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31.12.02
Gli astrologi del webloggingHa ragione Mantellini quando teme che il mobileweblogging (o moblog) “trattasi di una cacchiata”. L’articolo di Glenn Reynolds, citato nel suo intervento, cita a sua volta un articolo di Justin Hall nel quale il moblog viene presentato come un’opportunità per chiunque di diventare freelance, utilizzando la tecnologia dei cellulari di prossima generazione per la realizzazione di video e immagini, e un sistema per rintracciare altri utenti di una stessa area riuniti in base a dati compatibili. Nient’altro. Bene, e la novità qual è? In realtà, non esiste. Il moblog, così come la prospettiva suggerita dallo stesso Reynold di un video-blogging o comunque di un weblog che diventerà multimediale in breve tempo, è l’ennesimo tentativo di prevedere a tutti i costi il futuro. Come se l’esperienza degli ultimi anni non fosse stata sufficiente a indurre gli astrologi della tecnologia a volare un po’ più basso. Prendiamo proprio la multimedialità: quanti, realmente, utilizzano oggi internet per consultare file video o audio e quanti stanno aspettando l’integrazione con la tv come se fosse la manna dal cielo? Pochi. L’unica previsione che mi sento di sottoscrivere, o comunque sento più vicina alle mie esigenze di utente tipo, riguarda la tendenza alla comunità di cui si è già discusso nei commenti al mio intervento sulle Definizioni. Ho letto le prime recensioni su Smart Mobs, il nuovo libro di Howard Reinghold. Scrive Quinto Stato: “La rivoluzione sociale in atto sarà davvero completa quando da questo magma interconnesso sarà possibile ricavare una vera net economy. Basata sulle reali esigenze dei navigatori e non sulla speculazione finanziaria. Un primo suggerimento imprenditoriale arriva già dallo studioso, secondo il quale è fondamentale supportare, a livello tecnologico, creativo e strutturale, la condivisione della conoscenza. Solo chi sarà in grado di favorire le modalità dei nuovi rapporti sociali dell'Internet 2.0, potrà dar vita a un nuovo e stabile tipo di economico". Che cosa vuol dire supportare la condivisione della conoscenza? Una prima risposta arriva ancora da Mantellini. In un'intervista, afferma: "Mi piacerebbe che si sviluppassero fili elettronici fra i blog come ad esempio funzioni simili al trackback di MT che consente di legare discussioni e topic su web diversi. E mi piacerebbe che al trionfo della parola che i blog hanno nel loro codice genetico si affiancasse anche quello della interazione fra bloggers". Un'altra arriva da Justin Hall: "So weblogs in the future might not exist as an old media analogue: discreet publications, edited by one discreet group of people. Rather they might be something more organic: particular headlines or stories are flagged or read or marked with exclamation points by people listed in our phonebook, important news elected by a related plurality. Smart mobs of reporters, smart mobs of readers". Ecco la comunità che segnala, elenca; ecco quella vera e reale circolazione di idee e progetti capaci di promuovere nuove conoscenze di cui parla Cesare. Un obiettivo che non è però così a portata di mano. Sull'Espresso, Tim Berners-Lee la definisce intercreatività, che prenderà il posto di interattività. Dice: "L’Internet viene usato soprattutto per passare da un documento a un altro usando i link. La cosa importante dovrebbe essere invece collegare le energie creative delle persone, consentendo loro di lavorare insieme, di discutere collettivamente. In realtà si tratta di un obiettivo molto più difficile del previsto".
27.12.02
DefinizioniCominciamo a essere in tanti (secondo Wired, solo su Pyra gravitano più di 970mila utenti registrati, dai 343mila di un anno fa), quanto basta per trasformare il blogging in un fenomeno popolare e scatenare definizioni le più diverse. Dice Walter Shapiro, columnist politico di Usa Today: “Come ogni rivoluzione, anche il blogging è sovradimensionato verso l’alto, sovradisprezzato verso il basso, ma si stabilisce nel regno intermedio della realtà”. Elizabeth Osder, insegnante alla University of Southern California’s School of journalism, definisce i bloggers dei navel-gazers, letteralmente osservatori di ombelico, “interessanti quanto quegli amici che ti mostrano il loro album di ritagli”. Individualisti, insomma, che stanno tutto il tempo davanti a uno specchio virtuale. Mi piace di più la definizione apparsa su Microcontent: quella di blogosfera. “Se con il passare del tempo la rete è il computer, così i blog sono diventati una rete. La blogosfera è diventata un’entità vivente, capace di comportamenti difficili da prevedere. Risponde sempre più alle caratteristiche di una colonia di formiche: ogni individuo è molto semplice, ma una colonia nel suo complesso è capace di comportamenti sofisticati. La blogosfera è una forza emergente nel personal publishing”. E’ l’idea di una vera e propria comunità, composta forse sì da individualisti narcisi che però tendono a ritrovarsi fra simili e/o affini. Anch’io ho i miei blog di riferimento, commento gli interventi di chi commenta i miei e vado alla ricerca di nuovi soggetti che possano aderire ai miei interessi e alle mie opinioni. La colonna dei Preferiti nel mio browser si allunga ogni giorno: una blogosfera retta tendente a infinito.
26.12.02
Benigni, la Commedia e le notti di GassmanLa sera del 23 sono riuscito a seguire in tv l'ultima mezz'ora dello show (come definirlo sennò?) di Benigni: quella in cui ha illuminato gli occhi, suoi e dei telespettatori, con l'ultimo canto della Divina Commedia. Commentava, declamava, rendeva i versi popolari, intellegibili, acqua pura e trasparente. Splendido, ho pensato. In realtà, solo Benigni, oggi, riuscirebbe a parlar di poesia (e che poesia!) in prima serata alla vigilia di Natale. E così mi è tornata alla memoria la serie breve sulla Commedia realizzata da Vittorio Gassman tre anni fa. Breve ma meravigliosa. Eppure nascosta nella notte, malgrado una regia splendida, una scelta perfetta di luoghi e scenografie e soprattutto un Gassman ispiratissimo. La si può rispolverare ancora su Raiclick. Ancora nascosta.
Giornalisti - 2. I servi di CarliniUna risposta del tutto indiretta al mio intervento preoccupato sullo stato dei giornali e dei giornalisti arriva da Franco Carlini sul Manifesto. La sua analisi è rassegnata per il vecchio ed entusiastica per il nuovo. Anche le testate ultime nate (Riformista, Europa, Gazzetta Politica), dice Carlini, "sono vecchie perché il loro pubblico di riferimento è solo l'universo dei politici di professione. (...) Capita invece che altri giornalisti, sentendosi stretti nei loro luoghi di lavoro e in generale nel clima che sta vivendo l'informazione, abbiano di nuovo voglia di provarci in proprio, aprendo luoghi e siti".
25.12.02
GiornalistiMolti di noi, in preda a un attacco di narcisismo autoreferenziale, avranno esultato leggendo delle dimissioni del presidente del gruppo repubblicano al Congresso Usa, Trent Lott. Inchiodato da alcune dichiarazioni politicamente scorrette, è stato bersagliato dai blog che hanno ripescato negli archivi una decina di perle ancora più scorrette. Un trionfo per questa nuova forma di informazione orizzontale; uno smacco invece per i giornali "veri" che hanno invece sottovalutato, taciuto, insabbiato (do you remember Italy and the '80s?) e alla fine riconosciuto anche l'errore. Ed è proprio questo smacco a preoccuparmi. I weblog sono interessanti, nuovi, alternativi, diciamo pure rivoluzionari, ma se i giornalisti (ri)cominciassero a far il proprio mestiere? Siamo davvero così dipendenti, ingabbiati, schiavi di questa o quella parte politica (perfino negli Usa!), da non riuscire più a esprimere le nostre opinioni o a trovare le notizie, a fare informazione vera insomma - come dice Enrico Pulcini in un articolo per altri versi discutibile -, se non su piccoli siti personali ancora senza troppa importanza?
ComunistiMantellini mi indica tra i blogger di riferimento in un suo rendiconto tecnologico del 2002. Troppo buono. Ma ancora più buoni quelli che, forse desiderosi di emulare le gesta di un Parlamento nel quale chi contesta o critica democraticamente l'operato della maggioranza è altrettanto democraticamente definito "coglione" dal vicepremier, gli danno del "comunista" per un'analisi dei fatti avvenuti negli ultimi mesi. Come se "comunista", ormai, fosse diventata un'offesa e non più una condizione politica, ideologica, sociale. Come un "coglione" qualunque, insomma.
21.12.02
Lontano dal ParadisoHo visto Lontano dal Paradiso, uno dei pochi film attesi dopo il Festival di Venezia, è mi è piaciuto molto. Per la ricostruzione perfetta del clima Anni 50 e soprattutto del cinema che ha ispirato; per i colori pastello; e per quella crescente voglia di rifiuto da parte della protagonista (una splendida Julianne Moore) di fermarsi alla superficie spesso squallida delle cose. Consiglio questa recensione.
