevando una busta plastificata che contiene alcuni fogli. Io, preso dalla lettura di un volantino, giro lo sguardo verso di lui, lo ascolto distrattamente. Mi sembra di capire: "Scu... ra ... lavoro". Mi starà chiedendo quello che ormai per comodità definiamo "elemosina" nella migliore delle ipotesi, "rottura di coglioni" nella peggiore. In automatico, gli rispondo "No" scuotendo la testa infastidito e porto la mano alla tasca posteriore destra dei pantaloni, controllo il portafogli. Torno al volantino, l'uomo si allontana senza battere ciglio e si dirige verso una ragazza che attende l'autobus, come me. In una frazione di secondo mi passano nella testa i seguenti tre pensieri:
Il quarto pensiero svela l'enigma. In una parte remota del mio cervello, qualcuno che lo abita ha sentito distintamente questa frase: "Scusi, la Camera del Lavoro?". Guardo di nuovo l'uomo. Non ha ancora cominciato a rivolgersi alla ragazza. Gli dico: "Senta, ma mi ha chiesto dov'è la Camera del Lavoro?". Lui: "Sì". Io: "Scusi, non avevo capito. E' qui vicino. Allora, deve...". L'uomo si avvicina, segue la mia spiegazione. Annuisce, mi ringrazia. E mi tende la mano. Io resto interdetto, stupito, confuso. Gli tendo la mia mano. Lui la stringe forte e se ne va. ![]() Ripensavo oggi a quel che mi è accaduto, leggendo l'editoriale di Armando Torno sulla prima pagina della cronaca milanese del Corriere a proposito dell'idea di istituire un garante per l'estetica per la città. A differenza del solito, condivido l'analisi rassegnata: Milano non riesce più a curare se stessa: i grandi progetti vengono ormai presentati come eventi straordinari, invece per una metropoli dovrebbero essere la normalità; la cura delle piccole cose è sostanzialmente disattesa e gridiamo al miracolo quando qualcuno se ne preoccupa. Ma poi non riesco ad accettare la conclusione: (Il garante per l'estetica) Dovrebbe essere anche la voce dei cittadini per i problemi che vanno dal traffico ai trasporti, dai servizi al controllo del paesaggio urbano, la cui trascuratezza è fonte di abbrutimento. Già, i cittadini. Sembrerebbe che a volte non riescano più a capire gli amministratori e questi ultimi pare che sovente si dimentichino degli amministrati. Per qualcuno il garante potrebbe essere una figura in più da sopportare. Sarà. Ma, detto tra noi, che cosa costa tentare anche questa carta? E' proprio la logica del "cosa costa" che non è più accettabile. Che cosa costa sorbirsi altri cinque anni di Albertini e di giunta imbalsamata dalle spinte contrastanti dei partiti? Che cosa costa pensare di avere un sindaco-non sindaco, purché sia di sinistra? Che cosa costa nominare un garante o un controllore, comunque lo si voglia chiamare, visto che chi dovrebbe amministrare non lo fa più e non ha alcuna intenzione di farlo? Purtoppo costa molto. Il prezzo è la diffidenza, il silenzio, la chiusura, l'intolleranza nei confronti di chiunque, anche di chi prova a integrarsi cercando lavoro e mettendosi in regola; quella "stanchezza quotidiana" che sta facendo rinchiudere Milano in se stessa, nella convinzione di essere capace di andare avanti a prescindere, nella pre-sunzione del suo pre-giudizio: il giudizio di essere davanti, migliore, prima appunto. Ma da sola.
