Elaborazione grafica di Guido Nestola

28.12.03

Sottotraccia

Ho visto due film delicatissimi: Lost in translation e Da quando Otar è partito. Forse non del tutto a caso, due film diretti da donne e con donne intense protagoniste.

Delicati per i temi trattati, uno dei quali comune e molto intenso: l'amore silenzioso, sottotraccia, che non ha bisogno d'essere gridato, sbandierato, e per ciò svilito, poiché esiste e ha senso per questo; l'amore non detto ma pieno di intesa naturale, quasi ineluttabile, fra i due protagonisti del film di Sofia Coppola che si incontrano a Tokyo e quello caparbio e muto della madre di Otar (interpretata in maniera strepitosa) nella pellicola di Julie Bertuccelli.

E delicati soprattutto per il tono, il modo, la forma. La scelta del silenzio, appunto, del volume basso dei sentimenti e del vivere quotidiano, dei sogni eterni e delle svolte improvvise. Per questo, mi ha stupito molto Lost in translation: abituato ai boati di tanto cinema americano, ho stentato a individuare subito la misura corta, accorta, contenuta di questo film; ho dovuto assorbirlo, farlo finire a mia volta sottopelle per accorgermi della diversità del suo linguaggio.

Dell'altro, invece, mi ha colpito la somiglianza di un secondo tema di fondo con quello di un altro film che mi era piaciuto moltissimo: Goodbye Lenin. Il cinema dei nipotini dell'ex Urss è pieno di ironia nostalgica per uno ieri che evidentemente non è ancora stato rimosso dalle coscienze di molti: lo dimostra il fatto che la menzogna, prima politica e culturale, oggi persista alla base dei rapporti personali e incida su rapporti, affetti e sentimenti tanto profondi come quelli familiari.

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26.12.03

Sponsor


Per chi vuol passare un Capodanno diverso, Radio France International sostiene il Festival Tuareg di Essauk, un'antica località del Mali.

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Tim informa

Ho trascorso quasi tutto il pomeriggio del 25 spippolando sulla tastiera del cellulare: inviavo auguri e rispondevo a quelli ricevuti; abbracciavo virtualmente e sorridevo in silenzio. Non mi è sembrata una gran bella figura. Mi sono sentito uno di quei ragazzini che entrano nello scompartimento del metrò, si siedono, si rialzano alla fermata successiva tenendo lo sguardo fisso sull'apparecchietto, muovendo i ditini con una velocità impressionante e non badando a null'altro che a quello.

Oggi l'Ansa scrive che sono stati scambiati 600 milioni di auguri via sms. Venti milioni gli mms, quadruplicati rispetto al 2002. La figura mi sembra sempre peggiore.

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17.12.03

Il NYT sulle Ali

Cominciano le classifiche di fine anno. Il New York Times si porta avanti e nomina i libri del 2003: 4 romanzi, un'autobiografia, due biografie, uno di storia e un volume di reportage. Tra questi, anche Brick Lane, tradotto in Italia come Sette mari Tredici fiumi, di Monica Ali. L'ho in lettura da un mese e confesso la mia fatica: testo impegnativo, pieno, tutt'affatto facile.

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Solo Misha

Adoro Mikhail Baryshnikov e il suo geniale basso profilo, lui che è stato una leggenda del balletto classico, nella ricerca di nuovi spazi, nuovi linguaggi, nuove frontiere per la danza contemporanea. Mi piacerebbe moltissimo essere a Londra, fra il 17 e il 22 febbraio, per assistere al suo nuovo spettacolo su musiche per pianoforte solo eseguite dal vivo.

In attesa di sapere se mai ci riuscirò, mi consolo navigando nel sito del Barbican, dove lo spettacolo andrà in scena: semplice, colorato, di impatto per l'applicazione di alcuni concetti di vita ordinaria alla tecnologia (i link ai vari settori di attività si evidenziano come fossero cassetti, ecc.). Un esempio originale e interessante di usabilità.

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16.12.03

Ma quello non era...?

Ho sentito la notizia in tv, domenica mattina, e ho sentito l'impulso di telefonare. Non so bene perché, ma l'arresto di Saddam Hussein mi trasmetteva qualcosa a metà fra l'euforia e l'angoscia. E' successo, ho pensato, ma adesso che cosa succederà?

La risposta, l'ho sentita alla radio nel pomeriggio. "Considerate le circostanze dell'arresto, l'intelligence americana è convinta che il raìs non fosse a capo della guerriglia irachena che negli ultimi mesi ha fatto circa 500 vittime militari". Ah beh, se lo dice l'intelligence...

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Stimolatori d'esperienze

Non vorrei far diventare architetti e designer dei filosofi assoluti dei tempi moderni. Ma è indubbio che alcune affermazioni che arrivano da quell'ambito mi colpiscano molto. Stefan Sagmeister, leggo su "D" di Repubblica del 22 novembre, è uno dei più quotati art director/designer al mondo.

A prescindere dal fatto che, dopo aver ideato le copertine dei cd di alcuni dei più importanti musiciti, "a un certo punto si è stufato, e si è preso un anno di vacanza" (uno dei sogni impossibili della mia vita), Sagmeister colpisce il bersaglio con questa risposta, in apparenza assai banale:
Consideri la grafica una forma d'arte?
E' una questione di cui non mi preoccupo. La mia definizione preferita di arte è di Brian Eno, che definisce le opere d'arte non oggetti ma "stimolatori di esperienze". Si può avere un'esperienza di tipo artistico guardando Rembrandt, Andres Serrano o un volantino. Dipende dall'osservatore

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Showman

Il Times è quel quotidiano di estrazione stalinista che, attirandole con rubriche frivole come quella per nulla popolare sul giardinaggio, obnubila le menti delle povere massaie britanniche. Leggete come ha approfittato sabato scorso della loro ottima Fede descrivendo il tentativo del luminoso premier italiano di trovare una mediazione sulla Costituzione europea:
Silvio Berlusconi, the showman who is PM of Italy, had a cunning plane to break the deadlock in the constitutional talks that will shape the future of the EU, whose presidency his country now holds.
As the talks faced collapse he swung his arms wildly, and declared to the assembly leaders of Europe: "Let's talk about football or women". It was not a suggestion that impressed the seven female foreign ministers and one female head of state who where sitting around the lunch table.
"Political correctness is not Silvio's strong point", a diplomated noted.
(..) Signor Berlusconi, who has cancelled many recent meetings because of stomach problems, impressed diplomats not just with his health but with his winter suntan".

Il titolo dell'articolo, firmato da Anthony Browne (in Brussels), è Lets talk about women, says joker Berlusconi.

Una parola sola: comunisti!

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13.12.03

La luna in tv

A volte, le passioni si trasformano in ossessioni. Si può desiderare di cambiare città, Paese o continente per stare vicini alla donna che si ama; si può arrivare a vedere 14 volte un film e ripetere ogni volta i dialoghi con emozione invariata; si può sentire per anni un musicista solo in cd e, quando si riesce ad ascoltarlo dal vivo, perdersi perfino davanti ai suoi silenzi. Si può aver visto uno spettacolo già tre volte ed esultare all'idea di poterlo registrare in tv.

Ecco, quest'ultimo è il caso di Guarda che luna, liberamente ispirato alle canzoni e alla storia di Fred Buscaglione, messo in scena da un'idea di Gianmaria Testa e Giorgio Gallione, con la partecipazione di alcuni dei nomi più importanti della scena jazz, come Enrico Rava, Stefano Bollani, Enzo Pietropaoli e Piero Ponzo (con la Banda Osiris), che sarà proposto questa notte alle 0.45 su Rai 2 in Palcoscenico (la scorsa settimana è stata la volta di Fabbrica di Ascanio Celestini: strano che la televeisione alternativa alla mediocrità sia trasmessa a certe ore, vero?!). Bello, in una parola, con un paio di chicche straordinarie: l'imitazione di Johnny Dorelli da parte di uno scatenato Bollani e una meravigliosa rilettura "a cappella" della Mariagioàna, una canzone folk-popolare della tradizione piemontese.

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10.12.03

Leggende globali

I pitbull, i fidanzatini di Novi Ligure, l'omicidio di Cogne, i fari accesi in autostrada. Adesso è la volta dell'acqua minerale manomessa. Avanti il prossimo. Carlo e Paolo ci riflettono sopra usando la metafora del file che si trasferisce nel cestino ma in realtà non viene cancellato. Il fatto è che andiamo a ondate (nella prima persona plurale ci metto tutti: la stampa, i lettori e chi ha bisogno di far scivolare quelle ondate sulla battigia delle vite comuni) e che tali ondate si sono sempre più brevi.

C'è chi, a distanza di un ventennio, ha fatto una cultura del trash degli Anni 60 e poi dei Settanta (Labranca docet). Oggi per archiviare il caso dei pitbull nella nostra memoria ideale bastano solo venti giorni. O appena qualcosa in più.

Per esempio, chi ricorda più la storia delle lastre di ghiaccio che piovevano dal cielo? Chi lo ricorda, risponda al seguente quiz:
  • A quale anno risale il caso?
  • Per quanto tempo se ne parlò?
  • A che cosa furono attribuite le lastre?
  • In realtà, qual era la causa accertata?

Indicate la soluzione nei commenti. Se la conoscete.

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La blogreview dei ristoranti

L'idea, lanciata da Mantellini, rilanciata da Tribook e approvata da 5-6 blogger, c'è ma stenta ad andare avanti. Mi sono chiesto se fosse per pigrizia, per timidezza, per il fatto che il pentalogo di Mafe fosse troppo rigido. Poi mi sono imbattuto in queste affermazioni di Folco Portinari, ottuagenario critico letterario e gastronomico, sull'ultimo numero di Slow dedicato al mangiar male, e ho cominciato a capire:
Mi è accaduto di mangiar male? Certamente sì, però nei ristoranti più che in casa mia, e con un dettaglio non trascurabile: ho mangiato male soprattutto in ristoranti di gran fama, stando almeno alle stelle e ai ventesimi, tant'è che spesso dubito che i guidaroli amino mangiar bene.