18.12.02
Carlo Annese, giornalistaAutoreferenziali, interreferenziali, narcisi, esteti della libertà di stampa. Ne ho lette di ogni genere negli ultimi due giorni, a proposito dei weblog. Una conferma che il fenomeno (!) cresce, si diffonde, come dire attizza. E nello stesso tempo, un segnale non molto confortante. Perché tutte queste definizioni arrivano da giornalisti bloggatori. Sabelli Fioretti, Luca Sofri, Brodo Primordiale, Giovani Tromboni. Mi soffermo su alcune, correndo volentieri il rischio di diventare uno di quei "communytisti" da cui Sofri vuol mettersi al riparo.Su Capital, Sabelli Fioretti traccia una delle migliori definizioni lette finora: “Nella grande confusione del web, il blogger è un navigatore, un ricercatore che guarda, annusa, sceglie e propone ai suoi amici insegnando loro la strada per arrivare dove è arrivato lui”. Poi chiude: “E mi chiedo: come mai così pochi? Come mai i giornalisti italiani, sempre pronti a lamentarsi perché non si può dire questo e non si può scrivere quest’altro, trascurano così platealmente un mezzo che consentirebbe loro di esprimersi al massimo della libertà possibile? Forse perché continuano a pretendere che ogni loro parola sia pagata? Be’, una cosa è sicura: con i blog non si diventa ricchi”. Bum, anzi blog. Per principio, ho evitato dall’inizio di specificare la mia professione, anche se è emersa spesso dai miei interventi, perché non è questo lo spirito della mia iniziativa e dei weblog. Essere in rete rifugge da qualsiasi tentativo di costituire categorie. E’ sufficiente questo, esserci appunto, a dare credibilità a un sito, non tanto la dichiarazione preliminare di uno stato di appartenenza. Come nella professione quotidiana del giornalista, l’attendibilità si guadagna sul campo, frequentando per abitudine verità e obiettività, e non solo perché si scriva per una testata piuttosto che per un’altra. Cominciando a scoprire il mondo dei blog, mi aveva colpito il fatto che la maggior parte fosse tenuta da traduttori: ho pensato solo a una coincidenza, perché mai (se non andando a cliccare le biografie degli autori) ho avuto la sensazione di un circolo chiuso o di gente che cercasse spazi alternativi alle case editrici. Quella dei soldi, spero sia solo una provocazione di Sabelli Fioretti che dubito abbia prestato collaborazione a Capital rinunciando al compenso. Chi ha davvero qualcosa da dire, chi ha voglia di ragionare, attorno alla rete o a qualsiasi altro argomento, lo fa a prescindere e non per accedere a eventuali finanziamenti attribuiti per legge. Come recita il sottotitolo di un blog-esperimento letterario intitolato 48ore: E’ ora di reagire. E’ ora di scrivere”. A Luca Sofri non piace invece la diffusione spontanea di una comunità che si autocita, che crea amicizie virtuali, di un grande forum dei blog insomma che costringerebbe tra l'altro a tenere lo sguardo basso, togliendo il tempo e il modo per cercare altre fonti. Nota la mia avversione per i siti-diario, puro esercizio narcisistico, comunque dissento (e segnalo anche le argomentazioni di Gianluca Neri). La realtà è che aumenta il numero dei giorni in cui la mia navigazione parte da alcuni blog di riferimento, per la quantità di link esterni che contengono e mi interessano. Lo sguardo è alto e profondo, la finestra non affaccia sul cortile. P.S.: trovo deliziosa questa rubrica sul Riformista, ormai al centro del pettegolezzo politica per la presunta autrice, sul sito di Sofri.
13.12.02
SlowVivo a Milano da quasi 12 anni, ma sono nato a Brindisi, dove ogni tanto ritorno per passare qualche giorno con mia madre e tentare anche qualche scoperta. L’ultima è la Torre Coccaro, una masseria del XVI secolo (la masseria è una torre di difesa, eretta contro le scorribande dei Saraceni), circondata da ulivi secolari, mandorli e carrubi a poche centinaia di metri dal mare di Savelletri, la marina di Fasano, in provincia di Brindisi. Oggi è un albergo a cinque stelle con un centro salute firmato Aveda, ricavato nella stalla in pietra dove i contadini mettevano a dimora le pecore dalle quali ricavavano una ricotta dolcissima, e una scuola di cucina addossata a una Cappella che risale al 1730 ed è tuttora consacrata. Insomma, un piccolo grande gioiello pugliese, del quale i pugliesi sanno ben poco, essendo destinato in prevalenza alla clientela internazionale del lusso e del benessere. Delizioso. Prima avevo testato l’osteria Pantagruele, con buoni risultati, oltre a una serie di negozi di specialità alimentari, enoteche e locali dalla filosofia assolutamente originale, molto “milanese” per gusto e scelta dei prodotti e degli stili. In generale, in questi pochi giorni, mi ha colpito la diversa concezione del tempo. Non c’è fretta, quasi mai, se non per rimuovere una macchina lasciata in doppia fila; c’è invece sempre il modo di incontrare qualcuno per chiacchierare, per scambiare opinioni, per chiedere informazioni. Mi piacerebbe, ad esempio, provare a vinificare: bene, stamattina, in un negozio di alimentari dove trascorro non meno di mezz’ora al giorno tra arrivi di nuovi formaggi e assaggi di vini locali, mi è stato presentato uno dei produttori emergenti della città (Botrugno) che mi ha invitato nella sua cantina e, senza alcun sospetto né invidia, mi ha dato subito suggerimenti preziosi. Non credo che mai tornerò a vivere a Brindisi, per mancanza di prospettive personali e sociali, per il contrabbando eletto a ragione di vita e base dei rapporti, e per quel fiato corto che anche iniziative come quelle che frequento inevitabilmente dimostrano di avere di fronte a una clientela che solo per Natale è disposta a fare qualche “follia”. Ma quanto vorrei trasferire un po’ di quest’atmosfera slow nel grigiore di Milano: il titolare dell’osteria che si siede al mio tavolo, riconoscendo la mia curiosità gastronomica e umana; la banca in cui tutti si danno del tu e passa un’ora senza stizza, fra una cassiera di una lentezza pachidermica e una funzionaria amica di vecchia data; l’ex compagno di “giochi politici” che ti riconosce da un marciapiede all’altro e mezz’ora più tardi ti fa recapitare a casa un vassoio di pasticcini alla mandorla, quelli che ti sono sempre piaciuti. Arcadia? Utopia? Passato? O una semplice difesa dalle scorribande dei nuovi Saraceni?
11.12.02
Blog finanziati? No, grazieSu Apogeonline leggo di una sottoscrizione telematica avviata da cosedilegge per una proposta di legge per il finanziamento dei siti internet altamente culturali. La proposta ammicca, è inevitabile, allo sviluppo dei weblog, laddove parla di “valorizzazione della scrittura”, “conservazione e recupero della memoria storica”, “incentivazione dlla distribuzione delle diffusione dell’informazione”. A me pare che l’iniziativa vada non soltanto contro le “regole fondamentali” di internet (libertà di espressione, realizzazione di comunità legate da medesimi interessi intellettuali e culturali) ma proprio contro lo spirito dei blog e di altre espressioni individuali pseudo-artistiche. Sbaglierò, ma non concepisco l’idea di dover essere finanziato, o sostenuto che dir si voglia, per tenere una diario personale su internet. Narcisi di tutto il mondo, ci sono euro per voi.
Una storia americanaDue settimane fa, in occasione di un torneo ospitato dal National Golf Club di Augusta, il New York Times lancia una campagna chiedendo a Tiger Woods di boicottare la gara poiché il circolo non ammete l’iscrizione delle donne. Qualche giorno più tardi il New York Daily News denuncia sulle proprie pagine che il direttore del Times ha bocciato la pubblicazione di due rubriche, una delle quali a firma di Dave Anderson, vincitore di un Premio Pulitzer, che andavano contro la linea del giornale, costringendolo a fare marcia indietro. Venerdì scorso, infatti, Howel Raines, executive director del New York Times, annuncia che le due rubriche saranno pubblicate il giorno dopo. E spiega che: “the editors' original objections were based not on the opinions stated in the columns but on separate concerns: one column, by Dave Anderson, about the Augusta National Golf Club's refusal to admit women, gave the appearance of unnecessary intramural squabbling with the newspaper's editorial board; the second, by Harvey Araton, which also dealt with the Augusta issue, presented problems of structure and tone." Al di là di qualche commento (per Camillo, le donne fanno comunque bene a rimaner lontane da Augusta) e del fatto, non secondario, che di quel Circolo siano soci alcuni dei più importanti manager americani, mi chiedo se mai in Italia si sarebbe potuto verificare qualcosa del genere. Un giornale accusa un altro di aver censurato i suoi redattori? Questo decide di pubblicare, sotto una pressione etica , le due rubriche quasi scusandosi con i lettori? E, soprattutto, il direttore di una testata italiana non solo ammette l’esistenza di un conflitto tra la linea del giornale e quella di alcune grandi firme, ma addirittura afferma che una delle due ha scritto un articolo con “problemi di struttura e di tono”?
6.12.02
Calvino, globalmente invisibileDal Sole24 Ore - Domenica del 24/11. "(...) Calvino è la proposta italiana per il nuovo millennio. Ha avuto la mobilità e la vitalità di Pinocchio, ma anche l'ansiosa malinconia di Geppetto. La sua letteratura sembra scritta per un pubblico di bambini e di vecchi, non per persone impegnate nei pesanti problemi della vita adulta. Calvino ha intuito subito che gli adulti con la loro maturità non sono veramente intelligenti e che letterariamente il mondo delle passioni aveva già prodotto tutti i frutti possibili. Perciò non restavano che la geometria e le favole, il gioco dell'ordine e del disordine, cioè trasformare la cosiddetta disumanizzazione dell'arte in un piacere dello spirito. Che proporre di meglio se non una tecnica per restare di buonumore anche all'inferno? "Molti pensano che Le città invisibili siano il capolavoro di Calvino. (...) E' il libro in cui la prosa di Calvino si avvicina di più alla poesia. Il movimento narrativo si blocca in descrizioni di oggetti sottratti al tempo, gli effetti di vicinanza sono ottenuti grazie a una lontananza inarrivabile, l'empirismo del narratore moderno entra nell'iperspazio in cui ogni città splende come un astro o una pieta preziosa, in un tempo che non è più di questo mondo. "(...) Un libro di estasi percettiva e di scetticismo radicale. La visività di Calvino emigra nella dimensione dell'invisibile. (...) Le città invisibili sono un saluto alla vita di quaggiù. Quando un vero narratore come Calvino si dedica con tale intensità mistica e tale nostalgia all'invisibile e all'immobile, il messaggio potrebbe essere questo: il dinamismo dell'Occidente ha perso la sua originaria vitalità mondana e si torna al Medioevo, al misticismo e alla metafisica. La fuga dal mondo reale: che sia questo il vero sottofondo culturale della globalizzazione?"