28.9.04
Dream TeamNeanche Mauro Bevacqua è nuovo di questo blog. Qualche mese fa provai a coinvolgerlo in un dialogo sul cinema, ma la cosa durò poco perché il ragazzo è di quelli seri: non spara volentieri per il gusto di sparare, preferisce stare nella sua cesta. Ma quando decide di venire allo scoperto, i risultati sono molto buoni. Basta vedere DreamTeam, un mensile di basket in edicola da pochi giorni (presentato questa sera con una festa al Tocqueville di Milano) e di cui Mauro è direttore. Una bella idea davvero, nuova, per la grafica e i contenuti, con uno spazio dedicato al Lifestyle, nei pressi del quale non a caso Bevacqua ha inserito una sua intervista con Spike Lee di cui tratteggia una filmografia straordinariamente ragionata. Insomma, un giornale da comprare e, come dice Flavio Tranquillo, soprattutto... ricomprare. Anche perché Mauro, dopo mesi di silenzio, si è rifatto vivo, con questa mail, ovviamente cinematografica: Scopro che abbiamo amato (io almeno molto) un film in comune. Ho visto Mar Adentro a Venezia, al Festival, dove anche quest'anno sono riuscito a fare una tregiorni molto intensa. Da tempo un film non mi tirava un cazzotto nello stomaco simile. Perché a me i film piacciono così, lontani dai lieto fine, lontani dalla retorica. Trovo che fosse onesto e molto, molto attuale. Bravissimo Bardem (premiato a Venezia), ma bravissima l'avvocatessa e bravissima anche - nella sua dignità silenziosa - la donna di famiglia che lo curava in casa (la moglie del fratello? non ricordo... comunque quella che era sempre in cucina, quella che in tutto il film dice due-tre battute Ho deciso di verificare di persona. E proporrò a Mauro di andare a vedere insieme almeno uno dei film che tra il 12 e il 16 ottobre faranno parte del Tribeca Film Festival, in programma alla Fondazione Prada. Cito dal comunicato stampa, reperibile in rete: Tribeca Film Festival alla Fondazione Prada, il primo evento di un progetto permanente a cadenza annuale, nasce con l’obiettivo di creare un vero e proprio festival, che crescerà progressivamente nelle edizioni successive, al quale il pubblico potrà accedere liberamente. Il programma prevede un gala première, alla presenza di Robert De Niro e dei co-fondatori del festival Jane Rosenthal e Craig Hatkoff, e sei anteprime (tre documentari e tre fiction), accompagnate da un fitto programma di incontri con i registi e con gli interpreti, secondo la consuetudine del Tribeca Film Festival.Se Mauro soffre poco l'Anteo, non voglio immaginare quali reazioni potrà avere nel regno del trendy.
27.9.04
A casa di SuzanneValerio Piccolo non è nuovo di queste parti: ho scritto di lui come di un esperto sommelier, di un bravissimo traduttore dal russo e dall'inglese e soprattutto di un grande e carissimo amico che qualche tempo fa ho ritrovato per caso dopo anni. ![]() Domanda - Ha mai fatto la traduttrice? Per entrare nella cultura di Suzanne Vega, Valerio Piccolo è andato a trovarla due settimane fa a New York, una data tutt'affatto casuale come si comprenderà, compiendo un vero e proprio blitz che lo ha sconvolto. Ho il privilegio di pubblicare una sua mail in cui descrive l'esperienza, piena di suggestioni uniche, assolutamente straordinaria. Eccola: Suzanne Vega frequenta da 20 anni un circolo di cantautori del Greenwich Village, fondato da Jack Hardy, cantastorie storico del Village. Si vedono tutti i lunedì a casa di Jack, ognuno porta una canzone nuova e ci discutono sopra.
17.9.04
Attenti al fuoco / 2 - Ditelo con i FreudScorro la lista dei film appena visti e osservo che, con l'unica eccezione di Uzak, tutti trattano storie familiari molto particolari e nella stragrande maggioranza i padri siano considerati l'anello (molto) debole: quando non muoiono, se va bene fuggono.