Il gusto è troppo personale e, proprio per questo, la possibilità di condividerlo con altri contiene una quantità di rischio enorme. Il rischio di sbagliare, ma anche di appiattire la scelta, di rendere tutto inautentico, banale ma proprio per questo buono (come dal titolo di un altro articolo pubblicato sulla stessa rivista di Slow Food a firma di Antonio Attorre).

La mia proposta è quella di diventare, noi blogger interessati, dei talent scout. La blogreview dei ristoranti potrebbe essere un luogo di scoperte e di letteratura della nuova enogastronomia italiana, nel quale non solo descrivere l'illuminazione, lo spazio e l'acustica ma anche le storie di chi in questi locali ha deciso di investire personalmente ed economicamente. Qualcosa di diverso, insomma, dalle ormai innumerevoli guide tutte identiche che si differenziano l'una dall'altra esclusivamente per il simbolo scelto (i bicchieri, i gamberi, le stelle, le bottiglie, i tappi, ecc.), trasformando la tavola in un immenso Villaggio Valtur nel quale si paga con le margheritine di plastica.

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Reporter di pace

Vignetta di Vauro, tratta da peacereporter.netEmergency e Misna (l'agenzia dei missionari fondata nel 1997) ha avviato da qualche giorno Peacereporter, un quotidiano online (dalla testata volutamente speranzosa) che fa anche da agenzia di stampa internazionale sulle zone di guerra, in prevalenza dal Sud del mondo.

La notizia del giorno è che l'"Operazione valanga" di quei santiuomini degli americani in Afghanistan si sta trasformando in una carneficina di bambini: dopo i 9 uccisi "per sbaglio" sabato in un raid aereo, altri sei piccoli cadaveri sono stati trovati sotto le macerie di un palazzo bombardato dai caccia Usa nei pressi della città di Gardez..

Di spalla, fra le rubriche anche una che mi toglie il fiato: quella delle Guerre in corso. Considerati anche alcuni conflitti interni (nei Paesi Basco e in Irlanda del Nord), i teatri censiti da Warnews sono quaranta. Quando il giornalismo è costretto a diventare tragica contabilità.

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9.12.03

Padri, madri e figli

C'è tutto nel Ritorno, il film che ha vinto il Leone d'oro alla Biennale di quest'anno. Il rapporto tra padri e figli; la ricerca eterna spesso inutile e la sua "sublimazione" mediante la morte; il sogno; il viaggio; il thriller; una Russia sconosciuta di struggente bellezza; perfino l'illusione che la storia non sia altro che un pretesto psicanalitico, al pari dell'ambientazione in paesaggi marini (il mare è madre, il padre è fiume). Il tutto condito da alcune citazioni dotte, fra le quali l'inquadratura del sonno del padre appena tornato a casa (dopo 12 anni di assenza) presa dai piedi, come il Cristo morto di Mantegna. Sono tifoso del cinema italiano, ma di fronte a un film capace di un messaggio così profondo e universale, non ho dubbi nel dire che Buongiorno notte di Bellocchio non avrebbe meritato di stare sullo stesso piano di questa opera prima di Zvyagintsev.

Agli aspetti psicanalitici, ho ripensato leggendo un'intervista con Fabio Novembre, giovane architetto leccese considerato la nuova stella del design internazionale, su Carnet di novembre. Novembre si dichiara tra gli ultimi "paladini della tridimensionalità, in un mondo che si avvia verso una totale bidimensionalità. In un mondo che si smaterializza, gli architetti sono rimasti i crociati della terza dimensione". Poi spiega:
Per me l'ispirazione in architettura viene dal corpo di una donna, che rappresenta il mistero dell'infinito. Per me, l'architettura è femmina: quando progetto mi immagino di seguirne le forme, di addentrarmi nelle anse. Forse mi vedo ancora nel ventre materno, mi immagino a esplorare il corpo della mia ragazza. Per me, l'architettura è veramente addentrarsi in uno spazio sconosciuto. E' scoperta, meraviglia, gioia e amore.

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Fuori dal coro

Mi fa piacere che questo blog sia nato con lo stesso nome di questa compagnia di Teatro di strada:
"Fuori dal Coro Teatro cabaret - Milano
'Fuori dal Coro' è un'associazione culturale di Milano con un proprio spazio di produzione ' Spazio TeaTrio', a cui collabora anche l'associazione culturale La Locomotiva. Da novembre a giugno vi si esibiscono compagnie teatrali e comici provenienti da tutta Italia e vi ha sede una scuola di recitazione triennale.In questi ultimi anni di attività l'attenzione di ' Fuori dal Coro' si è rivolta verso un teatro contemporaneo e di impegno sociale. Ne sono esempio le ultime due produzioni ' ITAVIA 876', dedicato alla strage di Ustica, ed 'EMIGRANTI', di S. Mrozek, ma anche lo spettacolo di strada 'INGRESSO NEL VUOTO' , ispirato a un gioco scenico di Peter Handke. Direttore artistico e regista è Cesare Gallarini."

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4.12.03

Plink

Davide non ha bisogno che io segnali i suoi scritti. Ma lo faccio ugualmente, perché trovo questo post sulla Destra sociale, Mussolini e l'Agro Pontino strepitoso. Come L'Amaca, sullo stesso tema del fascismo permanente italiano (e sottolineo permanente, non di ritorno), di Michele Serra su Repubblica di martedì.

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Milano

Caro Beppe,

non avrei saputo descrivere meglio di quanto abbia fatto tu la desolazione di una città senza volto ma con tante false ambizioni, una Milano che già oltre l'ingresso del terzo millennio mi ricorda tanto una città del Sud nella quale sono nato agli sgoccioli del precedente.
Ti racconto questa. La sera della paralisi dei trasporti rientravo a casa, non molto lontano dal centro asfissiato dai gas di scarico e illuminato a giorno dalle insegne natalizie. Alle 20.30, una trentina di strade erano al buio: accadeva lo stesso ogni settimana, all'inizio degli Anni 70, in un quartiere sul porto; i miei genitori telefonavano all'Enel per lamentarsene e solo dopo un paio di giorni la rete veniva ripristinata, avendo consentito nel frattempo ai ladri di far sparire macchine, motorini, autoradio, del tutto inosservati.

Anch'io, per il solo fatto di aver partecipato, mi sono riconosciuto con piacere fra quei duecento ex di qualcosa che rumoreggiavano davanti alla sede Rai di Milano. Ma pure in questo caso, non avrei trovato modo migliore del tuo per descrivere il senso della mia cronaca semiseria della serata. Nei commenti alla tua lettera, scrivi:
Non abbiamo ancora trovato un timoniere, putroppo. Siamo in "tanti,senza"

Ecco, il problema è proprio questo. Anche di fronte alla partecipazione, si trova il modo di arenarsi, per mancanza di rappresentanza politica, a cui certo Agnoletto non può (e non deve, a mio avviso) rimediare. Leggevo l'altro giorno della candidatura di Penati per le elezioni del presidente della Provincia: m'è venuto il fiatone al cospetto della procedura che dovrà essere seguita perché la candidatura sia formalizzata presso la base; poi m'ha preso lo scoramento scorrendo le prime frasi di "cavalleria" del futuro candidato nei confronti dell'attuale presidente Colli che sarà il suo avversario alle urne.

Sì, scoramento. E un po' di imbarazzo: lo stesso che ho provato di fronte alle affermazioni di Franco Debenedetti sul Corriere della sera a proposito della debolezza dell'opposizione contro la Gasparri, sull'errore strategico di voler difendere l'esistente (la Rai servizio pubblico inalienabile) per difendere logiche politiche (lottizzazione, serbatoio di consensi, ecc) antiche e per ciò stesso perdenti. E dopo l'imbarazzo, mi è sorto un dubbio: per chi e per che cosa io e quei duecento "ex" eravamo lì?

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Girotondi

Eravamo in duecento, non di più. Bandiere della Cgil, di Di Pietro, dei Ds (una!). Età media 52, io alle soglie dei 40 ero tra i più giovani. In prevalenza donne. Avremmo dovuto portare ciascuno un lumino per vegliare la morte della libera informazione radiotelevisiva, ma l'abbiamo fatto in pochi. In tre volantinavano: per la Cgil, per un gruppo nipote dei marxisti-leninisti di una volta, un altro per non so chi. Non c'era un megafono, un microfono con amplificazione, qualcosa che desse il senso di una riflessione ad alta voce insomma. Lo slogan unico era: "Vergogna, vergogna". Un tizio con una chitarra provava a fare da sottofondo: una volta ha intonato "Bella ciao", ha provocato un fremito nella piccola folla da cui è partito un coro a bocca chiuso stile Madama Butterfly; altre due volte, non lo ha cagato più nessuno. Tra i manifestanti si aggirava una telecamera accompagnata da un lampada: l'ho vista accendersi davanti all'ingresso della sede Rai per inquadrare e intervistare Agnoletto, uno dei leader dei no global.

Ora, cosa c'entri Agnoletto con la legge Gasparri, non l'ho ancora capito. Ma il problema non è tanto questo. Quanto la sensazione di sbando, di inconsistenza politica e strutturale, di artigianalità totale del girotondo organizzato ieri sera in quattro e quattr'otto a Milano. Quell'artigianato che fa taaanto casa e taaanto chic: che fa taaanto sinistra in questa Italia berluscona. Dopo trentacinque-quaranta minuti di quel "Vergogna, vergogna" sempre meno convinto, un po' di signore e qualche altro ex compagno hanno mollato il colpo. Meglio un aperitivo nel locale di fronte, quello di Vasco Rossi dove danno il pane carasau da inzuppare nella salsa rosa. Sì, meglio.

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3.12.03

Tutti giù per terra per la Gasparri

Ho assistito ieri sera a quel papocchio di trasmissione che è Ballarò sulla legge Gasparri appena approvata. Vi ho assistito con un crescendo di sentimenti: rabbia, costernazione, rassegnazione, amarezza. Mai che abbia ascoltato, nelle due ore di diretta, dagli uomini dell'opposizione non tanto qualcosa che fosse di sinistra ma che almeno replicasse con la verità semplice di fatti incontrovertibili alle spocchiose e arroganti affermazioni ad arte della maggioranza. Il solo professor Sartori ha provato ad argomentare qualcosa che fosse minimamente logico, salvo sentir dire l'onorevole Nania (CdL) al conduttore Floris quasi fuori onda: "Non insistere con Sartori, poveretto, che non conosce la legge".