![]() Le Giraffe di GaboIn un post precedente ho parlato delle dieci righe-dieci come di un test prezioso per le velleità di molti giornalisti scrittori. In realtà, non scopro nulla di nuovo. Sfogliando Vivere per raccontarla, la prima parte dell'autobiografia, Gabriel Garcia Marquez racconta del suo laboratorio di scrittura: una rubrica fissa di corsivi brevi e considerazioni pungenti dal titolo "Giraffe".
Quinto StatoUn esempio di fonti alternative, giornalistiche e non, è Quinto stato, la nuova iniziativa (definizione più adatta forse non esiste) che vuole tentare di "riavviare la Net Economy". Se non sbaglio e se non ci sono casuali omonimie, nasce da altre esperienze, come Punto.com, che si sono rivelate e continuano a essere preziose occasioni di arricchimento oltre che di servizio.Interessante è tutto il corollario di links, simpatizzanti e affini che apre un immenso portone su quanto proliferi in rete in alternativa alle fonti istituzionali. Ecco, quello che mi piace di più (scusate lo slancio un po' infantile) di internet è questa possibilità di partire da un punto e perdersi più o meno felicemente fra scoperte, illuminazioni, improvvise epifanie, per non arrivare quasi mai a un altro punto finale. Due esempi tratti da questo "zapping": Hermes, portale di filosofia telematica La Voce, analisi e commenti di economisti autorevoli.
Due uominiLa morte di due uomini mi ha colpito, per ragioni diverse.La prima è quella di Antonino Caponnetto, uno dei grandi simboli della lotta alla mafia. Come Falcone, Borsellino e altri, ha cercato di rompere il silenzio e l'omertà. Con quale risultato? Oggi il premier Berlusconi, interrogato sulle presunte collusioni mafiose di uno dei suoi uomini di ferro, ha scelto di non rispondere. La seconda è quella di Achille Castiglioni, una delle grandi menti del design italiano. Come Ponti, Sottsass e altri, ha creato oggetti di una modernità "classica" dei quali non potrei fare a meno. Sono figlio di questo design e di questa cultura.
Spalmare è un po' morire - 4: le modalità della comunicazioneAncora Mantellini e altri si pongono, infine, il problema delle modalità di comunicazione: dalla scrittura alla scelta e all’attendibilità delle fonti di informazione. I giornalisti, a questo riguardo, hanno perso un’altra grande occasione: nessuno si è davvero mai provato sulla sintesi, nessuno ha pensato di poter rinunciare alle proprie velleità letterarie. Come se dieci righe-dieci, brillanti o corrosive, non fossero un test straordinario, ben più importanti di articolesse da settanta e più righe, per le proprie capacità compositive. La conseguenza, oggi, è che i contenuti in rete sono sempre più nelle mani di chi produce i mezzi per usufruirne: per quanto ancora si avrà il coraggio di parlare di imparzialità? Chi non è asservito a questo tipo di logica, ha la vita durissima, i giorni contati, perché anche la passione di informare, di dire la propria, perfino la malattia dello scrivere, prima o poi battono cassa. Link correlati: | 1 | 2 | 3 |
Spalmare è un po' morire - 3: tutto subitoDa questo punto di vista, la grande occasione è stata persa non solo dalla Gazzetta dello sport. Lo dimostrano le difficoltà che incontrano le testate nate (e morte o in agonia) direttamente per la rete. Riprodurre virtù e vizi del giornale su carta è stato un errore. Perché la carta è un unicum, che rientra ormai nel vissuto di ciascuno di noi. La prova arriva dall’incredibile successo delle vendite dei libri in allegato con Corsera e Repubblica. I cd-rom sono già oggetti da museo, i capolavori della letteratura del Novecento riescono sempre a tirare mezzo milione di copie. Che siano letti, è un’altra storia: qui interessano i numeri, la causa più che l’effetto. In pochi hanno avuto la pazienza di aspettare per capire come si potesse davvero far soldi con internet. Forse si è speso troppo subito per avere indietro ancora di più e in tempi ancora più stretti. Ricordo i primi tempi di Gazzetta.it, le discussioni su come e con chi realizzarlo: quando proposi di partire con almeno dieci redattori per realizzare un notiziario in tempo reale, fui preso per pazzo. Si cominciò con cinque persone facendo tre aggiornamenti quotidiani, un anno e mezzo dopo erano poco meno del triplo e si coprivano le sedi di tutte le 18 squadre della serie A di calcio. Il problema fondamentale è quello: internet non ha senso se non fa guadagnare. E rischia di travolgere adesso anche l’Eden apparente dei weblog. Leggevo qualche settimane fa sul Corriere Economia l’evoluzione di questo nuovo fenomeno: parecchie aziende lo stanno usando in intranet e pensano di proporlo per creare un contatto con il pubblico per promuovere i nuovi prodotti. Accetto scommesse sulla “nostra” sopravvivenza. Link correlati: | 1 | 2 | 4 |
Spalmare è un po' morire - 2: la grande occasioneLa Gazzetta dello Sport ha perso la grande occasione di provare a scoprire davvero le potenzialità della rete, avendo alle spalle un editore che, dopo le iniziali forti riserve, ha deciso di investire pesantemente (la media delle perdite negli ultimi tre anni di vita del sito è stata superiore ai 7 miliardi di lire all’anno). Preoccupati di non cannibalizzare il giornale-madre, non si è fatto altro che riprodurre lo stesso sistema, lo stesso stile, la stessa impostazione giornalistica di quello su carta. La famosa interattività o l’ipertestualità sono rimasti concetti puramente teorici. Ha ragione Mantellini quando lamenta il fatto che i grandi giornali in rete facciano scarsissimo uso di link aperti (fuori cioè dal proprio sito). Io aggiungo che anche i link autoreferenziali (all’interno del sito) sono una conquista molto rara. Internet è comunità, ma quante testate giornalistiche hanno davvero favorito lo scambio di opinioni fra redattori e lettori? Quanti hanno veramente capito che, dialogando, fidelizzando, creando community su argomenti specifici, non solo si sarebbe potuto creare nuovi mercati virtuali per gli inserzionisti pubblicitari, ma le stesse aziende editoriali avrebbero potuto comprendere direttamente esigenze, abitudini e specificità dei lettori? Il rischio per un sito come Gazzetta.it sarebbe stato quello di istruire un immenso Bar sport o un’eterna curva da stadio, ma non si è nemmeno tentato di vedere in profondità se fosse proprio così. I moderatori “naturali” di certi forum, quando chiusero quelli su Gazzetta.it alcuni anni fa, hanno trascinato con sé altrove in rete centinaia e centinaia di persone. Link correlati: | 1 | 3 | 4 |
Spalmare è un po’ morire - 1: la storiaOggi, alla Gazzetta dello Sport, accade qualcosa di importante che va sotto il nome di spalmatura. E cioé l’assorbimento dei 16 giornalisti del sito internet nella redazione del giornale-madre, la Gazzetta su carta. Formalmente, nulla dovrebbe cambiare nella gestione e nella realizzazione del sito: Gazzetta.it continuerà a essere in rete, il più letto tra quelli sportivi. Anzi, l’operazione dovrebbe portare a una più stretta e ampia collaborazione fra la mitica rosea e il figlioletto tecnologico. Di fatto, molto cambierà nella gestione degli uomini (che passano sotto il controllo dei capidesk della testata-madre) e presto questo si rifletterà sulla realizzazione del giornale online. Non a caso, si parla di spalmatura e non di integrazione. Il timore è che progressivamente Gazzetta.it venga ridimensionato fino a un collasso naturale e inevitabile. Per tanti motivi: la mancanza di un piano editoriale, la mancanza di un contraddittorio sindacale, la tendenza dei nuovi dirigenti dell’azienda proprietaria a ridurre i costi ottimizzando la produzione. Non intendo esprimere alcun giudizio, anche perché sento di avere un po’ di responsabilità (per scelte passate) per il modo in cui questa situazione si è evoluta. Ma parto da questa circostanza per qualche riflessione sullo stato della comunicazione online in Italia, riallacciandomi anche a ciò che ho letto altrove. Link correlati: | 2 | 3 | 4 |
18.11.02
Cose viste, da vedereA teatro, finalmente qualcosa di nuovo. Nei testi e nella recitazione. Come Vallanzasca. Il delirio di un uomo della provincia milanese, che a Capodanno viene licenziato e abbandonato da una donna che in realtà è esistita poco, e decide di farsi giustizia da solo essendo cresciuto nel mito del gangster capace di farsi giustizia da solo. Carnezzeria. Quattro straordinari giovani attori siciliani che rappresentano la macelleria (Carnezzeria in dialetto, appunto) dei sentimenti e degli istinti di una famiglia disperata, corrotta, basata sul rispetto obbligato, sulla violenza reciproca, sull'ignoranza. Visionario ma perfettamente evocativo. Al cinema, finalmente un ottimo film italiano. Nell'idea, nella ricostruzione storica fedele e anche qui nella recitazione. El Alamein. Non un filo di retorica, la corretta rappresentazione del pressappochismo e della fanfaronaggine mussoliniana. Con due scene meravigliose: la fuga per un bagno in mare dei quattro soldati non-eroi e l'allucinazione nel deserto rappresentata da un uomo che porta sulla spalla una forma di Parmigiano reggiano. Realistico e commovente nella sua semplicità. Meno interessante Marie-Jo e i suoi due amori: da Guediguian mi aspettavo qualcosa di meglio, anche se la sua Marsiglia è sempre più solare, mediterranea, anzi africana. Tra i libri, finalmente racconti che colpiscono, per la capacità di scrivere e di comunicare più che per lo stile costruito, inutilmente voluto. Il silenzio della neve. Rocco Brindisi è una splendida scoperta. La vita quotidiana, il dolore, la sofferenza, descritti con poche perfette pennellate epiche. Cattedrale. Ormai Carver è un classico, che supera le mode e le tendenze artistiche. Tutto accade mentre sembra che non accada nulla. Necessario.
La solitudine dell’amoreDa Io Donna, intervista con Tilda Swinton: “Amore non significa non dover mai dire mi dispiace, ma non fottere la solitudine degli altri ed evitare che gli altri fottano la tua”.