Baratti musicaliLa Sinfonia n.40 di Mozart (che contiene uno dei temi più famosi al mondo) e la Sinfonia n.8 di Beethoven (la meno nota, anche se non la meno preziosa). Che cosa ha dovuto inventarsi Riccardo Chailly, per far passare nella serata di apertura della stagione dell'Orchestra Verdi di Milano la bellezza di 12 minuti e 45 secondi di Goffredo Petrassi per cominciare a dare sempre più spazio alla musica moderna e contemporanea: un Saluto augurale e una Passacaglia, entrambi in prima esecuzione, che avrebbero comunque potuto vivere di luce propria. E che luce, soprattutto la Passacaglia, composta nel 1931, quando Petrassi aveva 27 anni: tutt'altro che un esercizio scolastico, come Enrico Girardi, simpaticissimo critico musicale del Corriere della sera con il quale ho trascorso buona parte della serata, ha azzardato senza averla mai sentita. Il neoclassicismo della forma è supportato da echi di Gershwin e Debussy, con elementi timbrici che richiamavano al Respighi delle Fontane di Roma: ben più che interessante, a tratti molto coinvolgente, soprattutto comprensibile per orecchie, come le mie, ancora poco avvezze alla musica contemporanea. Di sicuro, più toccante delle due colonne d'attacco con le quali Chailly ha messo al sicuro il risultato, in tutti i sensi. La sensazione è che, sia pure trascinato da un entusiasmo palpabile, il direttore abbia operato più sulla superficie che in profondità. L'orchestra ha ormai raggiunto un notevole equilibrio di suono e di lettura, ma ha ancora qualche lacuna (specie nei violini) nell'interpretazione, nell'anima insomma. Così, lo spirito dolente della Sinfonia di Mozart è soltanto accennato, la scelta dei tempi di esecuzione del Minuetto sia di quest'ultima sia dell'Ottava di Beethoven - estremamente rapidi - li svuota di personalità evocandone unicamente la natura giocosa un po' troppo infantile, i rari piano e pianissimo sono decisamente meno accentuati rispetto ai forte e ai fortissimo d'assieme nei quali l'orchestra si sente di più (nel senso di riconoscersi, ma anche di ascoltarsi da dentro). Perfino il pubblico della prima è filato via abbastanza rapido, senza troppe ovazioni inutili.
16.9.04
Attenti al fuocoEffe ha ragione a proposito del post sul film di Susanna Tamaro: i preconcetti di uomo sono sacri. Io ho invece deciso di toccare con mano e... ustionarmi. Anche perché, dimenticavo, tra i titoli di coda ho dovuto anche leggere che Nel mio amore è un film di interesse culturale nazionale! La nazione di chi? Non in mio nome. ![]() ![]() Private è stata la migliore tra le tante ultime pellicole viste, comunque tutte di buon livello:
Amore di TamaroHo detto "Grazie" alla mia amica G.. E l'ho fatto con sincerità. Perché è stata lei a invitarmi all'anteprima del film di Susanna Tamaro, martedì sera a Milano. Ed è stata lei a impedirmi di continuare a ragionare, criticare e censurare, mosso solo da preconcetti. Non fosse stato per G., avrei sicuramente detto che "Nel mio amore", opera prima dell'autrice di best sellers italiani, fa schifo, è inguardabile, è una melassa senza senso, senza neanche averlo visto. L'ho visto, invece, e posso dirlo: è molto peggio di quanto avrei mai potuto pensare, per pura teoria. Il film è irritante, per costruzione della storia e recitazione. E' un pappone di banalità didascaliche. Un documentario (con un'insistenza urticante per primi piani in stile coreano su fronde d'alberi autunnali, spiegabili solo con la passione della Tamaro per la botanica) su un'idea di francescanesimo moderno, buono da distribuire nei negozi delle Edizioni Paoline. Le reazioni in sala, anche da parte di illustri critici che (visto l'editore della Tamaro, la sua sponsorizzazione ufficiale da parte della Comunità di Sant'Egidio, ecc) scriveranno molto probabilmente il contrario, erano di sconforto, fastidio, noia, stupore per l'assurdità di scene, situazioni, dialoghi. Insomma, è un film inutile, assurdo, ridicolo, mortale. Ancora stamattina mi chiedevo come fosse possibile non solo produrre qualcosa del genere (che Fulvio Lucisano abbia avuto un'illuminazione sulla via di Cinecittà, è ormai certo), ma pensarlo e realizzarlo. Ho trovato la risposta qualche ora fa, in questo articolo del Resto del Carlino. Vi si annuncia, tra l'altro, che quasi sicuramente il Papa vedrà il film (povero, è già messo così male...), ma soprattutto si spiegano le origini, come dire, mistiche dell'impresa: L'esordio dietro alla macchina da presa, ammette la Tamaro, è stato 'terrorizzante. Avevo paura soprattutto di non reggere i ritmi del set, profondamente diversi da quelli di uno scrittore. Sono partita con una valigia di integratori alimentari facendomi fermare alla dogana dall'antidroga che ha voluto controllare tutte le pasticche che prendevo».