Per chi avesse ancora una dose sufficiente di indignazione, l'appuntamento è fra poche ore in molte città d'Italia (fra le 17.30 e le 19), con girotondi, presidi, manifestazioni contro la censura. Chissà che non si dica finalmente qualcosa di sinistra.
Il sito di riferimento è questo. Per brevità, rilancio qui il calendario:

Roma
alle ore 14,30 a piazza San Macuto
a vigilare sulla Commissione di vigilanza della RAI riunita per dirimere il caso RAIOT
e alle ore 18,30 a piazza del Pantheon insieme a Sabina Guzzanti a protestare contro l’approvazione al Senato della legge Gasparri

Bari
NON CENSURE…RAI, MA NEMMENO GASPAR…RAI !!
Presidio per la libertà d’informazione, contro ogni censura,
contro la Legge Gasparri
18,30 dinanzi alla sede Rai di Bari in via Dalmazia
A cura del Gruppo Oltre il girotondo

Bologna
GIROTONDI per la DEMOCRAZIA e MOVIMENTI EMILIA ROMAGNA Gruppo 2 Febbraio BO - Nuova Giustizia e libertà BO - Giustizia e Costituzione BO - ARCI BO - Il Pane e le Rose FE - Prendiamo la Parola Girotondi PR - Girotondi RA - Emergenza Legalità RA - Chi ci sta ci sta RE
Invitano tutti a Palazzo Re Enzo (p.zza Maggiore) alle 17.30 nel momento in cui arriverà il Ministro Gasparri, con il telecomando in mano per tentare di SPEGNERLO!!! (dovevamo pensarci prima)

Firenze
GIORNATA NAZIONALE
Per un'informazione libera e pluralista protestiamo
CONTRO LA LEGGE GASPARRI
contro la censura del programma Raiot
PRESIDIO PER LA DEMOCRAZIA
ORE 17 PIAZZA DELLA STAZIONE FERROVIARIA DI S. M. NOVELLA
concentramento lato pensilina Toraldo di Francia

Genova
Per l’ “Avvento” della libertà d’informazione!
alle ore 18.00 davanti alla Prefettura
Largo Eros Lanfranco - Via Roma
Comitato 16 Marzo Genovainpiazza, Forum Università-Salute,
Movimento Università Opinione.

Milano
Presidio alla Rai di Corso Sempione, 27
ore 18.30, contro la Legge Gasparri e per la libertà
di espressione ed il pluralismo dell'informazione
Partecipiamo insieme al funerale dell'informazione
portiamo un lumino alla sede RAI
Girotondi e Movimenti della Lombardia

Napoli
GIROTONDI PER LA DEMOCRAZIA DI NAPOLI
ore 19.00- Sede RAI di Napoli, Via Marconi 9
ADESSO BASTA

Palermo
Girotondi Palermo
Per rispondere alle censure Rai ed alle leggi 'del padrone'.
Mercoledì 3 saremo davanti alla sede della Rai di Palermo
in viale Strasburgo alle 15,30.

Pescara
dalle ore 18 PRESIDIO DAVANTI ALLA RAI Via Cesare Battisti 196
Partecipiamo insieme al funerale dell'informazione
portiamo un lumino di fronte alla sede della Rai
Promuovono: "GIROTONDI PER LA DEMOCRAZIA" di Pescara
Aderiscono: DS, Italia dei Valori, Margherita, PDCI, Rifondazione Comunista, SDI, UDEUR, Verdi.

Torino
I Girotondi a Torino organizzano
Presidio alla sede RAI
Via Verdi 16 - ore 19.30

Trieste
Alle ore 17 i Girotondi FVG organizzano un presidio davanti alla sede
RAI del Friuli Venezia Giulia a Trieste , via Fabio Severo 7
per esprimere la totale contrarietà alla censura e alla Legge Gasparri.

Sono in preparazione iniziative anche a Cosenza, Ancona e Bolzano.


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Quiz

Un sentito ringraziamento alle migliaia di persone che hanno partecipato al quiz lanciato lunedì notte. Purtroppo, sembrerà incredibile, nessuna di queste ha dato la risposta esatta. Il mensile che ha pubblicato il titolo più mortificante dell'anno è stato
CAPITAL

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1.12.03

Doctor Sax

Vibrafono e pianoforte, una combinazione molto originale ma proprio per questo molto piacevole. In particolare se, accanto al pianoforte di Mauro Grossi, al vibrafono c'è il genio di Andrea Dulbecco, che avevo sentito a Bologna in un concerto-brand con l'Orchestra d'archi italiana di Mario Brunello (per "brand" intendesi proprio, come nel marketing: Brunello ho la sensazione che abbia creato un proprio marchio, attraverso il quale vende quello che ha, non sempre di buona qualità): lo stesso che avevano eseguito la sera precedente a Milano e che sembrava un'idea unica sul rapporto tra musica e pittura!!

Li ho ascoltati al Teatro Dal Verme di Milano, con un centinaio di altre persone, una sessantina delle quali piacevolmente "deportate" dalla Conferenza mondiale sul clima, in corso a Milano. Numero ridotto, come ridotte erano la Sala Piccola - raccolta ma con una buona acustica - e la serata, comunque magica.

Grossi e Dulbecco hanno inciso un cd (Summer Suite) per la Splasc(h) Records, la casa discografica che aveva fatto conoscere Luca Flores, il pianista fiorentino protagonista della biografia scritta da Walter Veltroni.

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Razze vincenti

Per una volta, vado oltre i commenti. E propongo un quiz. Sì, un quiz! Chi mi sa dire quale magazine italiano ha pubblicato nel numero di novembre '03 questo titolo?
Quella puledra di Sabrina Ferilli
Perché? I suoi potenti pettorali ricordano Ribot. Come gli abiti attillati di Alba Parrietti i garretti di una giumenta francese. E l'incedere di Anna Falchi quello di Roquepine. Sono i risultati dell'analisi comparata di un chirurgo estetico. Che conosce molto bene le donne. E ama i cavalli

Cattivo gusto porno soft? Marketing redazionalmente corretto? Non so, io lo trovo semplicemente uno dei titoli più volgari e mortificanti degli ultimi tempi, considerato anche il tipo di pubblicazione.
Come nei quiz veri, ho deciso di mettere in palio un premio. Chi avrà indovinato, vincerà un abbonamento annuale al magazine indicato. Le risposte devono arrivare via commento entro la mezzanotte di domani, martedì 2 dicembre. Affrettatevi!!

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Combattenti e reduci

Dal Times del 22 novembre: il Giappone ha inviato un gruppo di veterani di guerra e di negoziatori nelle Filippine alla ricerca di alcuni membri della storica Armata Imperiale che sarebbero ancora lì, convinti di combattere, a 60 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Adesso potrebbero avere 80 anni o forse più e vivere tra le montagne.

Già nel '74, una spedizione del governo giapponese trovò da quelle parti Michio Onoda, un ex luogotenente in seconda, che era sopravvissuto nella giungla. Onoda non aveva idea che la guerra fosse finita e, malgrado le richieste dei suoi familiari e degli emissari giapponesi, si rifiutò di arrendersi finché non gli fu ordinato dal suo ex ufficiale comandante, tornato a casa da tempo.

Nel '72, Shoichi Yokota era stato trovato a Guam, armato di una pistola artigianale: indossava vestiti ricavati da fibre della pianta di ibisco e raccontò che otto anni prima due suoi ex compagni erano morti di stenti.

Sarò fuori dal tempo, retorico o sentimentale, ma di queste storie mi impressiona la fedeltà eroica. Più che a un'ideale, all'adesione a un corpo, a un'istituzione, alla partecipazione a una missione. Ben diversa dalle nostalgie che riemergono in questi giorni (vedevo in tv, ad esempio, un servizio su Predappio e il commercio di memorabilia, tornati di attualità dopo le esternazioni israeliane di Fini) da parte di chi, nel frattempo, si è ripulito la coscienza (in apparenza), ha trovato la sua collocazione in società, si è adeguato al sistema e spolvera ogni tanto ricordi sgualciti se non inopportuni. Yokota o Onoda mi affascinano al punto che mi hanno fatto tornare in mente un brano che Giorgio Gaber e Sandro Luporini scrissero nel '76: I reduci, da Libertà obbligatoria. Ne cito il finale:
Ma il fatto di avere la coscienza che sei
nella merda più totale
è l'unica sostanziale differenza da un borghese normale.

E allora ci siamo sentiti insicuri e stravolti
come reduci laceri e stanchi, come inutili eroi
con le bende perdute per strada e le fasce sui volti
già a vent'anni siam qui a raccontare ai nipoti che noi...

Noi buttavamo tutto in aria e c'era un senso di vittoria
come se tenesse conto del coraggio, la Storia.

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28.11.03

Se non va in tv, non è vero

Ho appena promosso sul Blog Aggregator un post su una serata a teatro. Non ci avevo fatto caso altre volte, ma non esiste una categoria nella quale possa inserirlo. Esistono: Libri, riviste e giornali; Musica; Cinema e televisione; ma non un Cultura generico. Ho scelto Altro, ma poco convinto.

Comprendo la necessità di sintesi imposta dall tecnologia e lungi da me l'idea di imputare alcunché a Granieri e Valdemarin che sin dall'inizio dell'aggregatore hanno compiuto un'opera (ora e sempre) meritoria. Ma questo caso mi ha fatto tornare in testa una riflessione che avevo fatto qualche giorno fa a proposito di Raiot.

Leggendo della conferenza stampa, convocata al volo poche ore prima del debutto (quando la trasmissione era stata sospesa per la prima volta) all'Ambra Jovinelli, ho provato la sensazione che tutta l'operazione, al di là del valore della satira e del fatto che si trovi gradevole o meno la Guzzanti, fosse stata fatta per forzare la mano. Sì, insomma, anche per dimostrare preventivamente che la Rai avrebbe messo il bavaglio a prescindere, che la satira è legata; soprattutto che non esiste più alcuno spazio pubblico che accolga una voce d'opposizione al regime.