Parola miaPer puro caso, qualche mattina fa, ho acceso la tv mentre si trasmetteva Parola mia, condotto da Luciano Rispoli con il professor Beccaria. Pensavo di vedere una replica di diversi anni fa e invece è una edizione nuovissima, per la quale si sprecano appelli da parte di critici televisivi e non. La trasmissione ha uno share del 2,3 contro gli 8,6 della media di rete a quell’ora e soprattutto rispetto alle decine di telefilm e soap dei canali concorrenti. E’ la lingua italiana a non essere più al centro degli interessi di questo Paese, si chiede Aldo Grasso, o è la tv che non riesce più a stabilire una gerarchia e a dettare un’agenda non delle notizie ma dei temi più rilevanti? Forse l’una cosa e l’altra, dico io. La tv è sempre più uno strumento per ammazzare il tempo, per versare qualche lacrima facile o provare a ridere davanti a comici che non farebbero muovere nemmeno un muscolo. Ma c’è anche una disattenzione molto profonda verso la lingua, verso la possibilità di comunicare, di fare e farsi capire. Tra le famose “Tre I” dei manifesti elettorali di Berlusconi, c’era l’inglese. E oggi per molti è più importante conoscere quello che non l’italiano. Così come è più facile che tanto conoscano i termini tecnici o gergali di Internet o del Marketing piuttosto che qualcosa in più della nostra lingua parlata. Così, mi è capitato di ritirare l’esito di un esame radiografico al torace e di aver letto sul referto, tra le varie cose: “Aorta un pò addensata”. Ammetto di essermi spaventato più del necessario, non solo perché, non essendo medico, non conoscevo il significato medico di quell’affermazione, ma per quel “pò” con l’accento. Ho pensato che quel tecnico di radiologia così superficiale nell’uso corretto della lingua italiana potrebbe esserlo ugualmente nella valutazione degli esami, sottovalutando o esagerando la portata di un evento clinico. Forse non tanto, ma basta un po’.
Tipico o Locale – La lingua del ciboNemmeno 5 anni fa, su qualche rivista di nicchia comparivano i primi titoli: 50 indirizzi per conoscere l’Italia più buona da mangiare. Oggi gli indirizzi sono almeno 250, le riviste sono quelle a diffusione popolare, Slow Food è diventato un fenomeno di massa. E se non fai sciabordare un vino rosso in un bicchiere per misurare la profondità degli archetti o non conosci il caciocavallo podolico fai anche a meno di sederti a tavola. Il risultato è che ci sono ormai troppi Saloni del Gusto, troppi Expo dei Sapori, troppe degustazioni guidate, verticali, orizzontali e trasversali. Qualunque alimento più o meno dimenticato è meritevole di essere inserito fra i Presidi del Gusto o riconosciuto tra i prodotti tipici. Il cibo, lo stare a tavola, l’antico convivium, sono diventati una moda, un simbolo di stato, una prova della nostra esistenza come soggetti sociali di un certo tipo, livello o classe. Insopportabile. L’effetto più visibile è che l’artigianato di e per pochi è diventato un mercato per tanti, ormai ricaduto saldamente nelle mani della Grande Industria e della Grande Distribuzione. A causa anche di una questione linguistica sulla quale Antonio Tombolini fa alcune riflessioni molto interessanti, che condivido. Oggi gli alimenti sono divisi in base alla loro tipicità. Ovvero, semplificando molto, alla rispondenza a un preciso disciplinare (DOP) o anche solo a una parte di esso (IGP). La tipicità è fondata sulla Denominazione, la quale non è altro che un fatto eminentemente linguistico. “Ed è linguistica la spia che ci dice dell’azione di mistificazione operata di fatto (consapevolmente o no) dalle Denominazioni paradossalmente a danno delle produzioni locali autentiche”, dice Tombolini. Il quale propone di passare dalla definizione di un prodotto in base alla Tipicità a quella relativa alla sua provenienza locale. Come? Utilizzando la lingua locale come ingrediente, il che “contribuirebbe forse a rendere più difficile tale operazione e a mantenere così intatto e integro il radicamento del Prodotto enogastronomico Locale al suo territorio, ovunque il prodotto stesso venga distribuito e consumato. In questo caso il Prodotto Locale verrebbe a costituire una vera e propria risorsa economica strutturale per lo sviluppo sostenibile di un’economia precisa e identificabile, l’economia locale, di quell’area, di quel territorio, di quella comunità”. Una selezione alla base per selezionare il mercato e restituirgli serietà e credibilità.
15.11.02
Il guaio della mezza misuraTra i documenti originali disponibili sul sito del mensile Prima Comunicazione, è stato da poco inserita la circolare inviata dal direttore dell'Ansa ai giornalisti delle redazioni regionali e dell'estero, dal titolo Regole di scelta e di scrittura dei servizi Ansa. Una nota interessantissima, utile per chiunque, webwriter o no, sia del settore. Qui stralcio un paio di considerazioni illuminanti sulla dimensione degli articoli e sul modo in cui scriverli. "L'Ansa del terzo millennio deve rispondere sia alle esigenze informative di una clientela tradizionale che ha nuovi bisogni, sia a quella di una nuova clientela che non è più solo editoriale. Se la nostra clientela elettronica chiede notizie tempestive ed essenziali e quella giornalistica e di stampa domanda articoli elaborati e pronti a essere messi in pagina, non hanno senso le mezze misure, cioé le 15-20-25 righe. O si pubblica una notizia di massimo 10 righe o si diffondono articoli da 60 righe o più. I servizi da 15-20 righe sono troppo lunghi per essere brevi e troppo brevi per essere lunghi. Ma la mezza misura è un guaio". "In linea generale dovremmo, nel redigere un articolo, domandarci sempre se anche noi, che lo stiamo scrivendo, lo leggeremmo con interesse. E, tenendo presente questo principio, possiamo facilmente decidere anche la lunghezza di un pezzo. La lunghezza, infatti, non è necessariamente relativa al numero di righe scritte. E' lungo l'articolo di cui si abbandona la lettura prima della sua conclusione ed è corto (o lungo nel modo giusto) l'articolo che si legge con interesse fino in fondo". Molto interessanti, a questo riguardo, gli esempi. Ne trascrivo uno. "I preti di una regione chiedono l'intervento degli enti pubblici a sostegno delle osterie di montagna. Dieci righe bastano. Ma se si spiega anche che fino a non pochi decenni fa le osterie venivano viste dalla Chiesa come un luogo di perdizione (alcolismo), di dissipazione (ozio e gioco), si capisce il salto che è stato fatto. Gli oratorii sono vuoti da tempo. Restino aperte almeno le osterie. Bisognerebbe far parlare, nel pezzo, un prete, uno storico dell'economia, un sociologo, uno scrittore, un oste, un gastronomo legato agli antichi sapori (tutti della regione)". Materiale buono per ben più di 60 righe.
14.11.02
Wi-Fi, sarebbe?Non sopporto più le transumanze tecnologiche, le parole d'ordine, il doversi schierare tutti da una parte, perché dall'altra sono ormai pronti per l'antiquariato. Prima era Internet, poi Umts, oggi è Wi-Fi. E' dovunque: nelle dichiarazioni di principio di certi politici (scusate l'ossimoro!), nelle conversazioni al bar, nelle descrizioni di venditori di macchine dell'ultima generazione. Se non sei o non hai Wi-Fi, non hai o non sei. Ieri ho accompagnato un mio caporedattore a un incontro con il responsabile dei sistemi del giornale. Avremmo dovuto valutare le qualità di due pc portatili tra i quali si dovrà scegliere l'erede del vecchio ma dignitoso Think Pad. L'ingegnere è partito: ha parlato di porte seriali, infrarossi, connessione al cellulare, Pentium IV, e Gigabite a stafottere. Finché non è arrivato alla parolina magica, Wi-Fi appunto, con un luccichio negli occhi. Sembrava felice, vicino al sogno di questi suoi giorni di vita senza telecomando (sì, intendo il telecomando che qualcuno ha usato tre giorni fa a Milano per togliere il colore dal cielo e poi ha buttato via, fino a marzo dell'anno prossimo). Allora ho guardato il mio capo e ho letto sul suo volto qualcosa più di una smorfia interrogativa. Era stranito, suonato come un pugile alla trentaquattresima ripresa, ma silenzioso. Ha aspettato che l'incontro finisse per aggrapparsi al mio braccio e chiedermi: "Ha detto Wi-Fi?". "Sì", gli ho risposto. "Ah" ha fatto lui, tornando silenzioso per qualche altro minuto. Poi, d'un tratto: "Eeeeeeeee.... sarebbe?"
12.11.02
Come pesci in uno strano acquarioE' il titolo di un seminario di web writing organizzato dalla Scuola Holding, per intenderci la scuola di scrittura di Alessandro Baricco. Ecco il promo inviatomi per e-mail: "Per diventare un valido web writer e scrivere sulla rete, non è sufficiente avere qualcosa da dire e l’abilità per dirla. Certo saper scrivere, usare il computer e aver navigato un po’ in Internet, aiuta. Ma ciò che occorre, soprattutto, è la capacità di coniugare diverse competenze. Internet, infatti, ha determinato la fusione (con relativa con-fusione) di tutti i linguaggi preesistenti (televisione, scrittura, musica, cinema, radio), inaugurando quella che potremmo definire una nuova via espressiva. Pur nella consapevolezza della complessità di questa nuova via e del fatto che non esistono “regole d’oro” per insegnare a percorrerla, ma solo alcune questioni su cui riflettere, un metodo e sicuramente delle caratteristiche del mezzo da conoscere, questo seminario offre, in tre giorni di lezione e laboratorio, quanto meno una “segnaletica” a chi intenda battere i primi colpi di pinna nel grande acquario, in gran parte ancora inesplorato, della rete." E queste sono le informazioni pratiche. Docente: Valentina Grippo Frequenza: sabato 10/13 – 15/18 e domenica 10/13 – 15/18 Costo: € 150,00 + IVA = € 180,00 Posti disponibili: 30 Mi è sembrato utile e interessante promuoverlo per quell'invito a riflettere, per la disponibilità a fornire una "segnaletica". L'approccio, per una volta, è di basso profilo. Potere della rete?