10.9.04
Son quaranta...... e son contento di dimostrarli tutti. L'ho detto anche alla mia mamma, ieri sera, al telefono, quando mi ha avvertito di avermi spedito un "piccolo bonifico" per il mio compleanno. Le ho risposto che non avrebbe dovuto: il suo regalo, me lo aveva già fatto il 10 settembre di quarant'anni fa, mettendomi al mondo. E' il regalo al quale Ramòn Sampedro, il protagonista di Mare dentro interpretato magistralmente da Javier Bardem, vuole rimanere legato per sempre scegliendo di morire per porre fine allo strazio di una vita senza dignità, tetraplegico e inchiodato per 28 anni in un letto, e per conservare fino all'estremo la sua libertà. Un film molto intenso, commovente, positivo.
9.9.04
A Milano, a MilanoNon si è ancora sopita l'eco per i Giochi di Atene, che il Corriere della Sera, sabato 4 settembre, pubblica un'intera pagina in Cronaca di Milano con questo titolo: "Subito una grande alleanza per le Olimpiadi a Milano" Mi sembra fin troppo chiaro che l'idea sia solo una buona trovata per le prossime elezioni, lanciando un sasso che potrebbe ricadere solo nel 2016 (quindi a tre legislature di distanza). Non a caso, all'interno del lungo servizio Giangiacomo Schiavi ha raccolto solo adesioni entusiastiche e banalità impressionanti in puro politichese, da destra a sinistra, compresa quella di Nando Dalla Chiesa, definito non so perché "prudente": "L'occasione è importante per attirare i finanziamenti utili alle infrastrutture, come hanno già fatto Genova e Roma con G8 e Giubileo". E non a caso, dell'iniziativa parla solo il governatore della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, mentre non c'è traccia del sindaco della città, Gabriele Albertini. No, non può che essere una boutade promozionale. L'esperienza di Atene ha dimostrato che una città come Milano mai e poi mai potrà ospitare i Giochi olimpici. Gli ostacoli sono diversi: istituzionali, strutturali, politici e, come sintesi dei precedenti, logici. Atene ha compiuto un vero e proprio miracolo, concludendo negli ultimi quattro mesi opere che per tre anni hanno rappresentato la preoccupazione maggiore per il Cio. Alla fine del 2002, il presidente Rogge ha dovuto ricorrere al cartellino giallo e alle minacce di trasferire altrove (dove, poi, non si sa) i Giochi se non fosse stato dato un vero determinante impulso ai lavori. Il risultato è stato straordinario, fors'anche troppo, in linea con le manie di grandezza di Gianna Angelopoulos-Daskalaki, la regina del Comitato organizzatore. Ma oggi Atene ha una quantità di impianti sportivi, di spazi espositivi, di centri da utilizzare per l'organizzazione di eventi di ogni genere, unica in Europa. Ha realizzato strutture, la cui capienza varia da 5000 a 8000 posti, alll'avanguardia nel mondo per funzionalità e capacità ricettive. Il bilancio finale è di oltre 35 impianti, fra quelli di nuova costruzione e quelli derivati dal trasferimento d'uso di vecchie strutture (come gli hangar del vecchio aeroporto nazionale). Il miracolo è stato reso possibile dal fatto che Atene partisse da zero, o comunque da una situazione sulla quale si sarebbe potuto solo implementare uno sviluppo positivo. Il primo vero piano urbanistico della città risale al 1981: ha dato un senso al futuro, rinunciando per principio a ottimizzare il passato. Il sistema viario risale a molto prima e il traffico su gomma è stato l'unico sistema di trasporto in città fino a quando il Cio ha assegnato l'organizzazione dei Giochi, avviando così la costruzione dal nulla di tram e treno leggero e l'allungamento di due linee di metro che servivano quasi esclusivamente il centro. L'estensione