Il fatto è che ormai qualsiasi cosa o qualsiasi personaggio deve passare dalla televisione per dimostrare la propria esistenza. E anche chi apparentemente contesta questo ragionamento lo usa come strumento. E il teatro, mi chiedo? E tutti gli altri spazi di manifestazione del pensiero e della cultura, non contano? Non sono anche quelli spazi pubblici di aggregazione, di riflessione, di conoscenza, di pensiero (e della sua libertà)? Perché, chi vuole opporsi al potere della tv non la fa davvero, ma da fuori?

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I nipotini di Testori

Il fascino di Testori sta nell'evoluzione della sua complessità filosofica e drammaturgica, nella lingua ostica, nell'elaborazione di una morale profonda, viscerale, mai scontata. Se a questa complessità si prova ad aggiungerne altra, per un tentativo originale, il rischio di debordare è abbastanza grosso, benché sia garantito dall'adesione alle celebrazioni testoriane di quest'anno. Antonio Syxty ci ha provato con Rocco e i suoi fratelli, che ha debuttato qualche ora fa al Teatro Litta di Milano.

In effetti, il titolo più corretto sarebbe il sottotitolo: La commedia lombarda. Il Rocco e i suoi fratelli di Visconti, tratto dal Ponte della Ghisolfa, è un pretesto per mettere insieme brandelli tratti qua e là (da Nebbia al Giambellino, La Gilda del Mac Mahon, ecc.) e descrivere la Milano della fine degli Anni 50 che fa da sfondo al primo Testori, quello dei Segreti di Milano appunto. Pretesto riuscito, dal punto di vista della sceneggiatuta, nella prima parte, nella quale viene conservata e rispettata anche parte del metatesto narrativo di Testori; meno da quello della messa in scena, che risente proprio della disomogeneità dei materiali. Nella seconda parte, invece, emerge quasi esclusivamente la storia cinematografica, e l'inevitabile confronto con i fratelli di Visconti è poco proponibile e molto severo. Specie per Michel Altieri, il giovane protagonista cresciuto nei musical, la cui recitazione a scatti, monodimensionale, risulta di una scarsa credibilità a tratti imbarazzante.

Funziona decisamente meglio la scenografia che rappresenta una Milano di lamiera, rugginosa e livida, fiocamente illuminata e inquadrata quasi sempre dal retro (di una palestra, di una casa, di vite che si intrecciano), sullo sfondo di un'immagine di una fabbrica, citazione (forse non del tutto involontaria) di un Paesaggio industriale di Sironi (grazie, Susanna).

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22.11.03

Tutto molto bello

Bella gente, conversazioni animate, cazzeggio adeguato, corteggiamenti spinti, scambi di sguardi insistiti, alcol ottimo e distribuito con generosità. Insomma, non so voi, ma a me la BlogFest organizzata da Neri e signora è piaciuta assai. Soprattutto perché in pochissimi si sono rifugiati attorno ai computer collegati con Fastweb: tutti avevano voglia di umanità, di normalità, di rompere le barriere della timidezza, della diffidenza o della supponenza che le macchine fanno invece tenere sempre alte.

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21.11.03

Un fez sulla terra

La strage di Istanbul mi ha indotto a riaprire un bel libro che avevo preso qualche anno fa, spinto da due circostanze coincidenti: la mia passione per la Turchia e la splendida foto di copertina, tirata seppia, che l'immagine qui a fianco rende poco. Il titolo è A fez of the heart, è scritto da Jeremy Seal ed è un classico libro inglese di viaggio che nasce da una curiosità: la ricerca delle origini di un copricapo, il fez appunto, tipico della Turchia e poi dei motivi della sua scomparsa dall'abbigliamento tradizionale.

Seal ricostruisce la storia di quel cappello, importato dalla Tunisia nel 1826 dal Grande Ammiraglio Husrev Mehmed Pasha della Flotta imperiale ottomana e recato in dono al Sultano Abdul Hamid, chiamato Mahmud II, che cercava di occidentalizzare la tradizione musulmana, cominciando proprio dall'eliminazione dei turbanti. Mahmud II era mosso dall'educazione francese ricevuta dalla madre, una concubina proveniente dall'Africa nordorientale che aveva frequentato un harem reale. Ma il suo intento modernizzatore era stato frenato dagli uomini di culto che trovavano il fez contrario alle esigenze della fede: un'eventuale visiera, che si sarebbe potuta applicare per riparare dal sole, avrebbe impedito agli uomini di toccare il suolo con la fronte durante le preghiere. Per questo, uno dei problemi principali dei soldati turchi, perfino nella battaglia di Gallipoli, è sempre stato quello di essere esposti direttamente al sole.

Nella seconda metà degli Anni 20 dell'Ottocento, il fez fu imposto per decreto, ma in molti continuarono a indossare il turbante, che fu comunque consentito per legge agli uomini di culto. Il decreto riguardava quasi tutto il mondo islamico, poiché all'inizio dell'800 il Sultano era di fatto il Califfo, capo assoluto di tutti i Musulmani. Lo stesso simbolo dell'Islam, la mezzaluna crescente, deriva dalla leggenda di un re macedone che tentò di conquistare Costantinopoli (Bisanzio, a quel tempo) nel 340 a.C. ma non vi riuscì per l'opposizione di Ecate, dea della Luna, che si velò e negò al re la luce notturna necessaria per l'attacco. E qui, Seal scrive alcune considerazioni di stringente attualità:
Even in those distant origins lies two ideas which continue to stalk contemporary Islam: the enduring threat of, and the belief in divine protection, from, the Christian West.


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20.11.03

Il dolore dei luoghi

Ieri volevo scrivere di quanto fosse bella Istanbul. Ero lì per lavoro e ho fatto, da solo, un giro tra Santa Sofia, il Topkapi e la Moschea Blu a caccia di brochures di alberghetti nella zona del centro (ne ho trovati un paio deliziosi, in una via pedonale lastricata di selciato, quasi fuori dal tempo). La città era dolce come sempre, meno caotica del solito a causa del Ramadan, addirittura silenziosa nelle stradine che stanno alle spalle dei siti più importanti. Solita Polizia (poca), soliti "moschini" che propongono acquisti di ogni genere, a mezzogiorno e mezzo la cantilena amplificata dell'imam e una lunga fila di paia di scarpe davanti alla moschea che espone i resti e i copricapi di alcuni sultani. La Istanbul di sempre, insomma, la città della quale mi sono innamorato, anche se stavolta ho rinunciato al bagno turco, una mia tradizione nella tradizione generale.

Lo so, è stupido dirlo, ma nulla lasciava presagire le nuove esplosioni di oggi. Le uniche tracce del terrore, erano i titoli strillati delle prime pagine dei quotidiani che annunciavano: "Al Qaeda è uno di noi", dopo l'identificazione dei responsabili turchi degli attentati alle sinagoghe di qualche giorno fa. Non mi sento un sopravvissuto, anche se qualche radio e qualche giornale mi ha contattato pensando (o sperando) che stamattina fossi ancora in Turchia (il mio aereo è atterrato in Italia giusto mentre lì scoppiava l'inferno). Né ieri mattina mi sono sentito Indiana Jones passeggiando per la città: per quanto mi occupi di sport, so che il mio mestiere può portarmi in luoghi a rischio ma lo accetto con serenità.

Mi sento invece impotente di fronte a tutto questo. Di fronte a questa spirale che, sarà pure stata innescata dal delirio di onnipotenza, dagli interessi personali o dalle necessità politiche di qualcuno, ma ora nessuno vuole o riesce più a fermare. Di fronte al dolore che tutto questo sta provocando, agli uomini e ai luoghi.

Così impotente, che sento di dover fare qualcosa. Per me, scegliendo l'amore e mettendolo davanti a tutto. Ma soprattutto per gli altri, scegliendo la consapevolezza e mettendola davanti a tutto.

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18.11.03

Senza parole

BlogFest 2003: Io ci sarò!

Preso da raptus bloggandi di ritorno, ho chiesto il giorno libero per non mancare alla festa di venerdì. I blog sono persone, si diceva, prima che numeri. Ne ho conosciute alcune e molte ne apprezzo. Per questo, mi fa molto piacere partecipare.

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15.11.03

Sottoscrizioni

Segnalo due post con i quali sono totalmente d'accordo e che catalogo sotto la definizione di post politici, malgrado si occupino di temi profondamente diversi l'uno dall'altro.

Il primo è quello di Wu Ming 1, About Body Bags, pubblicato su Carmilla. Cito brevemente:
Io non sono certo contento che della gente crepi, ma va ricordato che questa guerra è stata costruita su balle colossali come le ADM, l'uranio dal Niger, le diapositive mostrate da Powell all'ONU, il dossier del governo inglese che in realtà era la tesina di uno studente, i legami mai dimostrati tra Saddam e Bin Laden etc. Man mano che tutti questi motivi si rivelavano fasulli, si spostava l'accento su qualcos'altro, "il cambio di regime" etc. Uno degli scopi ufficiali era "sconfiggere il terrorismo", e invece lo hanno attizzato. Inoltre, questa guerra è stata *fortissimamente voluta* contro la stragrande maggioranza delle opinioni pubbliche e contro gli organismi internazionali.


Il secondo è di Massimo Mantellini sulla reale diffusione dei blog, sull'importanza dei legami piccoli ma forti. Egli scrive, a chiusura:
Quello che volevo dire stasera e' che certamente poca gente legge questo blog ma io di queste poche persone sono contento come mai lo sono stato dai tempi lontani in cui ho cominciato a collegare un PC ad un modem a 14400 bps.


Ho scritto qualcosa di simile alcuni mesi fa. Ammetto, peraltro, che mi ha fatto molto piacere trovare tra i commenti e le email i segnali d'affetto di alcuni stretti frequentatori (Granieri, Lamanna, Mantellini stesso) non appena sono riapparso in rete. Oltre a questo, mi ha fatto quasi commuovere proprio quell'ultima frase sul modem a 14400 bps. Ricordo quando, quando, lavorando al mio primo (e unico) sito "istituzionale", nel 1996, impazzii per alcune settimane alla ricerca di visibilità. Feci il giro di tutti i Google esistenti allora per chiedere di fare un salto dalle mie parti: volevo numeri significativi per dare un senso a quel mio essere pioniere. Oggi mi sento quasi d'abbracciare idealmente quelle 45 persone che negli scorsi giorni sono passate a vedere questa paginetta, pur sapendo di correre il rischio di non trovare niente. Un modo di umanizzare le macchine e le loro tecnologie.