10.11.02
Mooolto divertenteA volte, ci sono cose che valgono più di tante parole. Stasera, facendo zapping tra i blog che mi piace frequentare, ho trovato questa proposta sul sito di Antonio Tombolini. Fate clic su un cavallo per volta: se siete al lavoro e avete voglia di sorridere, vi succederà; altrimenti, vale comunque la pena.
24.10.02
Slowblog - Non sono soloSarà solo una coincidenza, ma proprio mentre io rallento e mi interrogo sulla natura del blog e sul mio rapporto con questa creatura, anche un altro paio di "amici" che frequento in rete hanno raggiunto un punto di vista vicino al mio. Il primo è Michele Marziani. Che inventa lo Slow blog, una splendida definizione per dire che "scriverà di tanto. Con calma" perché "o racconto quello che vivo o vivo quello che racconto. Ho rallentato, scrivo meno sul blog eppure ogni giorno, ogni ora, avrei qualcosa da condividere, da raccontare, da mettere in rete". Il secondo è Palomar: "i blogs sono in fondo un modo di rapportarsi ad una persona senza la mediazione della fisicità". Quello che è scritto io!
Il silenzio di FossatiDal Corriere della sera di oggi: ”Sono quasi contento quando sfuggo con facilità alla tentazione dell’esserci. Non ho mai avuto opinioni in tasca, oggi poi meno di ieri. Viviamo assediati da un rumore di fondo, dall’inesausto chiacchiericcio di chi mette in vetrina la sua intimità. In questa svendita delle idee, il silenzio è diventato materiale prezioso”. Le parole sono di Ivano Fossati e ho voluto citarle per due motivi. Il primo: perché si avvicinano molto al significato dei miei ultimi interventi, al bisogno di silenzio, di riflessione profonda e al disagio di fronte all’intimità messa in vetrina che ho manifestato a proposito delle fatiche del blogger. Il secondo: perché, a prescindere dal fatto che Fossati musicista mi piaccia moltissimo, danno l’idea di un silenzio molto rumoroso (Bohumir Hrabal). Un silenzio mediterraneo, comunque pieno, ricco e per niente snob. Su Io Donna della scorsa settimana, ho letto un’intervista con Keith Jarrett, altro musicista che amo. Era sconcertante il suo non voler rispondere, il rimanere fedele a un personaggio schivo, scontroso, solitario. Non penso che i musicisti, come gli attori o i registi, debbano essere degli oracoli, ma che diano un senso profondo, totale, anche letterario a ciò che suonano o creano, questo mi sembra necessario, oltre che rispettoso per chi li ascolta, acquista i loro dischi o assiste alle loro rappresentazioni. Silenzio mediterraneo, dicevo. Esiste e va affermandosi una via molto italiana, fortemente mediterranea, alla musica contemporanea. Sto ascoltando innumerevoli volti le composizioni di Giovanni Sollima, violoncellista e autore, Aquilarco e Viaggio in Italia (che sono riuscito a trovare solo via internet). E ho visto a Torino la prima italiana dell’opera teatrale I cosmonauti russi, con le musiche di Battista Lena e le voci recitanti di Laura Betti e Gianmaria Testa. Definire tutto belliissimo, è semplicistico ma efficace. La complessità della ricerca musicale, l’abilità soprattutto di Lena di creare vere e proprie situazioni compositive, adeguandole a un percorso narrativo (i testi dei Cosmonauti erano di Marco Lodoli) sono rari a trovarsi. Entrambi dimostrano quanto sia possibile creare musica contemporanea vicina a chiunque, fruibile da chiunque.
15.10.02
La solitudine del satiroIl quinto commento alle mie fatiche del blogger è di Brodo primordiale. Non so se conosca quale sia il mio mestiere, né se ha un'idea di come sia fatto, di sicuro ha centrato una questione che nelle mie considerazioni sui commenti avevo evitato per mancanza di ... spazio e forse per non eccedere in autocompiacimenti. Non applico tanto la citazione di Flaiano al mio essere lettore medio, quanto al mio essere giornalista medio, specie per una testata molto popolare. La superficialità, quel senso di eternità che viene attribuito ormai a ogni evento quotidiano, il compulsare decine di siti internet (oggi molto più che sfogliare i giornali) mi appartengono per costituzione. E da questo, forse, nel mio blog cercavo di fuggire: dandomi una regola, un tema più o meno unico, tentavo di evitare l'ennesima generalizzazione, il pensiero random che si trasforma in diario in pubblico, la medietà appunto. Del resto, leggendo le note sul Chi sono di Brodo primordiale, mi colpisce proprio quel suo accatastare libri acquistati da Feltrinelli e da Amazon. Anch'io accatasto, in una casa che ho al contrario pensato prima per la libreria (in cui un giorno o l'altro sistemerò anche quelli di mio padre, alcune migliaia); anch'io, dunque, ho molto più spazio che tempo. Ma non mi rassegno all'idea che non verrà un giorno in cui sarò riuscito a domare anche quello. Anni fa ho letto un'intervista con Umberto Orsini. Raccontava della scelta di Ronconi di ritirarsi dall'attività per tre anni per dedicarsi a leggere tutto lo scibile possibile. E' un sogno che coltivo da sempre e che a volte, riempiendo le notti di weblog, ho avuto l'impressione di tradire. Un sogno non di puro enciclopedismo (memorizzo poco, non sono un abile citazionista, ho bisogno di trascrivere), ma dettato esclusivamente dal piacere che può darmi la conoscenza o anche solo il contatto con l'intelletto illuminato di altri. E sottolineo illuminato, intendendo superiore, abile, profondo. Qualche sera fa, mi sono imbattuto nell'incipit di un romanzo-blog in rete: tre frasi, con un uso molto originale della punteggiatura e la presenza evidente (quanto poco funzionale per lo sviluppo della narrazione) di un "eccheccazzo" e di un "affanculo" o cose del genere. La mattina dopo, ho cominciato a sfogliare Sabotaggio d'amore di Amelie Nothomb (edito da Voland): fulminante, senza inutili volgarità, brillante come si sarebbe rivelato poi il resto del racconto lungo. C'è modo e modo, ci sono capacità e qualità, tentativi e certezze. E selezionare, in rete, non è sempre facile come invece può accadere davanti a un banco della Feltrinelli. Perché? Non c'è tempo a sufficienza.
I quattro commenti sulle fatiche del bloggerQuattro commenti, uno più interessante e soprattutto più confortante dell’altro. Se c’è un elemento che emerge dalle considerazioni sulla mia riflessione ad alta voce sul sacro fuoco spento del blogger, questo è la condivisione dei sentimenti, la stima reciproca che nasce all’improvviso, la disponibilità nei confronti di ciò che un altro pensa e scrive, pur non conoscendolo di persona. E’ questa, a mio avviso, la manifestazione più concreta e alta di socialità che si può affermare nella rete. E di questo, mi sembra, parlava Quero: di scambi di mail, pensieri, sogni attraverso i blog. Ma con gente che non vedi in faccia e con la quale intrattieni rapporti mediati, in tutto e per tutto, da un computer e un modem. Contatti a distanza, sicuramente meno impegnativi e responsabilizzanti di quelli de visu che non hanno filtri virtuali: con una nuova ragazza appunto, un’entità fortemente fisica che richiede una partecipazione realmente attiva, costante. Mantellini tocca tre argomenti molto importanti:
Non vorrei sembrare troppo psicanalitico, tantomeno inutilmente filosofico. Ma mi sembra di aver raggiunto l’essenza del mio modo di intendere il blog, confrontandomi con quanto scrive Sauro. Giustamente Giulio Pianese dice: ti sei dato delle regole, ma sei libero di infrangerle. Ma io l’ho fatto appositamente. Non volevo scrivere il mio diario in rete, per diversi motivi:
Ed è questo il motivo per il quale scrivo da Istanbul, dove sono per lavoro, sento appunto l’urgenza di farlo. Perché quattro commenti, così profondi e interessanti, sono il segno di una piccola costruzione di sabbia: cercherò di fare in modo che le onde dei miei interessi e della mia inquietudine non la abbattano facilmente.
12.10.02
A me mi piaceL'amico Davide Paolini non me ne voglia se utilizzo il titolo della sua rubrica sul Sole24ore. Ma, non sapendo con esattezza che fine possa fare questo blog, vorrei segnalarne alcuni che mi piace frequentare (che loro lo sappiano o no): Mantellini La Pizia Palomar Letture e riletture Verbamanent
Le fatiche del bloggerCi sono ancora, ma non è più come una volta. Il sacro fuoco del blogger è stato spento (o quasi) dal tempo che manca, dagli altri interessi che premono, da quel senso di schiavitù (per quanto dolce o piacevole) che procura la necessità di aggiornare il sito. Sto vivendo quello che altri hanno descritto quando hanno tentato di comporre delle statistiche: una fuga da una sorta di autismo tecnologico dal quale per qualche mese ho avuto la sensazione d'essere affetto. Ho conosciuto alcune persone attraverso il/i blog - se conoscere vuol dire scambiare opinioni, andare a verificare quello che scrivono altri, come crescono giorno dopo giorno i loro pensieri. Ma, in realtà, ho continuato a macinare idee per me e solo per me con l'unico intento di renderle pubblicabili. Quanto basta per chiedermi: ma perché quelli come me, con tante idee o tanti interessi o un interesse solo e poche idee ma buone, anziché metterle davanti a uno specchio virtuale non le condividono realmente con altri? Sì, insomma, le tre ore che dedicavo tutte le notti (insieme ad altre nel corso della giornata...) avrei potuto trascorrerle chiacchierando con le persone a cui voglio bene oppure con altre che potrei conoscere. Il principio del blog dovrebbe essere quello di condividere informazioni, articoli, scoperte, ecc. con altri: io mi sono ritrovato spesso da solo, rinchiuso nel mio rapporto silenzioso col pc, costretto a "mirare" le letture verso l'argomento che ho scelto di trattare (mentre ho sempre amato spaziare, cambiare generi, autori, stili, ecc.). Nell'Autoanalisi dei blog, Leonardo Tondelli ammette che non immaginava ci fossero tanti italiani che scrivessero, e anche bene. Dalla mia esperienza di lettore dei blog, ho trovato piuttosto tanti italiani che leggono, e leggono con curiosità spesso onnivora, e che sanno impiegare ciò che imparano dalla lettura.Non mi riferisco soltanto ai blog dedicati ai libri (numerosi, accurati, interessanti, approfonditi), quanto alle segnalazioni che anche gli autori dei diari fanno dei libri che stanno leggendo in quel momento. Una sorpresa, che mi fa essere più ottimista.