della città è tale, che è stato possibile localizzare facilmente grandi aree inutilizzate nelle quali realizzare tanti impianti nuovi e collegarle con una tangenziale costruita nel giro di due anni Tutto questo è l'opposto di Milano che non solo ha un sistema di infrastrutture già molto complesso e non facile da sviluppare, ma soprattuto non ha impianti di livello olimpico e non ha fatto nulla negli ultimi venti anni per dotarsene. Scrive Schiavi nell'articolo del Corriere: Anche il palazzetto dello sport, crollato sotto il peso della neve nell'85 e mai più ricostruito, è il segno di un'inerzia da rimuovere. Non c'è uno stadio per l'atletica, servono le piscine olimpiche, bisogna trovare le arene per pallavolo, basket e ginnastica. Solo l'Idroscalo è all'altezza di un torneo olimpico. Poi ci sono i villaggi, i centri stampa e tv, gli alberghi. Ecco il punto. Memore dell'esperienza di Atene, il Cio ha stabilito che, dopo Pechino, assegnerà l'Olimpiade estiva solo a città che abbiano tutti gli impianti necessari già disponibili al momento della decisione finale. Quindi, se l'obiettivo è il 2016, entro luglio 2009 Milano dovrebbe già aver chiuso i cantieri. Di recente, Il Cio ha anche dato un ultimatum a Torino, perché entro la fine di settembre presenti il piano completo della disponibilità degli alloggi per la famiglia olimpica e i media per l'Olimpiade invernale. Ma, a proposito di Torino '06, non so da chi riuscirà a farsi sentire d'ora in poi, visto il marasma politico dal quale il Toroc (il Comitato organizzatore locale) è già travolto. La Stampa di ieri titolava "Battaglia d'autuno sulle Olimpiadi", annunciando il possibile siluramento di Valentino Castellani dall'incarico di presidente e la sua sostituzione con Franco Carraro, prossimo a lasciare l'incarico della Federcalcio. Ad Atene, su pressione di Rogge, il governo ha dovuto chiamare in tutta fretta la Angelopoulos perché prendesse il posto di un amico dell'ex premier Simitis alla presidenza dell'Athoc. Con tutte le critiche che si potranno rivolgerle, è indubbio che i risultati del lavoro di Nostra Signora dei Giochi sono stati straordinari. In Italia, potrebbe mai accadere qualcosa di simile? Certo, per le elezioni si potrebbe far tutto. Anche vendere al popolo l'Olimpiade come un'occasione, un'opportunità. Non del tutto a torto: lo si comprende dalla dichiarazione di Formigoni contenuta nel titolo del servizio del Corriere, una contraddizione in termini. La città torna così tanto a credere in se stessa, da aver bisogno di un obiettivo faraonico e impossibile per muoversi davvero, per realizzare qualcosa di nuovo socialmente utile per i suoi abitanti, in termini di servizi e infrastrutture, oltre ai grattacieli e ai nuovi poli fieristici. Per vivere e far vivere, dunque, e non solo per produrre.
|
Scrivere per la rete
Leggere per se stessi Il weblog
di
Carlo Annese
![]()
Luglio '02
Agosto '02 Settembre '02 Ottobre '02 Novembre '02 Dicembre '02 Gennaio '03 Febbraio '03 Marzo '03 Aprile '03 Maggio '03 Giugno '03 Luglio '03 Agosto '03 Settembre '03 Ottobre '03 Novembre '03 Dicembre '03 Gennaio '04 Febbraio '04 Marzo '04 Aprile '04 Maggio '04 Giugno '04 Luglio '04 Agosto '04 Settembre '04 Ottobre '04 Novembre '04 Dicembre '04 Gennaio '05 Febbraio '05 Marzo '05 Aprile '05 Maggio '05 Giugno '05 Luglio '05 Agosto '05 Settembre '05 Ottobre '05 Novembre '05 Dicembre '05 Gennaio '06 Febbraio '06 Marzo '06 Aprile '06 Maggio '06 Giugno '06 Luglio '06 Agosto '06 Settembre '06 Ottobre '06 Novembre '06 Dicembre '06 Gennaio '07 Febbraio '07 Marzo '07 Aprile '07 Maggio '07 Giugno '07 Luglio '07 Agosto '07 Settembre '07
|