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14.11.03

Le Bucoliche

Letto e sentito poco di buono negli ultimi tempi. Letto soprattutto di piante, fiori e animali, appassionandomi all'Arboreto salvatico di Mario Rigoni Stern e agli scritti di Paolo Pejrone. Che sia anch'io vittima di quella specie di sindrome di cui scriveva lunedì scorso il Corriere Economia, a proposito della scelta di molti giovani manager italiani di rinunciare a correre per la carriera, per provare a preservare un minimo di qualità della vita? Forse sì.

I sintomi sono numerosi e non da oggi. Qualche tempo fa mi soffermavo sulla parola "gentile". E la stessa gentilezza trovo in questa chiusa di Pejrone alla sua rubrica Fiori e giardini pubblicata su Ttl de La Stampa il 18 ottobre:
Un consiglio a chi ama fare felici gli uccelli (e non soltanto...): perché non appoggiare una piccola vasca di pietra (o di cemento) con due dita d'acqua in qualche posto riparato e nello stesso tempo aperto? E' sufficiente l'altezza di una pozzanghera: in modo che possano, oltre che abbeverarsi facilmente, prendere il loro piccolo bagno. Nelle isole britanniche è usanza consolidata e diffusa; l'acqua delle loro frequenti piogge sopperisce ai doveri, da noi resi più gravosi, da costanti e frequenti "spruzzate". Spesso con molto poco si può fare tanto, anzi si può fare moltissimo.

Bucolico o gentile, in ogni caso, non significa distratto, disimpegnato. Solo leggero, disponibile a un moto pacifico dell'anima in un momento in cui la pace è una speranza lontana.
E pacifico non significa passivo o non combattivo. Al contrario, tanto più ora: con tutto ciò che sta accadendo, prendere le distanze e nascondersi in un giardino incantato sarebbe inaccettabile, oltre che impossibile.

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Essere o non essere?

Serendip mi sollecita dolcemente, Squonk propone regali di Natale, Gianluca Neri (quale onore!) mi invita alla Blogfest, Mitì Vigliero continua a tenermi nella sua lista di delizie. E io? Sì insomma, mi dispiace non esserci più. Così ho pensato: piuttosto poco, pochissimo, ma almeno qualcosa. Scelto, selezionato, quanto di più urgente.

Per chi fosse interessato alla psico-sociologia del blogger, la mia lunga assenza è ascrivibile a un'improvvisa deflagrazione di "fuffa interiore" che non mi sembrava il caso di condividere in pubblico. Insomma, il cuore ha ricominciato a battere e ho avuto (continuo ad averla e spero che continui a lungo così) la necessità di sentirlo da solo.

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21.10.03

New economy da bere

Per abitudine professionale, tendo a valutare la consistenza dei fenomeni sulla base di quanto e come ne scrivano i giornali. Da qualche settimana, la new economy è decisamente tornata di moda. Perché:
  • Liberation dedica le prime due pagine, titola "Internet, le marche repart" e fa spiegare al presidente del principale service provider francese, Christine Levet, la teoria lapalissiana che "troppe società sono state create in un'epoca in cui la gente non aveva le tecnologie necessarie"

  • Nicholas Negroponte ricomincia a pontificare sul Corriere Economia, questa volta sulla rivoluzione del wi-fi

  • Sulle pagine dei principali quotidiani politici, le case histories di Yahoo, Amazon ed Ebay sono portate a esempio della capacità di sopravvivenza delle sole grandi firme e grazie al ritorno ai tradizionali sistemi di gestione, in un mercato finito in crack (anzi krach, come scrivono i francesi!) per l'esistenza di troppi cani sciolti autonominatisi imprenditori e affidatisi di fatto a un sistema virtuale di finanziamenti

  • Entro metà novembre il quotidiano Punto.com tornerà in edicola, editato da una cooperativa di giornalisti


Tratto da www.denverpost.comPer ora, si cerca di controllare l'euforia, ma i primi segnali di entusiasmo eccessivo si avvertono. Forse, però, prima di stappare lo champagne, sarebbe bene ricominciare a bere ogni giorno un bicchiere di vino a tavola. La metafora mi è suggerita dall'ultima idea promozionale della Microsoft. A Denver, ha riunito 50 dei principali manager d'impresa per una degustazione di vini. A ciascuno, ha consegnato un tablet pc con la versione di Office 2003 che sta per essere messa in commercio, chiedendo loro di esprimere una valutazione sui vari bicchieri e farla apparire, via wi-fi, su un maxi schermo posto al centro del Cherry Hill Country Club dove si svolgeva l'incontro. Solo una trovata di buoni comunicatori?

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18.10.03

Le parole per dirlo

Qualche giorno fa, nei commenti, Alter ego mi ha onorato di una definizione molto lusinghiera. Ha scritto che trova spesso le mie argomentazioni "aristocratiche, intendendo pacate". Leggendo oggi le dichiarazioni di Ermanno Olmi in margine all'uscita del suo nuovo film "Cantando dietro i paraventi", ho trovato un altro aggettivo che mi piace in maniera particolare: gentile.
... volevo che fosse una favola gentile perché l'aggettivo "gentile" è, oggi, in tempi di guerra e di inquietudine, importante: se accetti un gesto gentile, devi deporre la spada, credere alla pace"

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14.10.03

Chiese tecnologiche

Scrivo da una delle postazioni della Mediateca di Santa Teresa, la biblioteca multimediale interattiva, per ora ad accesso gratuito, realizzata all'interno della Chiesa barocca di Santa Teresa in via Moscova, a Milano.
La struttura è bellissima, grandiosa, silente come una biblioteca e bianca come una chiesa ristrutturata. Si sviluppa su due piani, contiene un centinaio di banche dati, fra le quali un'emeroteca lombarda fra Otto e Novecento, e Alice sui libri in commercio; 4 postazioni di Teche Rai da cui è possibile vedere vecchie trammissioni tv; soprattutto un gran numero di workstation, anche queste a uso gratuito e illimitato, da cui è possibile connettersi a internet, assistiti da un paio di giovani tutor.

In questo momento, nel salone principale a piano terra (una grande sala a croce greca), siamo una ventina, di ogni tipo ed età e con i più diversi intenti: una ragazza consulta una banca dati bibliografica; un ragazzo tiene accanto a sé un tomo aperto circa a metà, un signore di mezza età al mio fianco cerca di scaricare un film da un sito di cortometraggi, un anziano distinto sta visionando le fotografie antiche del Fondo Sommariva, una ragazza ride leggendo una mail che le è appena stata inviata. Il tutto in un silenzio compreso e coinvolto.

Una sensazione strana mi pervade, una sorta di distacco della personalità, legata all'idea che il futuro possa prendere forma in un luogo così antico. E' come se mi accorgessi per la prima volta (lontano dalla mia abitudine quotidiana con la tecnologia) che tutto questo esiste per davvero. Che quel futuro non è affatto lontano e lo sto condividendo con altri.

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10.10.03

Statistiche

Cesarino a mamma ha fatto due conti e ha scoperto che le 4 banalità annunciate dal suo blog sono diventate 78.586. E via enumerando.

A me, però, hanno fatto effetto anche le cifre riportate in una ricerca di Perseus e sintetizzate in questo articolo, segnalato sulla newsletter Online-news:
  • Esistono 4.12 milioni di blog su 8 piattaforme
  • 2.72 milioni, pari al 66%, non sono stati aggiornati negli ultimi 2 mesi
  • 1.09 milioni non sono stati aggiornati dal primo giorno
  • La durata media di un blog abbandonato è di 126 giorni

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9.10.03

Respiri

Non riuscivo a capire come mai, non scrivendo più da alcuni giorni, il mio contatore di accessi segnalasse per oggi una lieve ma significativa impennata rispetto alla media. In effetti, ho scoperto che devo tanto successo a questo post di un blogger tifoso dell'Olimpia Milano, celebre squadra di basket.

Mi sembra che il link ai commenti del blog di Matteo non sia attivo. Gli ho quindi inviato questa email di risposta:

Ti ringrazio per la segnalazione. L'errore c'è, eccome, commesso per fretta e per troppa fiducia nella mia memoria corta. Me ne scuso.
La prossima volta, però, visto che sei così attento e puntuale, ti pregherei di citare correttamente gli articoli e non farne una tua interpretazione personale. Non mi pare di avere scritto:
un'infiammazione al ginocchio lo aveva fatto ricusare a Milano...

bensì
un'infiammazione al ginocchio lo aveva fatto ricusare da Milano...

Da un punto di vista grammaticale, c'è una notevole differenza. In questo modo, oltre che impreciso e fannullone, tu mi fai fare anche la figura dell'ignorante. Un po' troppo, non credi?
Carlo Annese


Ora, non so quanti giornalisti rispondano alle mail di lettori. Io, per abitudine, lo faccio. Matteo, peraltro, al di là delle considerazioni personali un po' superficiali e stereotipate sul mio mestiere, è rimasto entro i limiti della correttezza e della civiltà e mi sembrava tanto più opportuno farlo. Ora, però, vado a prendere un po' d'aria.

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Bambini cresciuti

Altre volte ho lanciato allarmi, richiesto indirettamente attenzioni e gratificazioni, minacciato, blandito. Volevo che il mio blog esistesse e superasse i momenti di difficoltà, stanchezza e pigrizia anche attraverso la prova dell'esistenza degli altri. Oggi mi rendo conto che non ho bisogno di niente di tutto questo: il distacco è, come dire, strutturale, forse inevitabile.

Fuori dal coro continua a vivere, perché vive dentro di me, perché è stata ed è un'esperienza importante nella mia ricerca delle diverse e moderne forme della comunicazione. Ma non mi sento più legato a esso in maniera morbosa, come accadeva qualche mese fa. Ho riscoperto il piacere della lettura: non per sottolineare qualcosa da analizzare o su cui riflettere o semplicemente da segnalare, ad alta voce; ma per la voce che dalle pagine si leva verso le mie orecchie interiori. Continuo a pensare, analizzare, valutare e considerare ma senza la preoccupazione di mettere da parte i fili per svolgerli appena mi fossi seduto davanti a un computer.