2.10.02
La Via della seta a Milano![]() Più che un concerto, s'è trattato di un percorso che YoYo Ma ha introdotto in italiano, passando il microfono ad altri suoi musicisti. Il concerto è finito con un'esecuzione strepitosa, coinvolgente, emozionante del Trio in la minore di Ravel, ma in realtà da quello si doveva partire: dalla ricerca di certe sonorità e atmosfere esotiche e dalla citazione dell'orchestrina del "gamelan" di Giava, per arrivare a una composizione contemporanea di un armeno, Vache Sharafyan, che mi ha fatto venire i brividi. Ho assistito al concerto in quarta fila, ma purtroppo nei 40 euro del biglietto era anche compreso, non rischiesto tantomeno desiderato, un discorsetto del presidente della Regione Lombardia e perfino uno spettacolino con Formigoni in veste di suonatore di un paio di mini piatti giavanesi!!! Non tutti, peraltro, hanno condiviso il mio entusiasmo per la serata. L'età media degli spettatori era di 70 anni: veri maratoneti delle serate musicali milanesi, ma purtroppo inchiodati al repertorio classico, non oltre Mahler per carità. Accanto a me, era seduta un'anziana signora che ha seguito Ravel sulla partitura ma ha sbuffato ad alta voce tutto il tempo delle altre esecuzioni. Per non dire del fatto che il concerto è cominciato con un quarto d'ora di ritardo perché la gente continuava ad affluire e che una buona percentuale di biglietti era a invito o di quella meravigliosa categoria che va sotto il nome di "autorità". Molti di loro, probabilmente, sono rimasti delusi: non s'aspettavano il duduk o la pip'a, ma YoYo Ma in tutto il suo fulgore. E lo hanno fatto capire, defluendo in massa già alla seconda uscita sul palco, dopo un meraviglioso bis, dei musicisti. Purtroppo già altre volte (ricordo i sospiri spaventati per un Varése eseguito dall'Orchestra Verdi e spiegato magistralmente al colto e all'inclita da Chailly) mi era capitato di verificare questa sonnolenza milanese, questa scarsa attenzione a ciò che è nuovo, questa imbalsamatura. Il pubblico non si rinnova, specie quello dei concerti speciali come questo; in pochi hanno preparato il concerto (non voglio nemmeno pensare cosa sia stato detto nelle scuole secondarie della città); in pochissimi manifestano curiosità per il nuovo, l'originale, l'esotico. Anche se a decine erano in fila per occupare i posti non numerati della Sala grande del Conservatorio...
26.9.02
Lo stile di PontiggiaDall'Album di agosto di Giuseppe Pontiggia, pubblicato sulla Domenica del Sole24ore dell'1/9:"Lo stile ha avuto tante definizioni che aggiungerne un'altra non penso che crei problemi. La mia è comportamentale e si basa sulla reazione del lettore. Quando conosce quello che un autore ha scritto perché l'ha già letto e però torna a leggerlo per ritrovare le parole precise; e quando lo fa tante volte finché l'ha imparato a memoria (anche se spesso sbaglierà nel citarlo), ecco, qui c'è stile. Più in breve: c'è stile quando si rilegge per piacere".
La mente conservatrice e la realtà irrealeNon so se Mantellini abbia poi comprato La mente al punto, come dal commento a un mio vecchio post, né quanto abbiano inciso le citazioni che avevo tratto. Non è un libro indimenticabile, malgrado contenga qualche affermazione interessante.Una, per esempio, avvalora l'esempio che avevo fatto su una serie di finestre popup da aprirsi sul video seguendo una figura circolare. Secondo Simone, la mente ha una tendenza naturale alla conservazione, a mettere ordine, a muoversi cioé con un destino preciso: dopo le sue peregrinazioni, torna back home. Un cerchio, appunto. Altra affermazione interessante ma non condivisibile è questa: "Tra la realtà e noi si è frapposto lo schermo - non importa se del calcolatore o della televisione. Lo schermo ci dà una varietà di rappresentazioni di qualcosa che ci sembra il mondo, ma il mondo che vediamo potrebbe non esserci affatto". Il video sta drogando la percezione reale delle cose, sta rendendo l'informazione uno spettacolo. Risparmio giudizi politici, mi limito a dire che semmai la diffusione degli schermi (mi adeguo alla scrittura arcaica) sta moltiplicando informazioni (e fonti) non sempre verificabili. Ma poi, come si può non fare differenza fra computer e televisione?
25.9.02
Per i non Urban![]() Per chi non è a Milano, la ditta offre la possibilità di leggere l'articolo cliccando qui. Purtroppo, in questo modo non è possibile vedere le due bellissime illustrazioni di Gabriella Giandelli, l'autrice del Labirinto (Pinguini) che vedete qui a fianco. Gabriella è, tra l'altro, la creatrice di un personaggio, il coniglio Mino, sul quale sta realizzando per la Francia una serie di cartoni animati per la tv.
20.9.02
Biancheri, il piacere del narratoreHo assistito oggi alla presentazione di Ritorno a Somersee, di Boris Biancheri, alla Libreria Feltrinelli di piazza Piemonte a Milano. Rifuggo da queste occasioni (ma proprio perché le amo e, forse, un giorno vorrei che diventassero il mio lavoro e la mia vita), ma riconosco che Biancheri, diplomatico a riposo, mi ha catturato. Capelli bianchi, eloquio tranquillo, Biancheri è quello che si definisce un narratore. Verbale prima di tutto. La sua parola parlata ha una capacità esplicativa straordinaria: appassiona, con la pura esposizione dei fatti. Si capisce che la sua intenzione esclusiva è quella di condividere ciò che ha pensato, sentito, vissuto, e non di affermare, come invece era nello spirito di Erik Orsenna, che ho ascoltato la sera precedente, autore di La grammatica è una canzone dolce, pubblicato da Salani, un libro comunque originale: una fiaba per raccontare ai propri figli come, quando e perché usare le parole e certe forme grammaticali.
19.9.02
Scrivere per immagini - Hemingway, Testori e CalvinoAncora Content management cita Hemingway. Alla domanda su quali fossero stati i suoi precursori letterari, gli autori da cui avesse imparato di più, rispose indicando fra gli altri Twain, Flaubert, Bach, Bosch, Bruegel, Van Gogh, Gauguin. "Ho fatto il nome di alcuni pittori - spiegò - perché ho imparato a scrivere più da loro che dagli scrittori". In una lettera a Italo Calvino, pubblicata a corredo de Il dio di Roserio (di cui ho già scritto), Giovanni Testori scrive: "I miei interessi di lettura sono molti, ma subito frenati dal fatto che appena lette due o tre pagine, siano pure cose enormi, mi trovo infastidito dal contrasto che si determina da quello che penso debba dire per me la parola e quello che invece dice per chi leggo. In altre parole, leggo molto di più i quadri, che guardo per delle ore intere, che non i libri". E' lo scrivere per immagini, la funzione visiva delle parole. Il web design si basa su questo: non inventare colori o aggiungere disegni e foto (che allungano i tempi di caricamento delle pagine) in un sito , ma disporre i testi per cercare un effetto. Nelle parole è contenuta un'energia visiva, che si deve sviluppare e applicare. Esempio: in un testo vi è un certo numero di link a finestre (pop-up) predimensionate, che si dispongono sul video componendo un cerchio, una forma geometrica rassicurante. Un vero e proprio ventaglio di informazioni, note, tabelle, rimandi a siti esterni, che restano tutti sotto gli occhi del lettore, fornendogli l'idea di un'informazione compiuta, piena, che si esaurisce in quel cerchio ma può eventualmente allargarsi ancora. Link correlati: 1 | 2
Content management: il più e il meno delle Lezioni americane - 2La rapidità è un minus laddove costringe l’autore a scrivere velocemente, senza attenzione, senza un progetto complessivo dei contenuti (core-text e links). “Ecco riproposto l’elemento tempo come condizione per il linguaggio preciso”, dice Lucchini. E io aggiungo per la definizione di uno stile di scrittura, tanto più necessario anche nei contenuti più brevi ed essenziali. Giorni fa, sul Corriere della Sera, Fernanda Pivano ricordava i primi incontri con Charles Bukowski. La chiave che ha aperto definitivamente la porta della loro relazione letteraria è stata una frase detta da Bukowski: “Non mi interessa quanto scrivo e per chi, quello a cui guardo è soprattutto come lo scrivo”. E per costruire uno stile, dice Calvino, sono importanti le correzioni, continue, progressive. “Correggere ogni frase tante volte quanto è necessario è essenziale anche nel web, dove siamo indotti spesso a scrivere in fretta e male. Una notizia poco curata, uno spunto d’interazione modesto, una e-mail distratta possono costare molti malintesi”. Lo noto ogni volta che comincio a scrivere per questo blog. Mi capita spesso di riprendere vecchi post e correggerli, accorciarli. Soprattutto questo: li accorcio, provo a renderli essenziali, più efficaci, più rapidi appunto. Ciò che non mi riesce quasi mai nel lavoro quotidiano con la carta stampata. E’ raro che riprenda e corregga o riscriva frasi o interi paragrafi. Link correlati: 1 | 2
Content management: il più e il meno delle Lezioni americane - 1E’ interessante l’approccio calviniano di Content management, a cura di Alessandro Lucchini e pubblicato da Apogeo, laddove si prova ad applicare ai contenuti della rete i 5 concetti delle Lezioni americane: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità. Mi soffermo sul secondo: la rapidità. E’ nello stesso tempo un plus e un minus. E’ un plus nel momento in cui Calvino, citando Leopardi (lo Zibaldone) afferma. “la rapidità dello stile e del pensiero vuol dire soprattutto agilità, mobilità, disinvoltura; tutte qualità che s’accordano con una scrittura pronta alle divagazioni, a saltare da un argomento all’altro, a perdere il filo cento volte e a ritrovarlo dopo cento giravolte”. Questo non è altro che il concetto di ipertesto, espresso con alcuni lustri di anticipo, che contiene un’idea di totale libertà per il lettore-utente: da un lato può rimanere ancorato al sito di partenza, al primo link; dall’altro, proseguire dove lo porta la rete, con l’intento di chiudere il loop da dove si era mosso. Proprio per questo, sottolinea Lucchini, è necessario progettare gli ipertesti, creare una vera e propria struttura ad albero, sia per i rimandi interni sia per quelli esterni. “Saper condurre il lettori nei meandri dell’ipertesto – dice Lucchini –- significa coniugare libertà e rigore, essenzialità e completezza, e richiede una struttura chiara e riconoscibile”. Link correlati: 1 | 2
17.9.02
Internet e l'idea di comunitàHo pensato talvolta a Internet come a una sorta di luogo magico, che potesse mettere insieme (virtualmente, ma non solo) le persone più diverse e più lontane. E ancora più magico mi sembrava il fatto che a unirle fossero segni diciamo "classici", che poco hanno a che fare con la tecnologia, almeno in apparenza. Veri e propri simboli o forme antiche di comunicazione.![]() Delle seconde fanno parte i libri. Ho aderito a diversi forum sulla lettura, scambiando opinioni e anche conoscendo de visu appassionati alla mia stessa stregua, ma ora vado oltre. Da qualche giorno sono membro del bookcrossing, quella nuova tendenza, nata anche questa negli Usa ma diffusa anche in Italia grazie a un'iniziativa di Fahreneit su Radio3 durante il Festivaletterattura, meglio nota come Leggi e abbandona. I possessori di libri a cui tengono in maniera particolare li lasciano in circolazione nei posti pubblici più disparati per diffonderne la lettura: il tutto viene catalogato attraverso un sito internet, creando così non solo un registro dei trasferimenti delle opere ma soprattutto un archivio di recensioni e riflessioni personali. Per ora solo virtuali, ma presto anche reali, visto che in America sono già stati realizzati incontri mensili tra gli adepti dell'iniziativa. In Italia, a ottobre, si comincia da Roma.