A volte mi manca, spesso però mi accorgo di quanto pensare/bloggando o bloggare/pensando abbia relativamente accorciato il mio respiro. Per respiro ampio, per esempio, intendo quello che si avverte leggendo i profili di sportivi che Emanuela Audisio, giornalista di Repubblica, ha raccolto in Bambini infiniti. Emanuela è una cara collega-amica con la quale ho condiviso olimpiadi e campionati del mondo: il mio giudizio, dunque, rischia di essere condizionato. Credo, però, che il suo modo di scrivere e di fare giornalismo sia originale, diverso, in qualche modo superiore, a prescindere dalla considerazione personale. E' il frutto di un lavor(i)o interiore, di letture e soprattutto di una capacità di visualizzazione delle persone e delle cose che non è facile realizzare e trovare. E che è necessario saper usare con equilibrio, senza sprechi.

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30.9.03

L'Inferno della curiosità

C'era un centinaio di persone anche stasera fuori da Santa Maria delle Grazie. Aspettavano che Vittorio Sermonti cominciasse la lettura dell'Inferno della Divina Commedia: secondo i calcoli, dovrebbe essere arrivato al canto XII. Io ho ascoltato il II: mi sono messo in fila, alle 20.20, quando la coda era già composta da alcune centinaia di persone; alle 20.30 sono entrato nella Basilica e ho trovato posto in terz'ultima fila.

Confesso di esserci andato anche per curiosità, per "respirare l'aria", per capire la logica sottesa al fenomeno. E il fatto che, appunto, anche oggi alcuni non abbiano trovato posto dentro la Chiesa indica che il fenomeno non era solo momentaneo, trendy, di pura immagine. Ho visto uomini e donne, anziani e giovani, con vecchie e nuove edizioni della Commedia, seguire passo per passo, sottolineare, annotare. Un paio di signori, per annullare l'eco delle navate, hanno letteralmente incollato le orecchie agli altoparlanti e annuivano. Uno ha passeggiato tutto il tempo, in mezzo alle file di sedie e banchi, fermandosi spesso a pochi passi da Sermonti e poi tornando indietro, braccia incrociate dietro la schiena, sguardo assorto, senza che nessuno gli facesse caso.

Dunque, non un fatto effimero, ma come ha scritto Paolo Di Stefano sul Corriere della sera del 17 settembre:
C'è voglia di fare uno sforzo per capire, purché ne valga la pena. C'è voglia di ammirazione per signori che stimiamo, perché hanno studiato, hanno riflettuto e la sanno più lunga di noi. Non perché ci impongano il loro pensiero, ma perché ce lo propongono.


C'è, insomma, la voglia di farsi stupire, di soddisfare la propria curiosità intellettuale con quell'entusiasmo magico e ammirato di cui parla Giuseppe Montesano in un racconto pubblicato sul sito di Feltrinelli che trovo affascinante nella sua semplicità infantile:
E so che è possibile sfuggire al dejà vu, ma solo attraverso un'arte del conoscere attraverso i sensi, un'arte che si impara come si impara a sentire e capire un buon vino: l'arte della curiosità. È lei che ci fa vagabondare da bambini tra le immagini di atlanti e enciclopedie, e ci mostra da adulti che nel mondo ci sono gli altri, i diversi da noi; è lei che ci concede di fare della vita una continua scoperta, di vedere le cose nella loro novità e di non affogare nella noia della ripetizione; ed è sempre lei che ci spinge alla passione per le differenze e agli incroci tra le culture. E che vita povera è quella che non conosce l'arte della curiosità!

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A reti unificate

tratta da www.mantellini.itHo ospiti a casa all'ora dell'aperitivo. Si chiacchiera, mentre scrivo le ultime righe. Attorno alle 20.40, usciamo per raggiungere un ristorante dove avevo prenotato un tavolo. La cena è discreta, plastificata, anonima e insapore, in perfetto stile milanese. Rientriamo e accendo la tv. In pochi minuti precipito nella normalità.

Seguo un dibattito a Porta a porta sul blackout. Si parla di tutto, senza che un partecipante risponda mai alle riserve del suo interlocutore. Il dialogo-tipo è il seguente:
D - Perché le mele costano 1000 lire al chilo?
R - Le pere sono raccolte in val Venosta.
D - Ma avevate detto che non avreste più sparso veleno sulle coltivazioni di fragole.
R - Falso, abbiamo comprato i camion per l'uva.

Poi un Costanzo Show sul blackout, gli anziani morti in estate, gli eremiti che raccolgono i cartoni per strada e non se ne fregano dell'elettricità.

Infine, scopro che il presidente del Consiglio ha parlato alla nazione, a reti unificate, per illustrare la riforma delle pensioni che non ha ancora illustrato ai sindacati. E ha chiesto che la gente continui a votarlo, perchè lo Stato non potrà garantire le pensioni e non importa se due anni e mezzo fa si è fatto eleggere promettendo più pensioni per tutti.
A reti unificate! La cosa che mi turba non è tanto che l'abbia fatto mentre ero a cena, in fondo ci può stare. Ma che nel frattempo non abbia detto una sola parola, magari anche a radio spente, su un Pase lasciato al buio per 12 ore.

Sono questi i momenti in cui mi chiedo perché devo rientrare ogni volta da un viaggio di lavoro.

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27.9.03

Buongiorno, notte

Appena rientrato in Italia, ho voluto vedere subito Buongiorno, notte - il film di Marco Bellocchio sul caso Moro. In pochi giorni, ho raccolto tutto quello che mi interessava leggere sull'argomento, da Venezia in poi, e sono partito per il cinema con un sentimento strano, controverso.

Speravo, da un lato, che il film placasse le polemiche scatenate più o meno ad arte, anche (come spesso accade) da parte di chi non ha neanche fatto come me, ma ha giudicato per sentito dire. Dall'altro, ero in qualche maniera rassegnato al fallimento, all'idea cioé di dover ammettere che le velleità di Bellocchio fossero superiori alla resa. Il risultato si è stabilito a metà fra l'una e l'altra condizione. Diciamo pure: tendente al bello. Per un motivo semplice: perché era un film di Bellocchio. Bastava tenerne conto per non crearsi false illusioni e per accettare la sua arte per quella che è.

C'erano le emozioni, i sogni soprattutto. Bellocchio ha compiuto una lettura profonda, intima e intimista, di alcuni personaggi della vicenda, a cominciare proprio da Moro. Mio padre, che lo aveva affrontato come avversario politico in provincia di Bari, me lo raccontava esattamente così. Un Dottor Sottile; uno stratega raffinato dell'eloquio e della sublimazione del pensare politico; un uomo in grado di mantenere il controllo totale dei nervi, perfino di concedersi all'ironia, anche nei momenti più drammatici.

Ricordando le apparizioni improvvise della bella insegnante nell'Ora di religione, sapevo di non dovermi aspettare una rielaborazione storica o politica dei fatti, tantomeno una elaborazione ultimativa di certi fenomeni, ma uno scavo psicanalitico (eloquente il coro dei vecchi comunisti, più da Terza Internazionale che da Partigiani Azionisti), un'analisi estremamente personale e originale dei protagonisti. E così è stato. Il sogno (in tutti i sensi) liberatorio della giovane terrorista (nella realtà, Anna Laura Braghetti, che nell'80, dopo quel rapimento, uccise anche Vittorio Bachelet) non è una visione indulgente nei confronti delle Br, ma solo una rappresentazione possibile di quello che si suppone esistesse dietro la cortina della disumanità delirante dei loro documenti o degli omicidi a sangue freddo, ma è rimasto represso, senza via d'uscita, come scrive Wanda Marra.

A mio avviso, un segnale importante e nuovo, che la stessa Braghetti ha sottolineato in un'intervista al Corriere della sera del 6 settembre:
Sono colpita dalle reazioni della stampa e dei commentatori a questo film. Fino a ieri non si poteva parlare del caso Moro senza nominare i "misteri", oggi non vi si fa pure cenno. E sembrava anche molto difficile che gli artisti, gli intellettuali italiani riuscissero a rielaborare, ripercorrere la storia del nostro Paese con film, libri, non solo con saggi politici. Invece ecco, esce il film di Bellocchio, esce il film di Bertolucci sul '68, la gente fa la fila per vedere La meglio gioventù di Giordana.


Basterebbe questo, secondo me, per mettere a tacere anche le polemicucce di cortile su quanto sia poco esportabile certo nostro cinema di qualità. Una lettura del genere, che prende spunto in realtà dal grande fatto di cronaca per sviluppare un'analisi più ampia e ben poco singolare, esce d'obbligo dai nostri confini e anzi forse aiuta a capire ciò che nemmeno noi siamo ancora riusciti o abbiamo voluto capire.

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26.9.03

Plastica

Sono stato a Disneyland. Non dentro, tutto attorno. Ho visto camionate di turisti che facevano la fila per organizzare giornate di giochi; ho frequentato negozi pieni di commessi che non avevano idea di cosa stessero vendendo; ho usufruito di servizi creati appositamente per quell'industria del divertimento, ogni secondo una parte di dollaro. Ma quel diverimento mi è sembrato assai poco concreto e reale, bensì quasi obbligato. Insomma, ho avuto la sensazione di un luogo di plastica, in cui ci si può muovere solo con grandi jeep dotate di aria condizionata e c'è una (falsa) buona parola per chiunque di cui nessuno si interessa in verità.

Quando sono tornato in Italia, ho sfogliato un settimanale e in un'intervista con Ha Jin, un cino-americano autore di Pazzia, un romanzo pubblicato da Neri Pozza, ho trovato queste frasi:
Gli chiediamo qual è stata la sua prima impressione dell'America.
Sorride: "L'odore, l'odore dell'aria. Voi non ci fate caso, ma è un odore artificiale, come un profumo. Mi diede il voltastomaco. Conosco asiatici che hanno vomitato per settimane appena arrivati qui"

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Scrivo, dunque esisto

Forse sto ricominciando a respirare. Forse sto riuscendo a evitare quella sensazione di angoscia e di soffocamento che mi ha preso nelle ultime due-tre settimane. Il motivo principale? Il lavoro. Le palle rotolanti e gli omoni che ho seguito in giro per l'Italia e per l'Europa e che mi hanno tolto l'aria, la luce, mi hanno strappato le pagine dei libri e dei giornali che ho impilato prima di partire.

Strappato è il verbo giusto. Da più di un mese non leggo nulla di continuativo. Rubo qua e là, di rincorsa, senza grande costrutto. In certi momenti, la lettura non mi sembra più tanto un piacere, quanto una conquista.

Ho le mani gonfie per le ore trascorse intinterrottamente a pigiare su una tastiera giudizi e frasi fatte. Lascerò che si decongestionino un po', così come la mente, per provare a riprendere, quanto per ritrovare il gusto di ragionare in pubblico. Di sicuro, non farò come certi ragazzini che ho visto giocare su un campo della Toscana: hanno dato più calci di rabbia ai cartelloni pubblicitari davanti alle panchine di quanti canestri abbiano segnato. Vittime di certe immagini televisive in cui gli sportivi sono attori prima che uomini: sbattono, urlano e si disperano, sembrano angosciati, appunto, da un'angoscia che non esiste.


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11.9.03

Una rosa per Anna

Due lunghe file invadono la strada. Gente comune, composta, silenziosa. Tante ragazze, alcune signore con bei capelli bianchi e dolci mani piene di vita. Aspettano il proprio turno, per lasciare una rosa o un fiore su un cumulo già alto di fiori rossi, per accendere una candela; per scrivere poche frasi su un grande quaderno appoggiato per terra o in calce a un manifestino verde sul quale qualcuno, con un pennarello nero, ha dedicato per primo questo pensiero:
Desistere significa morire davvero. Io non lo faccio, Anna

Era così, stamattina, davanti al grande magazzino nel centro di Stoccolma dove ieri pomeriggio è stata uccisa Anna Lindh, ministro degli esteri svedese, sorridente e convinta attivista del "Sì all'Euro" per il referendum di domenica. Mi sono fermato in mezzo a quella gente; ho guardato nei loro occhi una tristezza civile, intima eppure molto pubblica; ho provato la netta sensazione che fosse stata accoltellata una di loro, fosse stata uccisa una parte di loro.

A pochi metri di distanza, sul lato di una pensilina degli autobus, il volto della Lindh campeggiava sorridente e fiero, con la mano destra aperta verso chi l'osservava. Su quella mano, e su tante altre sparse nel centro della città, una rosa era stata attaccata con un filo di nastro adesivo. Per non desistere.

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6.9.03

Giù al Nord

Qualcuno è andato sulla linea del Circolo Polare Artico. Circa 150 chilometri per andare e altri 150 per tornare. E' sceso dalla macchina per farsi fotografare sotto il cartellone e comprare un simil diploma. Io ho rinunciato. Mi ero commosso già l'altra notte alzando lo sguardo all'improvviso verso un cielo limpido e guardando l'aurora boreale. Un fenomeno unico, straordinario. La natura che mi circonda. Io dentro il mondo. Piccolo nell'enormità.

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5.9.03

Rosa sanning

Non sempre mi rendo conto di quanto significhino in giro per il mondo sportivo le tre parole Gazzetta-dello-sport. Mi sfugge talvolta che, per molti, quelle tre parole sono la bibbia, l'enciclopedia, la leggenda, la perfezione, la precisione assoluta. Poi mi capita di arrivare, con una quindicina di altri giornalisti italiani, in Svezia per seguire un campionato europeo e di essere atteso da un collega del posto. A lui del basket interessa poco: vuole invece raccontare chi è la Gazzetta-dello-sport, chi è una delle facce che le stanno dietro, i numeri che la fanno uscire tutti i giorni, il colore della carta, la tradizione e la novità, il monopolio del calcio, i quattro inviati sul Milan, i tre sulla Juventus.

Il risultato è questo: un articolo che parte dalla prima pagina di un quotidiano del Nord. Con foto a colori (per fortuna non pubblicata anche online) del sottoscritto, un attore vero che fa finta di leggere il giornale.

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Wireless forever

Il palasport di Lulea è in mezzo alla campagna del Nord della Svezia. Eppure arriva fino a qui la rete wireless che serve tutta la città. Inserisco la scheda nel mio pc portatile, lascio che si ambienti nel suo slot e oplà! Un addetto alle tecnologie (!) dell'organizzazione dei campionati europei di basket mi consegna una card dalla quale devo "grattare" username e password. La card è gratuita, vale 24 ore. Domani me ne darà un'altra. Essere all'avanguardia, da queste parti, non è un modo di dire.

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Scaffali per un suicidio

Cittadina del Nord della Svezia, 60mila abitanti, molti ragazzi che alle 10 del giovedì sera sono ubriachi da star male. Attorno, acqua, alberi, poche automobili, un paesaggio che spinge al suicidio. Dentro, alberghi spartani con bagni interamente foderati in linoleum; stanzine con muri divisori di carta velina ricoperti da parati con disegni intrecciati. Eppure nell'ingresso di ogni albergo (hall è una parola grossa), accanto al banco del ricevimento, c'è un espositore di libri tascabili in vendita. E in fondo al corridoio di ogni piano, quattro scaffali e una quarantina di libri, solo in svedese: Kertesz, Maugham, una Lidia Ravera del '78, Durenmatt, Noteboom. Non una sola copia di Stephen King.

Bello, bellissimo, invidiabile. Quale hotel italiano va oltre l'Antico Testamento nascosto in un cassetto puzzolente (per non dire di quelli spagnoli della catena NH che addirittura pubblicano una raccolta di racconti per la notte, da scegliere fra diversi tipi, a seconda del sonno che si vuole conciliare)? Ma forse un po' di svago in più, in un luogo che per natura non offre tanto, potrebbe aiutare a distruggere qualche vita in meno.

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4.9.03

Il miracolo

Ora io non so se se la concorrenza sia tale, da poter prevedere, come ha fatto il quotidiano argentino La Nacion, un Leone d'oro alla Biennale di Venezia per Il Miracolo. A me, però, il nuovo film di Edoardo Winspeare (già autore di un intenso Sangue vivo e della rivelazione Pizzica) è piaciuto. E non solo per una partigianeria diciamo geografica, il regista essendo salentino, in particolare di un curioso borgo dal nome ancora più curioso: Depressa.

La poesia dei cieli di Taranto e dei silenzi dei personaggi rende molto bene la disgregazione dei rapporti, la solitudine di fronte ai casi (spesso dolorosi) della vita, la necessità di dare amore per riceverne e molto spesso rimanere delusi dall'attesa. Il tutto con una notevole misura, soprattutto se si tiene conto del fatto che gli attori non sono professionisti e che il protagonista principale, Tonio, è un ragazzino di 11 anni.

Il miracolo in sé e per sé, alla fine, non è altro che credenza, desiderio di fede, o alla peggio opportunismo, senza differenza fra Nord e Sud. Ma il vero miracolo è l'esistenza di qualcuno che si occupi di noi o che ci chieda col suo sguardo disperato e triste di farlo per lui.

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3.9.03

Scrivere oltre i confini

Si scrive per rompere i propri confini, per trovare se stessi nei personaggi di cui si racconta. Non è un'idea nuova e David Grossman, scrittore israeliano ospite del Festival della letteratura di Mantova, non la rivela per la prima volta, ma è sempre utile ripassarla su L'Espresso del 28 agosto:
Il cuore della scrittura è concentrato nel desiderio di rompere barriere, confini. In genere, nella nostra vita, ma anche in Italia, viviamo protetti dagli altri. Persino con i nostri migliori amici, o con il nostro coniuge, abbiamo l'istinto di non esporre non stessi in maniera totale di fronte a un altro essere umano.
La gente ha paura di esporre se stessa all'inferno che c'è nell'altro di fronte a sé. Scrivere, invece, va nella direzione opposta. Rompe tutti i confini.
Quando scrivi, capisci subito che qualsiasi tipo di persona di cui sei curioso di scrivere è dentro te stesso. In un certo senso, non è uno sforzo. Anzi, al contrario. Non si va a catturare qualcosa, ma si abbassano le difese tanto da perdersi. E subito posso scrivere. Ed essere un individuo che non avrei potuto essere nella vita.

Il figlio della sposaIl confine da superare, insomma, è quello della menzogna che spesso diciamo a noi stessi prima ancora che agli altri. E' l'incapacità, la mancanza di coraggio, la scarsa abitudine di riconoscere ciò che siamo profondamente, di metterci in gioco, di rivelare la nostra vera natura. E non sempre, come invece accade in un bel film che ho visto qualche giorno fa (Il figlio della sposa, Oscar 2002 per il miglior film straniero), abbiamo la possibilità (o siamo sollecitati a farlo da qualcuno che sia importante per noi) di accorgercene e di redimerci, di cambiare sistema di vita e relazioni, di scoprirci e accettare i nostri sentimenti, le nostre debolezze ma anche le nostre qualità, quelle che forse fanno più paura. Talvolta anche di fronte a un romanzo, a un racconto oppure a un blog esistono confini troppo lontani e con troppo filo spinato attorno perché si possano superare con facilità.

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2.9.03

Tutti, tutti. Ci siamo proprio tutti

E così mentre Giulio Mozzi già si (fa) interroga(re) sulla durata di un blog, sulla prevedibile morte e sull'impossibilità dell'infinito, tutti gli altri sono ritornati. Non li spaventa un'estate, l'impossibilità o l'infinito.

Finché dura, dice. Ma noi, anche se non siamo scrittori patentati o filosofi laureati (beh, qualcuno c'è e si vede), ne abbiamo di cose da scrivere e da pensare. In Mediterraneo, Abatantuono diceva: "Ho troppe cose da fare, troppi progetti. E una vita è troppo poco". Dura, dura.

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Berlino era un po' triste, molto grande

C'è qualche motivo in più di quello descritto da Jeffrey Eugenides (che vive lì da quattro anni) per decidere di vivere a Berlino. Dice l'autore di Middlesex al Corriere della sera:
Gli scrittori americani negli Anni Venti andavano a Parigi perché costava poco e perché era la meta prediletta anche da molti artisti. Mi pare che questo valga oggi per Berlino, qui la vita è molto facile, ci si può preoccupare più del proprio lavoro creativo che del proprio conto in banca.