15.9.02
Due film italiani![]() Un viaggio chiamato amore. Film intenso, teso, appassionato. Ma il mio premio per l'interpretazione va a Laura Morante, piuttosto che a Stefano Accorsi, troppo "respiroso" nel rappresentare i deliri di Campana del quale non sempre si coglie il legame fra ispirazione poetica e follia. Discreto. L'imbalsamatore di Marco Vacchi. Tutto ciò che non ha forma (dagli animali riempiti perché siano imbalsamati, alle periferie napoletane e cremonesi, livide sotto cieli plumbei o avvolte dalla nebbia) è deforme (uno straordinario Ernesto Mahieux) o deforma (l'animo umano, l'idea che ci si fa dei luoghi e delle persone). Un triangolo che si trasforma in tragedia, anche questa senza una forma definita: tra i titoli di coda, riappare in lontananza la sagoma di Mahieux, che invece era stato appena ucciso. Originale, molto interessante.
Io c'ero, comunque![]() Non ci sono andato (sabato ero a Genova per lavoro), ma è come se ci fossi stato.
13.9.02
Noi che siamo balbuzientiE' il titolo della rubrica di Beppe Sebaste pubblicata domenica scorsa su L'Unità. Ne stralcio un capoverso che mi sembra illuminante: "La balbuzie è come la poesia: rallenta il linguaggio e introduce la vertigine del pensiero, della pazienza, dell'attesa, nonché della presenza dell'altro e del suo volto. Come la balbuzie, la poesia è antitetica al modo impersonale della tecnocrazia e alle leggi del profitto, basate sulla velocità e l'accelerazione. La lentezza è nemica, come lo sciopero (arresto del flusso dominante) di una certa conduzione d'azienda e di ogni tirannia. (...) Come la balbuzie (e come il silenzio), la poesia, secondo la linguistica, intralcia con la sua ampiezza di senso il 'canale di comunicazione' ed è irriducibile alla quantità informazionale che la uniforma alle merci".
12.9.02
Anche i prodotti (e i pubblicitari) devono avere un'animaDa Copywriter di Emanuele Pirella, edito dal Saggiatore. Il pubblicitario deve immergersi nel mondo più autentico del prodotto e conseguentemente nell'immaginario del suo potenziale consumatore. "Leggere Pavese può essere utile per pubblicizzare uno spumante piemontese, così come da un romanzo di Bufalino si può trarre ispirazione per uno slogan sul Marsala". Quindi nessuna competenza, nessuna conoscenza del mercato, nessun occhio allenato, nessun calcolo statistico avranno senso ed efficacia senza una preventiva e costante vigilanza sullìaspetto narrativo, letterario e immaginativo del prodotto e del suo contesto d'uso.
London Review of Books: la sfida della lentezzaUn anno fa interrompeva le pubblicazioni Content Spotlight, un sito sui contenuti e la scrittura in rete. Uno degli ultimi articoli riguardava la London Review of Books che dal 2000 ha un proprio sito internet: una vera sfida, considerato il tipo di contenuto: letterario, quindi lungo e poco dinamico, poco interattivo e poco disponibile a qualsiasi sviluppo ipertestuale. La LRB mette online solo 3 articoli, un paio di racconti e la rubrica delle lettere. Non ha sviluppato nulla di particolare per Internet, anche se i forum hanno un discreto pubblico. Questo perché, come spiegava il responsabile Ben Campbell a Content Spotlight, “la risposta del pubblico ci ha convinto che la maggior parte dei lettori preferisce avere anticipazioni della rivista che comprerà in edicola”. Una risposta ancora più significativa concerne proprio la caratteristica dei testi. Secondo Campbell, “la stragrande maggioranza della gente che legge gli articoli che mettiamo in rete lo fa a video piuttosto che stampando il testo su carta. Io stesso riconosco che la mia tolleranza alla lettura a video è cresciuta negli ultimi anni: in parte grazie ai miglioramenti della tecnologia nei display, ma anche e soprattutto perché mi ritrovo ormai familiare e a mio agio con il mezzo”.
La credibilità si costruisceDal NYTimes del 2/9/02: AOL Reaches to Create Its Own Big Music Scene on the Internet). La Sezione Musica di AOL potenzia i servizi, per vendere meglio i CD attraverso il sito. Produrrà più contenuti, creando degli Studios in proprio, dove realizzare video, trasmissioni, interviste con i grandi nomi della musica. Spiegando il progetto, il nuovo boss di AOL sottolinea: prima portiamo a termine il progetto, poi potenziamo offerta e vendite. Dovrebbe stare in cima al decalogo sulla credibilità dei siti internet. Alle spalle puoi avere il più grande editore o l’impresa più solida del pianeta, ma farai poca strada se continui a proporre Sezioni o interi siti “under construction”. Prima consolida la base, poi definisci l’obiettivo dell’attività: troppi siti non si occupano né dell’una né dell’altro. Per loro l’importante è esserci. Per gli utenti, l’importante è avere.
10.9.02
Il ritmo del testo![]() "Ogni testo ha un suo ritmo, cioé impone al lettore (ma anche al proprio autore) una certa velocità e un certo ordine. Un testo lento non si può leggere velocemente. E un testo veloce si presta poco a una lettura lenta". "L'uso intenso del calcolatore, soprattutto se è collegato in rete, introduce nei ritmi di pensiero un coefficiente permanente di accelerazione e quindi di fretta. Non riusciamo più neanche a sopportare un minimo di attesa dinanzi a un'operazione che stiamo facendo col computer. Il clock della mente, il suo controllo del ritmo e della velocità, è disturbato alla radice dal clock del calcolatore".
Le magnifiche sortiAltro inciampo tardivo, ma significativo quanto (se non più di) Bambini nel tempo, è stato Le magnifiche sorti di Sandro Onofri, edito da Baldini&Castoldi. Una raccolta di scritti giornalistici pubblicata nel ’97 di una delle penne più nuove e curiose dell’ultimo lustro, purtroppo scomparso due anni fa, a 45 anni. Mi è piaciuto proprio per lo stile assolutamente originale, per la scelta di punti di vista del tutto particolari per rappresentare temi e questioni altrimenti fin troppo note, per il tono disincantato di certe descrizioni. E anche per la selezione di alcune citazioni che rendono ancora più efficaci gli articoli-racconto di Onofri, dando loro un’idea di circolarità in cui non è facile stabilire se ci sia prima la cronaca o il riferimento letterario. Scrive ad esempio: “Faulkner, in uno dei suoi racconti più belli, ‘L'orso’, affida al vecchio Sam, figlio di uno schiavo nero e di una donna indiana, il compito di distinguere tra paura e spavento. Faulkner lascia intendere che il confine tra la paura e lo spavento sta nella memoria. Chi ricorda, e dunque conosce, deve avere paura ma questo non comprometterà le sue azioni. Chi invece non ricorda, si troverà in un mondo sempre nuovo, che non può conoscere, e dunque sarà bloccato dallo spavento".