Nello scorso fine settimana, dopo aver visto anche il film Goodbye Lenin (voto: 7-, qualche lungaggine di troppo e un paio di pestatine sull'acceleratore dell'assurdo in una storia di per sé già molto paradossale), ho fatto un blitz da quelle parti per lavoro. Se non avessi dovuto seguire una ventina di uomini in calzoncini che saltavano e se le davano per mettere una palla in un canestro, e avessi voluto invece dedicarmi alla musica classica, nella giornata di sabato avrei potuto seguire (dell'elenco non fanno parte i famosi Berliner Philarmoniker perché non ho trovato il libro - di questo si tratta, in tutti gli altri casi - del calendario):
  • Concerto di apertura della stagione della Konzertaus della Berliner Sinfonie-Orchester diretta da Kurt Masur

  • Concerto della Deutsche Symphonie Orchester (direttore stabile Kent Nagano) diretto da Andrey Boreyko

  • La prima della Semiramide, di Gioacchini Rossini, con l'orchestra della Deutsche Oper diretta da Alberto Zedda

  • La prima della Traviata, di Giuseppe Verdi, alla Staatsoper, diretta da Daniel Barenboim (che si divide con la Chicago Symphony Orchestra), che ne è il direttore artistico


Ma così è ogni giorno, da qui a settembre dell'anno prossimo. Con iniziative speciali per bambini, giovani, anziani, abbonamenti ai concerti delle istituzioni principali, tutte unite appassionatamente, senza gelosie o assurdi dispetti. La Deutsche Symphonie ospita, tra i tanti, Ashkenazy, Pinnock, Volodos, Grimaud, Kotchinian, e dedica grande attenzione alla musica contemporanea, eseguendo anche compositori a cui ha commissionato dei brani sinfonici. L'orchestra della Radio di Berlino avrà tra gli altri la Zilberstein con Fruhbeck de Burgos, Kocsis, Marin ed Heinrich Schiff. Alla Staatsoper, l'equivalente della Scala, hanno inventato i concerti del brunch, naturalmente di domenica, e ospiteranno Serkin, Zukerman, Kremer, Waltraud Meier, Bolton.

Scrivendo questo elenco, mi è riaffiorata la sensazione di sgomento che avevo provato venerdì sera, passando per la Galleria a Milano. Al centro dell'Ottagono era stato piazzato un maxischermo davanti al quale un centinaio di persone aveva occupato tutte le sedioline disponibili per assistere a un vecchio balletto della Scala. Quella sera, il 30 agosto, a Milano non c'era niente dal vivo: chiusi i teatri, la Scala a pochi passi un cratere, e via così tristemente enumerando. Eppure la gente aveva voglia, bisogno, necessità di vedere, sentire, vivere un po' di cultura e di svago costruttivo.

Milano, la capitale morale. Milano, la città ricca per eccellenza.

Forse non necessariamente a Berlino (dove comunque esistono anche alcuni obbrobri, come l'enorme stand a forma di pallone piazzato davanti alla Porta di Brandeburgo per promuovere con qualche anno di anticipo i Mondiali di calcio che si svolgeranno da quelle parti), ma ci sarà pure qualche buon motivo per vivere altrove da qui.

Forse non necessariamente come a Berlino (dove hanno appena inaugurato un avveniristico Museo della Storia, realizzato dall'ottantaseienne architetto cinese Ieoh Ming Pei e costato 54 milioni di euro, giudicato dall'Espresso "una delle più belle e pure costruzioni mai realizzate da un architetto": un edificio modernissimo con un'enorme vetrata nella quale si riflette la Zeughaus, un edificio barocco color rosa, così assorbendolo ed evitato l'effetto pugno nello stomaco), ma ci sarà pure un modo per uscire dal torpore culturale nel quale qui siamo precipitati. Qui Milano, intendo, una ex grande città.

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29.8.03

Il tempo dello Stato

Le centinaia di morti anziane dell'estate ha fatto riflettere i francesi e ha spinto il primo ministro Raffarin a proporre a chi lavora di dedicare il salario di una giornata di ferie a chi è vecchio, abbandonato e povero. L'idea è sufficientemente demagogica perché oltralpe ci si interroghi per ora soltanto su quale sia il giorno giusto da scegliere tra le festività nazionali e religiose. E fa dire a Krzystof Pomian, uno storico che ha studiato la rappresentazione del tempo nell'Occidente, in un'intervista a Liberation:
Lo Stato è il proprietario del tempo, almeno in Europa, al punto che può istituire e modificare a suo piacere il calendario delle feste. Inoltre, beneficia di un forte attaccamento sociale: il ritmo del tempo è essenziale per la coesione sociale, e il consenso si stabilisce su queste feste. Questo tipo di calendario divide l'Europa in due "civilizzazioni", pur in presenza di feste comuni: una cattolica, con una predominanza di feste religiose, con un gran numero di giorni improduttivi; e una protestante, in cui i giorni festivi sono minori, poiché la Riforma, dal XVI secolo, ha abolito il culto dei santi e i riti mariani (...) e l'etica protestante e lo spirito del capitalismo di Max Weber hanno affermato una cultura del lavoro e del denaro che limita di fatto i giorni di festa.

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28.8.03

Coincidenze

Dopo New York, ora anche Londra è nel blackout.

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Attraverso

Gianmaria Testa è uno dei pochi artisti della canzone che ami le collaborazioni con le altre arti, le cerchi addirittura, in una contaminazione continua. Per il Festivaletteratura di Mantova, è uno dei cinque protagonisti di Attraverso (Produzioni Fuorivia), tutti insieme per far diventare spettacolo le pagine di Erri De Luca. Che parlano d'amore, ma anche dell'Italia malata di oggi.

In scena il 5 e 6 settembre al Teatro Ariston. Gli altri? Il violoncellista classico Mario Brunello, il clarinettista jazz Gabriele Mirabassi, l'attore-autore Marco Paolini e lo stesso Erri De Luca.

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Un lavoro da donne

Due domeniche fa, quando ero negli Usa, ho visto su Hbo la puntata numero 83 del 6° anno di Sex and the City. Il titolo era "Il diritto di una donna per le scarpe". La serie mi è sempre piaciuta, anche se contiene smaccati riferimenti pubblicitari. Questo episodio, ad esempio, è interamente dedicato ai sandali di Manolo Blahnik, quegli strumenti di tortura sottili e delicatissimi, celebrati da Guia Soncini in vari articoli sui settimanali femminili. E, andando sul sito, cliccando su Scrapbook, non immaginavo di trovare persino i riferimenti ai locali citati o nei quali addirittura sono state girate alcune scene.

In Italia, credo che non sia stata ancora superata la seconda serie. Ma sin dall'inizio ho pensato che il personaggio di Carrie, che ha una rubrica su un giornale di New York su che cosa significhi essere donna single nella capitale, potesse influenzare gli spettatori e soprattutto le spettatrici sulla scelta di diventare giornalista. In realtà, non credo che dipendano da questo i risultati di un'indagine statistica condotta dall'University of Georgia, secondo la quale negli Stati Uniti il 64% degli studenti universitari di giornalismo e comunicazioni di massa nel 2002 era composto da donne.

In realtà, anche negli Usa, il giornalismo rimane un mestiere prevalentemente maschile: rispetto al 64% di studentesse, in redazione solo il 34% è costituito da donne che trovano impiego in prevalenza in magazine (settimanali o mensili) che consentano loro di seguire la famiglia e mantenere una parvenza di vita "normale".

In un'altra indagine dello scorso anno, circa la metà delle donne giornaliste in quotidiani erano in attesa di cambiare giornale o di lasciare il settore, rispetto al 33% della controparte maschile. Le donne, in generale, sono meno soddisfatte di quello che fanno e delle loro mansioni nei giornali di quanto non siano gli uomini.

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Calzini classici

La storia era raccontata sulla prima pagina del Times di martedì (a pagamento sul web). Scavando a Southwark, nei pressi dell'area dove un tempo si sarebbe trovato un tempio, gli archeologi hanno scoperto una statua romana fatta risalire al 200 d.C.. Il personaggio raffigurato, Marzio Camulo, indossava dei calzini sotto i sandali. Quello che oggi sarebbe considerato un obbrobio, una classica cafonata degna di qualche tedesco senza il benché minimo gusto.

Camulo operava fra l'attuale Nord della Francia e la Gran Bretagna e probabilmente usava i calzini per ripararsi dal freddo. Ma il fatto stesso che ne conoscesse l'esistenza può voler dire che nell'antica Roma era considerato normale produrli e indossarli. Questa scoperta ha delle ripercussioni notevoli sul modo in cui finora abbiamo guardato alla civiltà romana o ai miti di cui la letteratura latina e greca hanno narrato. Provate a immaginare gli eroi omerici, scrive un opinionista del Times, i piedi alati di Ermes Mercurio o il tallone di Achille avvolti in un paio di calzerotti di lana. Quanto basta per distuggere un mito.

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27.8.03

Christian Rocca mi conosce

Nel ReNoSubject (segnalato anche da Leibniz) fra Luca Sofri e Christian Rocca, che sarà pubblicato su Max di settembre, il secondo discetta sulla corrispondenza dei numeri di maglia nel basket. Scrive:
Il 5, spesso un mancino, era uno serio, quadrato e con i piedi per terra. Ti potevi fidare del numero 5.


Io non sono un mancino, ma per il resto ho avuto, sono sempre stato e mi sento un numero 5. Nel basket e nella vita. Difendevo forte come un cretino, su qualsiasi tipo di avversario dalla guardia al pivot, mentre gli altri facevano fatica a piegare di due gradi e mezzo le ginocchia; andavo sempre a rimbalzo; cercavo l'assist o comunque, se potevo tirare, passavo agli altri; salvo poi, quando il numero 7, un mancino di straordinario talento e pure con i capelli rossi, si faceva buttar fuori per 5 falli nelle partite che ci avrebbe dovuto far vincere, tenere la baracca negli ultimi minuti anche in attacco.

Piccola proposta: organizziamo il prossimo raduno dei blogger in un playground.

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