Bambini nel tempo![]() Per l’ottimismo sulla possibilità di recuperare il tempo perduto. Non tanto rileggendolo, anche a costo di sconcertanti sorprese (come avviene nel libro-film La forza del passato di Veronesi-Gay), ma riscrivendolo da zero, ricostruendolo ex novo sulle macerie di ciò che è stato. La citazione dai Quattro quartetti di Eliott è la sintesi perfetta: “Il tempo presente e il tempo passato / Son forse presenti entrambi nel tempo futuro. / E il tempo futuro è contenuto nel tempo passato”. Ma anche per quel concetto di intensità del tempo, insito nella descrizione dell’incidente stradale a cui il protagonista scampa lucidamente. Più di altro, sono quei cinque secondi in cui la mente agisce e fa agire i muscoli e i riflessi e gli automatismi, per evitare lo schianto e la possibile morte la vera epifania del romanzo. Tutto può accadere in un tempo brevissimo. Tutto, di una portata enorme: così grande, da rendere incredibile che siano solo cinque secondi.
8.9.02
Il giornale in audio su CDQuante volte ho pensato di comprare un audiolibro per i viaggi lunghi in auto! Il San Francisco Chronicle venderà via Internet un CD quotidiano con le notizie e gli articoli contenuti nel proprio sito. L'utente seleziona le rubriche che gli interessano e indica l'ora in cui generalmente si collega in rete per consentire alla MobileSoft di incidere a distanza un CD nel lettore dell'utente, non appena questi avvia il collegamento. Io, che rifletto sul tempo della scrittura e della rete, mi chiedo: questo a quale categoria appartiene?
Il dopo 11/9: il blog cambierà la storia?Pew Internet & American Life Project ha compiuto uno studio su come è cambiato il rapporto fra gli americani e il giornalismo (e la tecnologia) online dopo l'11 settembre. Analizzando i risultati, Nua evidenzia l’aspetto istituzionale: il 70% degli americani eliminerebbe dai siti informazioni che possano favorire il terrorismo; il 45% crede che il governo abbia il diritto di controllare l’uso che la gente fa di Internet. E aggiunge che 19 milioni di americani, pari al 17% degli utenti Internet Usa, ha riavviato rapporti con parenti, amici ed ex colleghi mediante e-mail: l’83% ha conservato questi rapporti durante l’anno appena trascorso. CyberJournalist punta su un tema che ci interessa da vicino: la crescita del giornalismo fai-da-te. Non sempre rispetta i canoni: verifica delle fonti, attendibilità e imparzialità. Ha nei blog le forme più diffuse, dove si trovano racconti di gente comune ma anche di celebrità. E si è rivelato un supplemento ai media tradizionali. “Alla lunga, l’effetto più rilevante di questo giornalismo ‘in proprio’ – dice Alex Halavais, Buffalo Un. – potrebbe essere il suo valore per gli storici. Essi potranno trovare ogni tipo di racconto, dettaglio e informazione che si sarebbe potuto perdere in mancanza di un medium come Internet sul quale registrarlo”.
A gentile richiestaSembrerà incredibile, ma basta un paio di persone per ridare slancio a una terza. In overdose da weblog, avevo deciso di smettere, per recuperare tempo per me. Sono andato a Venezia, a vedere un paio di film alla Mostra del Cinema (La forza del passato: modesto, italiano, con un Sergio Rubini quasi sempre adeguato al ruolo. Dirty pretty things: azione, cannibali contemporanei e buoni sentimenti in una Londra di soli immigrati e alloggi di fortuna) e quando sono tornato ho trovato due messaggi. Belli, incoraggianti. Qualcuno mi legge. Mi piace ancora l'idea che possa continuare a farlo.
5.9.02
Due minuti fanno la differenzaRiprendo le considerazioni sul tempo della rete e della scrittura, sulla velocità “necessaria” della comunicazione e della sua elaborazione. In occasione degli Us Open di tennis, l’Ibm ha realizzato un sistema per l’aggiornamento online dei risultati in tempo reale. “Tempo effettivamente reale”, sottolinea Daniel Sturman, senior manager alla Ibm. Questo dispositivo, infatti, aggiorna il risultato (con un playbyplay dettagliato e le statistiche corrispondenti) ogni qual volta questo si modifica, a differenza dei sistemi in uso finora, cosiddetti “polling mechanism”, che venivano invece aggiornati ogni due minuti. “Qual è il vantaggio? – si chiede Sturman – Prendete il baseballi: in due minuti può succedere di tutto!”.
L’11 settembre e i media americani – 2Alcuni effetti interni ai media americani si sono già verificati negli scorsi mesi. Dopo aver considerato la Politica estera poco interessante durante gli Anni 90, i network tv americani hanno massicciamente “aviotrasportato le proprie truppe” in Afghanistan nella scorsa estate, incidendo notevolmente sulla quantità dei propri contingenti al di là dell’Oceano.
Eppure, al di là della prevista invasione di speciali dedicati alla memoria dell’attacco di Al Qaeda, l’International Herald Tribune osserva che lentamente le scelte editoriali siano tornate alla normalità, anzi addirittura hanno accentuato una certa vena frivola, aumentando le coverstories sui film di Hollywood o le storie d’amore fra attori e celebrità. Jim Kelly, capo redattore del Time, spiega: “Il nostro cosiddetto’giornalismo di investimento’ – gli argomenti sui quali spendi un sacco di tempo e di energie – è quasi interamente dedicato al terrore e al terrorimo. Ma non possiamo fare ogni settimana una copertina sull’11 settembre, altrimenti i nostri lettori rischiano di diventare un magazine sul terrore”. Post correlati: 1
L’11 settembre e i media americani – 1Chiedo scusa per il cinismo, ma questi dati tratti dall’International Herald Tribune mi sembrano molto interessanti a proposito dell’effetto che l’11 settembre ’01 ha avuto sui media americani. Da ottobre dello scorso anno, il rating dei notiziari serali è cresciuto in questa misura rispetto allo stesso periodo del 2000:
Anche le tv via cavo hanno avuto un’estate eccellente (considerata a partire dal 27 maggio ’02):
A proposito di copertura mediatica, per l’11 settembre di quest’anno è previsto che:
Quanto alla carta stampata, Il Time e Newsweek hanno pubblicato dei numeri speciali. Molti quotidiani, compreso il Washington hanno previsto dei dorsi speciali. Il Newsday pubblicherà un magazine di 76 pagine sulle vittime mentre il New York Times pubblicherà i progetti di alcuni architetti sulla ricostruzione su Ground Zero. Post correlati: 1
4.9.02
L'informazione può dividere - Il commento di MantelliniRicevo da Mantellini un commento al mio commento al suo articolo su Punto informatico. Con enorme piacere lo posto: "Con tutto il rispetto per la categoria e per Carlini che stimo da sempre, non mi pare che il mediatore esperto possa cambiare di molto le cose. Anche se comprendo bene l'aspirazione professionale e sono convinto che sarebbe una ottima cosa per tutti. Io lo immagino come un problema di architettura del web: le informazioni mi pare si diffondano orizzontalmente, non passano troppo spesso attraverso un imbuto. E allora mi chiedo nell'economia generale dell'overload informativo che ruolo potrebbe avere una rivoluzione del genere del lavoro giornalistico? Piccolo e marginale. "Oso una citazione banale (sono quelle che mi piacciono di più): Weinberger termina il suo Small Piecies dicendo che il web è nostro. Più banale di così si muore. Eppure credo che da lì si debba partire. Se il web è mio (tuo, suo, etc) ha ragione Da Empoli quando cita la necessità di andare a cercare gli strumenti altrove rispetto alle informazioni stesse. Perchè gli strumenti di comprensione miei e i tuoi e quelli di qualcun altro saranno per forza diversi ed individuali, più o meno spuntati ed efficaci ma necessariamente singoli. Quello che invece Da Empoli non dice (perchè è uno snob, perchè è un egocentrico o forse perchè conosce poco Internet) è che esistono tanti livelli e sfumature di comprensione del mondo, mille capacità diverse di leggerlo e capirlo e che tale dinamicità culturale trova nel fiume di dati online il suo ambito di ricerca migliore. E' vero: "non basta aprire i microfoni o i computer per liberare di colpo l'informazione vera". Ed è vero che il problema del frugare in fondo al bidone per trovare qualche cosa che faccia per noi rimane. Ma se la rete è nostra e ognuno di noi è diverso immagino che dovremo continuare a sporcarci le mani. Ognuno le proprie ovviamente. A me pare che continui a valerne la pena".
3.9.02
Un'immagine per l'11 settembre![]() Io voglio ricordare l'11 settembre con questa immagine. L'Afghanistan della guerra, l'altra faccia della della ferocia umana. E' una delle Foto dell'anno premiate da Editor&Publisher: Thomas Lee Bozeman - Daily Chronicle, Bozeman, Mont. Il mio silenzio in un blog di parole.
Giornalisti, razza da blog - 2Ho già citato in un altro post il pezzo di Infocity sui blog dei giornalisti. Mi chiedevo se fossi più triste per lo scarso numero di colleghi in rete o per la forzatura del titolo. Mi è stato sufficiente fare un giretto online di un quarto d'ora, per stabilire che l'articolo era incompleto. In realtà, sono diversi i giornalisti, più o meno occulti, che tengono un proprio blog. Pochi quelli affermati, come Pino Scaccia, inviato del Tg1; più numerosi quelli meno noti, come Michele Marziani e Laura Bogliolo. Se non ci aiutamo fra di noi... Post correlati: 1
Internet in Italia: traffico raddoppiato in 2 anniUn'altra cascata di dati dal Sole24ore di oggi ricavata dalle previsioni dell'istituto internazionale Idc contenute nell'annuale relazione dell'Authority per la comunicazione. Alla fine del 2002, il mercato del traffico internet in Italia sarà più raddoppiato rispetto al 2000:
Grazie anche alla diffusione dell'Adsl, nel 2001, i minuti che gli italiani hanno trascorso online sono stati 48 miliardi, 20 miliardi in più del 2000. Sempre nel 2001, in Italia gli utenti unici (le persone che si sono collegate almeno una volta nell'ultimo trimestre dell'anno, al netto delle duplicazioni dovute all'uso di internet da due o più luoghi di accesso) sono stati 17.9 milioni.
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Scrivere per la rete
Leggere per se stessi Il weblog
di
Carlo Annese
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